LA TERRA DELL'ABBONDANZA - Olga di Comite
Il film ultimo di Wenders potrebbe essere ascritto alle tante recenti opere, targate Usa e no, che s'interrogano sul dove va l'America oggi. Il cineasta tedesco se lo chiede senza dimenticare l'amore che ha sempre avuto ed ha per questo grande, interessante e contraddittorio paese. Wenders non è Moore, è un europeo, da sempre legato alla poesia dell'immagine, alle storie che indagano i significati dell'esistenza, che costruisce personaggi inventati ma emblematici in atmosfere tali da rimanere nella memoria, tipo "Alice nella città". Ultimamente ha tentato anche film a impianto documentario, ma seguendo le sue passioni e predilezioni musicali ("Buena Vista Social Club" o "L'anima di un uomo"), evitando istintivamente il giudizio sulla situazione attuale.
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LA TERRA DELL'ABBONDANZA - Olga di Comite
Il film ultimo di Wenders potrebbe essere ascritto alle tante recenti opere, targate Usa e no, che s'interrogano sul dove va l'America oggi. Il cineasta tedesco se lo chiede senza dimenticare l'amore che ha sempre avuto ed ha per questo grande, interessante e contraddittorio paese. Wenders non è Moore, è un europeo, da sempre legato alla poesia dell'immagine, alle storie che indagano i significati dell'esistenza, che costruisce personaggi inventati ma emblematici in atmosfere tali da rimanere nella memoria, tipo "Alice nella città". Ultimamente ha tentato anche film a impianto documentario, ma seguendo le sue passioni e predilezioni musicali ("Buena Vista Social Club" o "L'anima di un uomo"), evitando istintivamente il giudizio sulla situazione attuale..
Questa volta ne "La terra dell'abbondanza", titolo tratto da una ballata di Leonard Cohen che accompagna le scene finali del film, sceglie una specie di apologo politico a modo suo, con personaggi-simbolo inventati da lui coautore della storia. Sta proprio qui, a mio parere, la debolezza dell'opera. Per intenderci, io amo il Wenders di "Alice nelle città" e de "Il cielo sopra Berlino", o quello di "Lisbon-story", di meno gli intellettualismi arzigogolati delle ultime cose. Così ho trovato opaca, retorica, e ancor più spesso ripetitiva e prevedibile la sua ultima fatica, nonché eccessivi i due personaggi principali. Paul è l'ennesimo reduce affetto da sindrome del Vietnam, cui ha dato alla testa la diossina respirata nelle azioni di sterminio di quella popolazione; Laura è la giovane e tenera nipote, arrivata a Los Angeles su mandato della madre proprio per rintracciare lo zio. Il primo appare scontato e freddamente paranoico, la seconda piuttosto di maniera, troppo Biancaneve nel mondo dei cattivi. Queste caratterizzazioni sono rischiarate qua e là da qualche lampo di ironia e leggerezza ma ciò non basta a renderle credibili. Nel rappresentare i volti opposti dell'America si poteva far di meglio, data la pluralità di tipi, origini ed esperienze che caratterizzano il popolo degli States. Anche il quartiere desolato degli sradicati di ogni colore sa di già visto mille volte e solo la capacità di interpretare con maestria l'anima di una città salva il regista da un formalismo che incasella la realtà in maniera troppo rigida.
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