leonardo g.
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lunedì 4 settembre 2006
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épater le bourgeois (scandalizziamo la borghesia)
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Difficile scandalizzare la borghesia del XXI secolo!
Eppure Haneke ce l'ha fatta, mettendo a nudo la storia d'una donna algida, fredda, distante, severa e del suo rapporto morboso con la madre e con il sesso.
La lettura freudiana è molto semplice: la madre (Annie Girardot) controlla ed impedisce alla figlia di quasi 40 anni (una gelida e magnifica Isabelle Huppert)d'avere una vita emancipata.
Ormai la morbosità della loro relazione è talmente radicata da risultare inscalfibile. Una guerra fredda continua fatta di liti, capricci, ripicche e riappacificazioni. Questa è la loro vita (direbbe Godard). Questo è, ormai, il loro destino (commenterebbe forse Pasolini).
La figlia, Erika, insegna pianoforte con una mostruosa contraddizione di fondo: ferisce nel cuore i meno abili e atterrisce i più bravi, che le rammentano la sua necessità, dettata dalla madre, di essere sempre la prima.
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Difficile scandalizzare la borghesia del XXI secolo!
Eppure Haneke ce l'ha fatta, mettendo a nudo la storia d'una donna algida, fredda, distante, severa e del suo rapporto morboso con la madre e con il sesso.
La lettura freudiana è molto semplice: la madre (Annie Girardot) controlla ed impedisce alla figlia di quasi 40 anni (una gelida e magnifica Isabelle Huppert)d'avere una vita emancipata.
Ormai la morbosità della loro relazione è talmente radicata da risultare inscalfibile. Una guerra fredda continua fatta di liti, capricci, ripicche e riappacificazioni. Questa è la loro vita (direbbe Godard). Questo è, ormai, il loro destino (commenterebbe forse Pasolini).
La figlia, Erika, insegna pianoforte con una mostruosa contraddizione di fondo: ferisce nel cuore i meno abili e atterrisce i più bravi, che le rammentano la sua necessità, dettata dalla madre, di essere sempre la prima.
Entra in scena un bel giovane universitario,Walter, abilissimo e amante del pianoforte. Innamorato di Erika, viene prima respinto, finchè la donna decide di stabilire una relazione sadomasochista con lui e di svelargli tutto il suo mondo.
La rigidità diurna, fatta di impermeabili, foulards e poco trucco, si trasforma in una ricerca ossessivo-compulsiva d'una sessualità tesa a degradarla, che la spinge ad annusare fazzoletti sporchi di sperma in sexy-shop o all'autolesionismo della "famosa ferita che si procura volontariamente sulla vagina".
Walter rimane all'inizio esterrefatto. Poi cede, in un secondo momento, cede al ricatto di Erika mostrando il suo lato sadico, ma alla fine la rincontra e la saluta come una conoscente qualunque. (Per proseguire il gioco del sadismo o per interrompere quel tipo di rapporto con lei?)
Emblematica la scena finale, in cui Erika per superare l'affronto deve ferirsi con il coltello.
Un film crudo fino all'inverosimile ed in più con una comprensibilità narrativa data da scene montate a tranches de vie.
Haneke apre gli occhi su quello che non si vuole sapere, nè vedere, nè ascoltare. Il piacere sessuale di cui spesso è parte integrante il sadomasochismo.
Il regista rappresenta il nostro essere animali: sottomettere e/o essere sottomessi, ma allarga giustamente il campo al regno umano, dove confluiscono infiniti rapporti psicologici, sociali e di "rispettabilità". E si sa: più una realtà si rifiuta e più questa si ripresenta con una forza, a volte, letale.
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(di massimofirenze71)
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(di melissa79)
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(di francesco2)
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pinous
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mercoledì 21 novembre 2001
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tasti bianchi, tasti neri
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Coraggioso e “disturbante”. I due aggettivi rendono bene l’idea delle caratteristiche del film di Haneke, che aveva già generato polemiche e stupore con “Funny Games” , e che ora non esita a proporre una pellicola che crea un’inquietudine tangibile in sala, (alla proiezione cui ho assistito due persone si sono sentite male).
Erika è un’insegnante di piano che vive con la madre, con la quale ha un rapporto morboso. La donna è apparentemente stabile e forte, tutta presa dal suo lavoro, completamente separata dal mondo, ma quella maschera da persona integerrima cela invece una sessualità deviata e deviante, che esploderà in un crescendo struggente e destabilizzante in una pseudo-relazione con uno dei suoi allievi.
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Coraggioso e “disturbante”. I due aggettivi rendono bene l’idea delle caratteristiche del film di Haneke, che aveva già generato polemiche e stupore con “Funny Games” , e che ora non esita a proporre una pellicola che crea un’inquietudine tangibile in sala, (alla proiezione cui ho assistito due persone si sono sentite male).
Erika è un’insegnante di piano che vive con la madre, con la quale ha un rapporto morboso. La donna è apparentemente stabile e forte, tutta presa dal suo lavoro, completamente separata dal mondo, ma quella maschera da persona integerrima cela invece una sessualità deviata e deviante, che esploderà in un crescendo struggente e destabilizzante in una pseudo-relazione con uno dei suoi allievi.
L’incapacità di Erika di provare ed accogliere sentimenti si traduce nell’impossibilità di darsi anche nel corpo, se non con fantasie estreme e mai realizzate fino in fondo. Alla fine verrà picchiata e violentata da colui che aveva coinvolto nel suo folle gioco.
Terribile la scena in cui, respinta perché ritenuta ripugnante, cerca il corpo della madre, l’unica persona al mondo che, a suo modo, amava.
Il film scava a fondo nella psiche dei personaggi, ne sottolinea con implacabile distacco le angosce, le perversioni, propone immagini molto spinte ma mai volgari.
C’è chi avanza il dubbio che si sia osato troppo, che il difficile soggetto sia sfuggito di mano al regista, ma la perfetta interpretazione della Huppert rende la protagonista intensamente vera, e lo spettatore più attento non può non condividere con quella donna il mare nero di sofferenza che emerge da lei.
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(di leonardo g.)
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stefy
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sabato 8 dicembre 2001
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capolavoro
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Una pellicola che ci pone davanti a quelle che sono le nostre fantasie e/o "stranezze" sessuali. Quelle che magari ci vergognamo a raccontare o anche solo a pensare. Ma qual è la differenza e la distanza fra malattia-perversione-diversità e sanità-normalità-buon costume? Essa sembra svolgersi nel limite fra la fantasia e l'azione, limite che la protagonista, Erika, sembra aver superato. E noi dove ci poniamo in tutto questo? Guardiamo Erika con disgusto, distanza, come una persona che è completamente altro da noi, oppure è un personaggio in cui ci riconosciamo? E' questo cio' su cui il film sembra far riflettere, non attraverso la ragione però, ma attraverso l'eco dei nostri sensi e della nostra fantasia.
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Una pellicola che ci pone davanti a quelle che sono le nostre fantasie e/o "stranezze" sessuali. Quelle che magari ci vergognamo a raccontare o anche solo a pensare. Ma qual è la differenza e la distanza fra malattia-perversione-diversità e sanità-normalità-buon costume? Essa sembra svolgersi nel limite fra la fantasia e l'azione, limite che la protagonista, Erika, sembra aver superato. E noi dove ci poniamo in tutto questo? Guardiamo Erika con disgusto, distanza, come una persona che è completamente altro da noi, oppure è un personaggio in cui ci riconosciamo? E' questo cio' su cui il film sembra far riflettere, non attraverso la ragione però, ma attraverso l'eco dei nostri sensi e della nostra fantasia. Ed è per questo che scava in noi ancor più in profondità suscitando attrazione o repulsione, mai una via di mezzo. Secondo me il regista riesce benissimo nel suo intento, senza giudicare, senza interpretare, ne' spettacolarizzare, ma lasciando "la parola" allo spettatore. Con una lucidità ed un'onestà intellettuale incredibile. Cinque stelle.
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doctor love
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venerdì 19 gennaio 2007
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crudele e patetica
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Haneke aveva già espresso in passato il suo gusto per la perversione e l'ossessione per il male che si insinua nella normalità, e in questo La Pianista non è diverso da Funny Games. Qui si aggiunge però un personaggio sviscerato nel profondo della sua psiche contorta, che si sviluppa ed evolve fino al climax finale. La Huppert nelle parti gelide e inquietanti non ha rivali, e ben poche attrici sarebbero riuscite a interpretare questo mostro patetico senza scadere nel ridicolo. Il bozzolo buio in cui vive, fatto di conservatorio e di una casa che sembra l'immagine della morte interiore delle abitanti, si apre quando nella mente ghiacciata della protagonista si fa strada il giovanotto intraprendente, che (per curiosità o intuendone le aberrazioni) la provoca fino ad innamorarsene.
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Haneke aveva già espresso in passato il suo gusto per la perversione e l'ossessione per il male che si insinua nella normalità, e in questo La Pianista non è diverso da Funny Games. Qui si aggiunge però un personaggio sviscerato nel profondo della sua psiche contorta, che si sviluppa ed evolve fino al climax finale. La Huppert nelle parti gelide e inquietanti non ha rivali, e ben poche attrici sarebbero riuscite a interpretare questo mostro patetico senza scadere nel ridicolo. Il bozzolo buio in cui vive, fatto di conservatorio e di una casa che sembra l'immagine della morte interiore delle abitanti, si apre quando nella mente ghiacciata della protagonista si fa strada il giovanotto intraprendente, che (per curiosità o intuendone le aberrazioni) la provoca fino ad innamorarsene. è qui che cade il castello di carte costruito da frequentazioni voyeuristiche in peepshow e drive in, da piaceri solitari e sanguinolenti. Il tentativo di imporsi sull'oggetto sessuale, così come fa sugli studenti più capaci (fino alla tremenda punizione imposta alla ragazza, colpevole di aver ricevuto attenzioni dall'uomo "di sua proprietà") fallisce nel momento in cui il ragazzo fugge davanti all'orrore che sgorga da Erika, ormai ferita a morte. E la carnefice, odiosa e inespressiva, si trasforma in vittima, sottomettendosi al suo amato nella scena magistrale disegnata nel magazzino dell'hockey, con la tuta che fa sembrare Walter ancora più enorme e dominatore sull'indifesa e svuotata donna. Le molte scene disturbanti si prestano alle più varie interpretazioni, lasciando aperte ferite nella sensibilità di chi vi assiste; il film non è perfetto, ma è un impresa tenere insieme un mosaico di momenti sconvolgenti senza mai rompere la tensione emotiva, che non concede alcuna tregua. Il messaggio:il mondo è terribile, la società in cui viviamo è orrenda. La stima per il regista austriaco fa un balzo in avanti, così come la convinzione che dovrebbe farsi curare, o almeno leggersi qualche libro di barzellette.
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giugy3000
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martedì 25 settembre 2012
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che tu sia per me il coltello
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Molto raro, oserei dire praticamente quasi sempre impossibile trovare condensati in un calderone cosi eterogeneo turbamenti, angosce, amori diversi e violenza in una sola pellicola. In questo che è senza dubbio uno dei capolavori di Haneke si prova davvero di tutto; in queste esimie due ore e passa minuti non si riescono a staccare gli occhi dallo schermo senza venire al contempo rapiti anima e corpo da questa "Education sentimentale" alla Flaubert di Erika, un'affermata pianista ed insegnante alto-borghese che alla veneranda età di quasi cinquant'anni vive ancora con la madre e ne condivide il medesimo letto. Ha un padre internato in clinica per pazzia e nulla ci vieta di pensare che anche lei sia in parte affetta dal medesimo morbo.
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Molto raro, oserei dire praticamente quasi sempre impossibile trovare condensati in un calderone cosi eterogeneo turbamenti, angosce, amori diversi e violenza in una sola pellicola. In questo che è senza dubbio uno dei capolavori di Haneke si prova davvero di tutto; in queste esimie due ore e passa minuti non si riescono a staccare gli occhi dallo schermo senza venire al contempo rapiti anima e corpo da questa "Education sentimentale" alla Flaubert di Erika, un'affermata pianista ed insegnante alto-borghese che alla veneranda età di quasi cinquant'anni vive ancora con la madre e ne condivide il medesimo letto. Ha un padre internato in clinica per pazzia e nulla ci vieta di pensare che anche lei sia in parte affetta dal medesimo morbo. Apparentemente ed in superficie donna distinta, dalla passione/ossessione per Schubert (di cui i pezzi sono colonna sonora portante del film), Erika, che non ha probabilmente mai avuto una vita sessuale, spesso e volentieri si reca ai drive in per spiare le giovani coppie amoreggiare e con estrema spavalderia frequenta le videoteche pornografiche peccando ogni volta di yoyeurismo. La sua quotidianità dalla doppia faccia si scontra un giorno con il reale interesse ricambiato di un giovane ragazzo studente di ingegneria, che però tocca ama la musica e suona Schubert come nessun altro prima d'ora aveva fatto per Erika. Ella però non solo non è pronta ad amare nessuno, ma non è assolutamente in grado. La sua vita passata tra le ferree regole del conservatorio e un pianoforte che ha sempre emanato privazioni e tristezze non riesce a piegarsi all'arrivo dell'amore in maniera sana. Erika chiederà a Walter (il giovane che dice di amarla) di diventare il suo giocattolo di azioni perverse, dove la morbosità di vestire finalmente panni diversi e di liberarsi dall'involucro di donna per bene, toccherà cime scabrose di frasi non-sense e voglie sadiche di atti sessuali bondage. Seguendo la falsa riga di "Bella di giorno" di Bunuel, Erika proprio come Severine, riterrà appagante e liberatorio solo quel modo di fare l'amore, volontà che ovviamente ripugnano il giovane Walter, che ormai toccando nell'orgoglio e più volte cercato, stimolato ed eccitato, non lascerà andare la sua preda finchè non avrà capito che le regole di qualsiasi gioco (sessuale o di vita) non possono essere impartite da uno solo dei partecipanti. Un'analisi visivamente fredda (intere sequenze si giostrano sul viso impassibile della mai cosi brava Isabelle Huppert) si scontrano paradossalmente con immagini di pulsante vitalità inespressa (da citare la scena in cui Erika a letto con la madre la bacia sulla bocca urlandole per la prima volta in vita sua "Ti voglio bene"). La società ci conduce ad una sottile follia e spesso nemmeno un principe azzurro su un cavallo bianco potrebbe redirmirci dall'atarassia e aponia verso il mondo. Erika sentenzia in un momento di lucidità a Walter <<Io non ho sentimenti e anche se ce li avessi per un giorno non prevarrebbero certo sulla mia intelligenza">>; una chiara visione di vita che vigliaccamente rifugge l'amore a due e si annicchilisce su se stesso, come dimostra la scena in cui Walter stufo di venir preso in giro, sollecitato e poi rifiutato "violenta" Erika e si ritroverà a svolgere una mera azione meccanica di incontro di sessi senza interagire minimamente con l'anima della compagna. C'è rimedio a tutto questo? Il finale non ci risponde in toto: Erika pare aver acceso una miccia di speranza dentro sè (inizia a sciogliersi i capelli in presenza di Walter, lo bacia qualche volta sulla bocca e desidero vederlo spesso) ma quando si troverà di fronte alla realtà del rifiuto da parte di lui, si renderà conto che una volta assaggiato un briciolo d'amore non si può più vivere in astinenza da esso come prima, facendo finta di niente. E piuttosto che piegarsi a nuove regole, ovvero quelle "normali" dell'attrazione e del desiderio, è forse meglio ferirsi con un coltello sul cuore e aggirarsi per le strade di Vienna continuando a sognare una vita che non si avrà mai.
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dandy
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domenica 10 aprile 2011
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disturbante e freddo...forse troppo.
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Più che una discesa negli inferi della psiche umana,un tuffo sgradevole e implacabile tra i comportamenti di una donna che non sembra avere un'anima,e che instaura una sorta di relazione tra la fatica(o meglio la sofferenza) dell'eseguzione pianistica,richiesta e predicata ai suoi allievi,e i tormenti sessuali e non a cui si sottopone volontariamente.Haneke,che trae la storia dall'omonimo romanzo di Elfriede Jelinek,resta fedele al suo stile.Come in "Funny Games",filma qualsiasi sgradevolezza o perversione con impassibilità e freddezza entomologica,ma in questo caso l'assenza di una qualsiasi spiegazione per il comportamento di Erika fa affiorare il sospetto del gratuito.
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Più che una discesa negli inferi della psiche umana,un tuffo sgradevole e implacabile tra i comportamenti di una donna che non sembra avere un'anima,e che instaura una sorta di relazione tra la fatica(o meglio la sofferenza) dell'eseguzione pianistica,richiesta e predicata ai suoi allievi,e i tormenti sessuali e non a cui si sottopone volontariamente.Haneke,che trae la storia dall'omonimo romanzo di Elfriede Jelinek,resta fedele al suo stile.Come in "Funny Games",filma qualsiasi sgradevolezza o perversione con impassibilità e freddezza entomologica,ma in questo caso l'assenza di una qualsiasi spiegazione per il comportamento di Erika fa affiorare il sospetto del gratuito.Così come la(stupefacente)prova della Huppert,premiata a Cannes con Magimel(che non lo meritava),finisce per sfiorare il voyerismo.Non certo per anime sensibili.Penultimo film per Annie Girardot.Sempre a Cannes ha vinto il Gran Premio della Giuria.
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maurizio
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mercoledì 16 aprile 2008
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il sentirsi passa dal dolore
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Film intenso, disturbante, violento e bello in cui la complessità dell'animo umano risalta in tutta la sua ampiezza. I giochi perversi all'interno della dinamica madre-figlia (splendide interpreti la Huppert e la Girardot) in cui si mescolano odio e amore, instinto di distruzione e senso di colpa vestito da amore, si ripresentano nella relazione sadomaso tra la pianista e il suo giovane allievo, un bravo Magimel. L'intrinseca mescolanza fra piacere e dolore che appartiene alla vita sessuale è nel film particolarmente evidenziato nella sua estremizzazione dove l'aggressione fisica sembra essenziale per contribuire alla perversa percezione di sè che la protagonista possiede. La scena finale in cui la Huppert si ferisce con un coltello è emblematica di come il sentirsi debba spesso passare dall'autoaggressione, come di solto capita nelle personalità più disturbate.
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Film intenso, disturbante, violento e bello in cui la complessità dell'animo umano risalta in tutta la sua ampiezza. I giochi perversi all'interno della dinamica madre-figlia (splendide interpreti la Huppert e la Girardot) in cui si mescolano odio e amore, instinto di distruzione e senso di colpa vestito da amore, si ripresentano nella relazione sadomaso tra la pianista e il suo giovane allievo, un bravo Magimel. L'intrinseca mescolanza fra piacere e dolore che appartiene alla vita sessuale è nel film particolarmente evidenziato nella sua estremizzazione dove l'aggressione fisica sembra essenziale per contribuire alla perversa percezione di sè che la protagonista possiede. La scena finale in cui la Huppert si ferisce con un coltello è emblematica di come il sentirsi debba spesso passare dall'autoaggressione, come di solto capita nelle personalità più disturbate.
Gran film, bella regia, bel manuale di psicopatologia.
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jayan
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venerdì 4 dicembre 2009
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capolavoro perfezionista e freddo sulla patologia
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Capolavoro perfezionista e freddo sulla patologia di una pianista benestante repressa da una madre opprimente ed esigente che non le permette di vivere la sua sessualità e i suoi amori. Un ritratto forse un po' surreale ma che visualizza in pieno alcune teorie della psicologia sugli effetti deleteri di un'educazione severa da parte della madre verso la figlia. A sua volta la figlia, celebre pianista e docente di piano al conservatorio, oltre che insegnante in privato, sarà estremamente severa e intransigente con i suoi allievi, con cui esprime un sadismo sottile e raffinato. E quando si innammorerà di un suo allievo, lui forse molto più innamorato di lei, gli chiederà di infliggerle punizioni corporali e psicologiche che crede di meritare, forse per espiare il suo comportamento severo, o forse di più nel desiderio di emulare la madre: come lei era stata severa con la figlia e la figlia con gli allievi, così vuole che l'allievo amante sia severo con lei.
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Capolavoro perfezionista e freddo sulla patologia di una pianista benestante repressa da una madre opprimente ed esigente che non le permette di vivere la sua sessualità e i suoi amori. Un ritratto forse un po' surreale ma che visualizza in pieno alcune teorie della psicologia sugli effetti deleteri di un'educazione severa da parte della madre verso la figlia. A sua volta la figlia, celebre pianista e docente di piano al conservatorio, oltre che insegnante in privato, sarà estremamente severa e intransigente con i suoi allievi, con cui esprime un sadismo sottile e raffinato. E quando si innammorerà di un suo allievo, lui forse molto più innamorato di lei, gli chiederà di infliggerle punizioni corporali e psicologiche che crede di meritare, forse per espiare il suo comportamento severo, o forse di più nel desiderio di emulare la madre: come lei era stata severa con la figlia e la figlia con gli allievi, così vuole che l'allievo amante sia severo con lei. Ma lui non ci sta. Le professa il suo amore totale e cerca di aiutarla a divenire consapevole dello stato psicotico e schizofrenico in cui è. Film drammatico, splendido, anche se è "un pugno nello stomaco" per chi lo vede. Mi ha ricordato "La caduta degli Dei" di Rossellini, che pur essendo molto diverso, esprime anch'esso i drammi, anche incestuosi e violenti, tra amore e odio, che si consumano nelle famiglie borghesi.
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francesco2
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venerdì 22 luglio 2011
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il tasto bianco (e quello nero)
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Da quasi quindici anni, quando con "Funny Games" ha inferto (Ma per davvero?) un pugno nello stomaco a quella placida (Ma per davveo?) Austria, conosciuta per via dei Balletti di Vienna e dei desolanti telefilm di "Rex", Haneke è un nome che suscita elogi e critiche (Come quelle rivoltegli abbastanza spesso, ma non sempre, da parte di chi scrive). "La pianista", si situa cronologicamente a metà della sua carriera, tra i primissimi anni in cui si era fatto conoscere con film come quello citato e "Storie"(Il cui titolo originale, molto più efficace, è"Codice sconosciuto")cinema, specie nel secondo caso, sgraziato più che originale, e la seconda, in cui titoli come "Niente da nascondere" o "Il nastro bianco" gli sono valsi meritati elogi e premi (Nel secondo caso)a Cannes, a parte un remake di "Funny Games" ancora più discutibile dell'originale.
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Da quasi quindici anni, quando con "Funny Games" ha inferto (Ma per davvero?) un pugno nello stomaco a quella placida (Ma per davveo?) Austria, conosciuta per via dei Balletti di Vienna e dei desolanti telefilm di "Rex", Haneke è un nome che suscita elogi e critiche (Come quelle rivoltegli abbastanza spesso, ma non sempre, da parte di chi scrive). "La pianista", si situa cronologicamente a metà della sua carriera, tra i primissimi anni in cui si era fatto conoscere con film come quello citato e "Storie"(Il cui titolo originale, molto più efficace, è"Codice sconosciuto")cinema, specie nel secondo caso, sgraziato più che originale, e la seconda, in cui titoli come "Niente da nascondere" o "Il nastro bianco" gli sono valsi meritati elogi e premi (Nel secondo caso)a Cannes, a parte un remake di "Funny Games" ancora più discutibile dell'originale.
Forse questo film non è una "Tappa di mezzo" nel senso esclusivamente cronologico: il regista non ha perso la sua voglia di "Epater la bourgeoisie", come scrive giustamente un'ottima recensione che precede questa, ma appoggiandosi su un'altra interprete francese(Stavolta la Huppert, mentre precedentemente era la Binoche)sceglie un timbro che unisca al suo stile grottesco e brutale la ricerca di una maggiore eleganza. C'è però qualcosa di più, forse, che può o dovrebbe richiamarci la presenza dell'interprete prediletta da Chabrol. Tra i momenti -Secondo me- più significativi ci sono quelli in cui l'attrice dà la sua definizione di musicista, colui- Mi pare- che deve sempre conservare distacco. Dunque, se si continua a illustrare la (per) versione nascosta in contesti totalmente inaspettati (Ma neanche del tutto, in fondo:E' così normale che una figlia tiri i capelli ad una madre anziana, per quanto nel corso di una lite?), c'è anche una maggiore voglia di lavor(icchi)are sui personaggi, di cercare di comprendere le loro (Re)azioni.
Forse la "Professoressa" riversa sul pianoforte quella tensione che non sfoga mai: nel nel suo bianco e nero (un pò come lei, al contempo pura e perversa, controllata ed iperemotiva) è come il "Cioccolato" di chabroliana memoria, è uno strumento(In tutti i sensi). Questo mondo però va in subbuglio non appena sfocia la passione amorosa: prima la donna cerca di eluderla,poi però nel suo orgoglio e al contempo nella sua fragilità, vuole sì dominare mma solo per essere dominata: Magimel, così più giovane di lei, è come uno spartito da suonare e da cui farsi suonare; ma siamo all'estremo opposto della "Doppia vita di veronica", ove la musica era ricerca di purezza e trasendenza(Avete prsente quando muore una delle protagoniste?); qui si dà spazio alle perversioni, che non ci riportano neanche alla sessualitàs essantottina di "Ultimo tango a Parigi" o all'ironia di un certo Corsicato. Il contesto è quello imborghesitisimo della Vienna 2000/2001, non c'è nessun momento di passaggio (Siamo alla vigilia dell'11 Settembre), ed anzi è come se momenti come la mano "Infortunata" dell'allieva (Stile "Cigno nero") ed il finale finissero per avere un effetto dirompente in un mondo fatto di convenzioni solidificate, con pochi entusiasmi che oltretutto quando scoppianos embrano morire sul nascere.
Tutto questo però non dissipa i sospetti che Haneke tenda a "Colpire al cuore", a scioccare, più che ad illustrare la sostanza. Il regista tantto elogiato a cannes, dove atingendo persino a Chabrol (Nel caso di "Niente da mascondere" e di documentare , appare
ancora lontano).
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vito patella
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venerdì 21 dicembre 2001
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bello e angoscioso
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Storia molto originale : una attempata nubile insegna pianoforte al Conservatorio di Vienna . Ha rimosso tutta la propria vita affettiva , sublimandola nella professione e nell'arte. Vive con una madre tirannica e crudele , e incontra uno studente che , in cambio dell'amore , Le impone di guardare in se stessa . Cosa che non vuol fare , per pigrizia , e per mancanza di umiltà . Invece , la pianista fa prevalere le proprie perversioni sado-maso , e così vanifica la possibilità dell'amore .
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