pink apple
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giovedì 29 dicembre 2005
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da vedere, ma non per tutti
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L'ho rivisto l'altro giorno in tv. Ne avevo parlato in famiglia e finalmente ho potuto farglielo vedere; avevo premesso che è un film per pochi, lento ma originale, insomma da vedere, se non altro per il fatto insolito di scegliere come protagonista una vecchietta tappa, miope e zoppa, ma con una grinta ed un carattere invidiabili. Il nipote non è il protagonista, è solo l'oggetto da recuperare, infatti fin dall'inizio viene presentato come senza carattere, completamente passivo e con lo sguardo spento. Il cane è divertente, molto realistico nel suo abbaiare ai treni, che diventano l'ossessione dei suoi sogni (si potrebbe dire: meno male che la nonna ha sbagliato regalo dando al nipote il cucciolo, prima di capire che voleva il triciclo!).
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L'ho rivisto l'altro giorno in tv. Ne avevo parlato in famiglia e finalmente ho potuto farglielo vedere; avevo premesso che è un film per pochi, lento ma originale, insomma da vedere, se non altro per il fatto insolito di scegliere come protagonista una vecchietta tappa, miope e zoppa, ma con una grinta ed un carattere invidiabili. Il nipote non è il protagonista, è solo l'oggetto da recuperare, infatti fin dall'inizio viene presentato come senza carattere, completamente passivo e con lo sguardo spento. Il cane è divertente, molto realistico nel suo abbaiare ai treni, che diventano l'ossessione dei suoi sogni (si potrebbe dire: meno male che la nonna ha sbagliato regalo dando al nipote il cucciolo, prima di capire che voleva il triciclo!). Tutto è reso in modo grottesco, a cominciare dall'urbanizzazione del posto in cui vivono, seguendo con il cambiamento fisico di cane e ragazzino. Quando lo vidi al cinema, persi l'inizio fatto sul genere "vecchio cartone in bianco e nero dal tratto tondeggiante stile anni '20" quindi non capii chi fossero le vecchiette chiamate Triplettes, infatti ho potuto capirlo solo dopo, vedendo l'inizio del film nello spettacolo successivo, e questo ha un po' penalizzato l'effetto che doveva avere. La prima volta che lo vidi, mi sembrò molto lento, forse troppo, ma apprezzai l'ironia, il disegno, i personaggi. Perché anche l'essere passivo e spento del nipote per me è azzeccatissimo, perché la nonnina è una vera potenza, il cane è realisticamente ingenuo, i malviventi nel loro essere quasi degli automi dimostrano una forte ironia, le Triplettes sono instancabili ed imperturbabili, il meccanico che squittisce è divertente. Secondo me è tutto ottimamente bilanciato così com'è, ed estremamente funzionale alla resa del film. La seconda volta che l'ho visto, in tv, non mi è sembrato affatto lento e pesante, anzi scorreva normalissimo, e ci siamo divertiti molto a guardarlo insieme, soprattutto l'inseguimento finale con i malviventi, che nel suo essere assurdo è divertentissimo, oppure l'attraversamento dell'oceano in pedalò per seguire la nave. E così deve essere, tutto assurdo, tutto com'è. La seconda volta però mi è sembrato di notare qualche animazione in cg (ma potrei sbagliare), che comunque non stonava, rispettando il disegno, anche se io preferisco il "tutto fatto a mano". Per disegni e colori nulla da aggiungere a quanto già detto. Il finale forse poteva essere più completo, ma l'uomo dei pedalò, che aspetta ancora, lo riscatta.
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stella
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venerdì 2 novembre 2007
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semplicemente squisito
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Non voglio prenderla alla lontana, raccontando che ieri sera tutto immaginavo tranne che saremmo finiti a vedere il dvd di Appuntamento a Belleville, e via discorrendo.
Andiamo al sodo: è un film da capire. Non è Shrek (che pure, ho gradito, per ragioni diverse, of course), che ti fa ridere a forza di rutti e peti, non ha dialoghi, e forse non ha neanche un personaggio principe di facile intuizione, come fatto osservare da Morena.
Ma il nocciolo del film è proprio qui. I personaggi veri sono 2 e declinabili in mille modi: natura vs cultura, modernità vs tradizione, città vs campagna, ricchi vs poveri. E' una metafora lunga 78 minuti dei conflitti della società moderna, la natura e la semplicità che combattono contro l'industrializzazione, la modernità sfrenata, consumistica, ma anche affascinante e magnetica(perché siamo rimasti tutti un po' a bocca aperta, davanti ai grattaceli sconfinati di Belleville, o davanti alla nave che salpa l'oceano).
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Non voglio prenderla alla lontana, raccontando che ieri sera tutto immaginavo tranne che saremmo finiti a vedere il dvd di Appuntamento a Belleville, e via discorrendo.
Andiamo al sodo: è un film da capire. Non è Shrek (che pure, ho gradito, per ragioni diverse, of course), che ti fa ridere a forza di rutti e peti, non ha dialoghi, e forse non ha neanche un personaggio principe di facile intuizione, come fatto osservare da Morena.
Ma il nocciolo del film è proprio qui. I personaggi veri sono 2 e declinabili in mille modi: natura vs cultura, modernità vs tradizione, città vs campagna, ricchi vs poveri. E' una metafora lunga 78 minuti dei conflitti della società moderna, la natura e la semplicità che combattono contro l'industrializzazione, la modernità sfrenata, consumistica, ma anche affascinante e magnetica(perché siamo rimasti tutti un po' a bocca aperta, davanti ai grattaceli sconfinati di Belleville, o davanti alla nave che salpa l'oceano). I due volti della metropoli, quello stupido, ignaro ed obeso, rimpinzato di hamburger, e quello degli uomini di governo, agenti segreti, laschi individui dalle spalle quadrate, senza spessore, che portano in grembo i mafiosi. Lo sfruttamento dei più deboli, un capitalismo tecnologico che li schiaccia per buona parte del film. Film che, come fatto osservare, ha un retrogusto malinconico, nostalgico, quasi il rimpianto per il sapore di una vita retrò. Ma, riassumendo e banalizzando una numerosa schiera di spunti offerti dal film, possiamo concludere che la "natura"[Champion e Madame Souza, le tre adorabili gemelle che appartenevano alla metropoli di Belleville negli anni 30 ed ora, cadute in disgrazia (la caducità del successo moderno), la abbandonano insieme agli altri protagonisti, l'ingenuità di Bruno] ha la sua rivincita, proprio negli inseguimenti finali (grottesca parodia dei thriller americani), in cui i nostri "buoni" riescono a farla franca e a sconfiggere gli enormi "uomini neri" con una serie di espedienti banalissimi e semplicissimi (come il tacco della nonna, i cappelli delle triplettes che volano in faccia agli inseguitori) che, uno ad uno, vengono eliminati con le loro auto enormi, le loro armi, dagli stessi frutti della modernità che hanno creato (finiscono sotto il treno, esplodono nella "ciminiera" di una delle enormi navi del porto). E i nostri riescono ad abbandonare Belleville. Il finale non è affrettato, semplicemente squisito e realistico. Champion&Co tornano a casa, senza conquiste, senza essersi fatti contaminare dalla metropoli, con la forza del sacrificio e radicati ai valori reali e poco scintillanti, così distanti dei riflessi accecanti della Belleville-NewYork-Montreal. In fondo, c'è uno spiraglio di fiducia. Chi non si adatta, ha pochi mezzi, rimane piccolo, quasi schiacciato. Ma, se furbo, sopravvive e resta ciò che è.
Ciò detto, ogni personaggio meriterebbe approfondimento. Ma non è questa la sede. Ringrazio il film, per gli innumerevoli omaggi, per la raffinatezza, la genialità del quasi muto, per le musiche, per i disegni-opere d'arte, per aver raccontato in maniera insospettabile (un film di animazione) la reale condizione della modernità.
Mi permetto un consiglio conclusivo: chi non l'ha compreso, lo riguardi con la mente spurgata dai vari natali in india e lucchetti sui ponti...
Ciao a tutti!
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piernelweb
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domenica 3 giugno 2007
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tutti quanti a belleville
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Sorprendente film di animazione, praticamente privo di dialoghi, che con un suggestivo appeal retrò ci porta indietro nel tempo fra la periferia francese e la New York (alias Belleville) anni 20-30. Nelle sue deformazioni geometriche, nei grotteschi personaggi filiformi e/o rotondeggianti l'esordiente Chomet trova un'inaspettato linguaggio cinematografico capace di notevoli squarci di poetico romanticismo e di humor raffinato e malinconico. Ottima la caratterizzazione dei personaggi, dalla nonna di ferro Souza, al triste nipote Champion (lampante omaggio a Fausto Coppi), all'obeso e fido cane Bruno, alle tre singolari ex vocalist del vaudeville, les triplettes di Belleville. Lo stile ricorda abbastanza quello di Bruno Bozzetto.
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Sorprendente film di animazione, praticamente privo di dialoghi, che con un suggestivo appeal retrò ci porta indietro nel tempo fra la periferia francese e la New York (alias Belleville) anni 20-30. Nelle sue deformazioni geometriche, nei grotteschi personaggi filiformi e/o rotondeggianti l'esordiente Chomet trova un'inaspettato linguaggio cinematografico capace di notevoli squarci di poetico romanticismo e di humor raffinato e malinconico. Ottima la caratterizzazione dei personaggi, dalla nonna di ferro Souza, al triste nipote Champion (lampante omaggio a Fausto Coppi), all'obeso e fido cane Bruno, alle tre singolari ex vocalist del vaudeville, les triplettes di Belleville. Lo stile ricorda abbastanza quello di Bruno Bozzetto. Decisamente convincente anche se il finale è un pò troppo veloce e confuso.
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reservoir dogs
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domenica 16 gennaio 2011
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l'antico pastello dell'animazione
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Champion è un orfano che trova nel ciclismo la sua ispirazione, allenato della nonna Suoza che gli fa da preparatrice atletica.
Ma il ragazzo viene rapito da degli sgherri durante la sua partecipazione al Tour de France, la nonna assieme al grasso cane Bruno segue il nipote rapito con un pedalò arrivando a Belleville dove grazie all'aiuto di tre vecchiette (ancora giovani), ex-cantanti della music hall riuscirà a liberarlo dalle catene della malavita.
Nell'anniversario del centenario del Tour de France quello di Chomet sembra un omaggio a Coppi (a cui Champion somiglia molto), a Tati (in casa delle tre cantati vediamo la locandina de "Le vacanze di Monsieur Hulot" e un frammento alla tv di "Giorno di festa")e al genere comico che trova vita nella corsa indiavolata, corsa a cui tutti i personaggi sono sottoposti.
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Champion è un orfano che trova nel ciclismo la sua ispirazione, allenato della nonna Suoza che gli fa da preparatrice atletica.
Ma il ragazzo viene rapito da degli sgherri durante la sua partecipazione al Tour de France, la nonna assieme al grasso cane Bruno segue il nipote rapito con un pedalò arrivando a Belleville dove grazie all'aiuto di tre vecchiette (ancora giovani), ex-cantanti della music hall riuscirà a liberarlo dalle catene della malavita.
Nell'anniversario del centenario del Tour de France quello di Chomet sembra un omaggio a Coppi (a cui Champion somiglia molto), a Tati (in casa delle tre cantati vediamo la locandina de "Le vacanze di Monsieur Hulot" e un frammento alla tv di "Giorno di festa")e al genere comico che trova vita nella corsa indiavolata, corsa a cui tutti i personaggi sono sottoposti. Più mugugnii che parole, comicità che nasconde amarezza e malinconia.
Animazione che nasce dall"antico"pastello" che come la vita fa ineluttabilmente il suo decorso e lascia spazio (purtroppo) al digitale.
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carloalberto
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lunedì 11 gennaio 2021
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chomet poetico e nostalgico come tati
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Visionario e melanconico film di Chomet, disegnato nello stile della Vecchia signora ed i piccioni e contaminato da reminescenze classiche, omaggianti ad uno dei pionieri del cinema di animazione, sulla solitudine e l’amore, sulla memoria e l’ironia che gioca nostalgicamente sulla sovrapposizione di fantasie adulte ed infantili, Tati e Disney, e sull’intreccio di passato e presente dei due protagonisti, la nonnina claudicante alta un metro che accudisce il nipote un po’ tonto e allampanato, evidentemente rimasto presto orfano. Due personaggi nati dalla matita di Chomet, più veri che se fossero attori in carne ed ossa.
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Visionario e melanconico film di Chomet, disegnato nello stile della Vecchia signora ed i piccioni e contaminato da reminescenze classiche, omaggianti ad uno dei pionieri del cinema di animazione, sulla solitudine e l’amore, sulla memoria e l’ironia che gioca nostalgicamente sulla sovrapposizione di fantasie adulte ed infantili, Tati e Disney, e sull’intreccio di passato e presente dei due protagonisti, la nonnina claudicante alta un metro che accudisce il nipote un po’ tonto e allampanato, evidentemente rimasto presto orfano. Due personaggi nati dalla matita di Chomet, più veri che se fossero attori in carne ed ossa. Del resto i fumetti non fingono, non smettono i panni di scena per vivere le loro vite, sono se stessi sempre, sono soltanto ciò che appaiono, la loro storia finisce con la fine del film, la loro vita combacia con la fruizione visiva, permane nel ricordo fantasmatico. Sono irreali per il contesto che li rende irreali, reclusi nel mondo dei cartoons, dal quale tuttavia evadono per inaspettate scorribande in quella che, per uso corrente, chiamiamo realtà e li possiamo sorprendere così a guardare divertiti un Giorno di festa di Tati in televisione, il Tati con cui Chomet condivide lo spirito antimodernista e un po’ nostalgico nel rimpianto di una campagna sopraffatta dai grattacieli della grande città con la ferrovia che simbolicamente passa accanto alla vecchia casa curvandola.
Le incursioni del fumetto nel mondo delle immagini filmiche consente l’apertura di un passaggio magico tra due mondi, parimenti partoriti dalla creatività artistica, che, pur non transitando dalla realtà, la richiama costantemente, deformandola in modo caricaturale, così che il nipote corridore prende le sembianze di Fausto Coppi, o rinviando ad essa mediante il risveglio di ricordi sepolti nella prima infanzia dello spettatore attempato. Nell’inizio-antefatto, la nostalgica rievocazione di quelle immagini, memoria del passato, si realizza con la riproposizione mimetica dei primi filmati di animazione disneyani in bianco e nero, con le Triplettes, somiglianti alTrio Lescano, mentre ancora giovani cantano in un teatro di Belleville un motivetto anni ’30 e sullo sfondo ballano le figure stilizzate vecchia maniera della Baker e di Fred Astaire.
Il plot è soltanto un pretesto, la storia narrata non ha nessuna importanza e lo stesso Chomet suggerisce allo spettatore, nella scena finale, che tutto quello che è accaduto nel film è soltanto lo spettacolo visto in televisione dal nipotino, ormai anziano, che, girato di spalle davanti al televisore, volta il capo per rispondere ad una nonnina assente, posta dietro la cinepresa o volata nell’aldilà dei cartoons, che gli domanda se gli è piaciuto, per l’appunto, il film.
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martina bady
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lunedì 19 febbraio 2007
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un film soporifero
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Immaginate una lunga e snervante pellicola cinematografica a colori.
Immaginatela provvida di suoni gutturali,rumori di sottofondo,contorsioni e gesti,musiche jazz ripetitive,e tanto,troppo muta per deliziare lo spettatore.
Immaginate che i suoni gutturali non siano emessi da Mowgli,ma da ogni singolo personaggio del film,dalla vecchia nonnetta,al nipote-cicilista immusonito,fino al trio di squinternate ed improbabili cantanti da piano bar che cercano di collaborare al ritrovamento dello scomparso.
Un film insonorizzato di agghiacciante brutezza:perciò,mi sono armata di pazienza,per porgervi la mia utile esperienza personale.E ho raggiunto una conclusione...
Si salvi chi può!!!!!!!!
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