Lords of Dogtown

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Un film di Catherine Hardwicke. Con John Robinson, Emile Hirsch, Victor Rasuk, Rebecca De Mornay, Heath Ledger.
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Azione, durata 107 min. - USA, Germania 2005. uscita venerdì 15 luglio 2005. MYMONETRO Lords of Dogtown * * * - - valutazione media: 3,23 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Quando lo skateboard diventò punk rock Valutazione 3 stelle su cinque

di Joe


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lunedì 28 agosto 2006

California, estate ‘75. Estate di siccità. A Dogtown, sobborgo povero di Venice, alcuni surfisti rivoluzionarono il mondo dello skateboarding, applicando ad esso le tecniche e le regole già adoperate fra le onde marine. L’acqua è razionata e le piscine sono vuote. I ragazzi si intrufolano nelle ville di Venice per skateare e bighellonare, tra acrobazie estreme e fughe dalla polizia. Raccontata così sembrerebbe nient’altro che la storia delle scorribande dei ragazzini californiani negli anni ’70. Invece era qualcosa di molto di più. Quello che stava nascendo con lo skateboard moderno era un vero e proprio movimento. Girato nel 2005 da C. Hardwick, “Lords of Dogtown” vuole essere la versione romanzata del documentario “Dogtown e gli Z-Boys”, girato nel 2001 da Stacy Peralta in tributo a quegli anni folli e magnifici. La scena surf (e poi skate) di Dogtown ruotava attorno ad un negozio, lo Zephir, di proprietà di un tale Skip. Questi ebbe il fiuto e la fortuna di scoprire tre ragazzi dal talento innato ed incontenibile: Tony Alva, Jay Adams e proprio Stacy Peralta, presente nel cast del film nel ruolo di sceneggiatore. Con loro forma un team, appunto lo Zephir, capace di stupire e lasciare a bocca aperta il pubblico di qualsiasi gara e manifestazione. Per i tre campioni arrivano fama e copertine di giornali e quando arrivano anche gli sponsor a farsi avanti, capiscono che Skip sta monopolizzando tutti i loro profitti. Lo Zephir Team si scioglie ed ognuno prende la sua strada. Tony Alva divinizzato ed auto-divinizzatosi, cadrà in una beffarda “apolokintosis”, gabbato dagli stessi sponsor che ne avevano fatto una rockstar con tanto di limousine. Peralta nella sua sobrietà che fin dagli inizi lo avevo distinto dagli altri, seguirà il corso degli eventi e, rimanendo con i piedi per terra, manterrà successo e fonderà poi un team proprio. Jay Adams è invece colui che non tradirà mai l’estetica e il movimento in cui era nato e cresciuto. Un pubblicitario si presenta a casa sua offrendogli 10.000 $ per canticchiare uno stupido jingle in uno spot; Jay manda al diavolo tutti e va a vedere i Black Flag. E mentre gli altri due rivaleggiano nelle manifestazioni di Huntington Beach e si godono le luci della ribalta, Adams rimane fedele al suo credo e al suo habitat naturale, la strada. Resta intrappolato nella droga e nell’ambiente sempre più disastrato e suburbano di Dogtown. Nei fatti però è proprio il personaggio di Jay (magistralmente interpretato da Emile Hirsch, a cui non sono da meno John Robinson e Victor Rasuk) a dare un volto all’intento del film; mostrare che quello dello skateboard non era un semplice sport o successivamente una fabbrica di denaro; era uno stile di vita, stradaiolo e sregolato, animato da un’etica punk rock di eccessi fini a sé stessi. Adams, forse davvero il più bravo di tutti, incamminatosi sì sulla via della perdizione ma sempre rappresentante di quella pura ed originaria attitudine dello skate. Prodotto 4 anni prima, il documentario esce in Italia in concomitanza con il film. Tra i due a vincere è nettamente il primo; una testimonianza commossa e commovente di Peralta verso il mondo che lui aveva contribuito a creare. “Lords of Dogtown” ricalca fin troppo classicamente gli stilemi del film giovanilista all’americana e in questo rischia un po’ di falsare lo spirito che lo anima, pur assicurando il successo vista l’aderenza ai canoni ribellistico-adolescenziali. Tuttavia per chi lo skateboarding lo ha vissuto e lo ha sentito sulla sua pelle, il film non sarà certo uno dei soliti surrogati a base di sesso, droga e rock n roll. Anzi. Finale su una nota di dolcezza; i tre dello Zephir si riuniscono a casa del loro comune amico Sid, da sempre sfigato e figlio di papà ma sinceramente affezionato ai ragazzi, ed ora malato di cancro, che chiede al padre di svuotare la piscina per permettere agli amici di skateare per lui. Sulle note di “Wish You Were Here” dei Pink Floyd (che chiude una splendida colonna sonora), Stacy, Tony e Jay sembrano tornati per un attimo i ragazzini di qualche anno prima, ansiosi solo di fare casino e di divertirsi con ragazze, un po’ di alcool e ovviamente una tavola di legno sotto i piedi. Sebbene la realtà sia ormai molto diversa.

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zuli mercoledì 9 gennaio 2008
bravo
75%
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25%

bellissima recensione, complimenti

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