elgatoloco
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giovedì 16 luglio 2020
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non brillante, ma significativo
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"Un povero ricco"(Pasquale Festa Campanile, 1983, sceneggiatura di Renato Pozzetto, da un soggetto di Ottavio Jemma)non è certamente il film più divertenete di Renato, forse per il tema stesso, quello del ricco ossessionato dal fantasma della povertà, che lo stesso"schifosamente ricco"(come si definisce) si "presentifica"diventando realmente povero, ponendosi come tale, a livello esistenziale come economico, vivendo cioè a livello inferiore a quello di sopravvivenza, vivendo di espedienti e finendo a chiedere.persino, la carità. Una maniera decisamente"altra"di porre il problema, che perà risente, forse inconsciamente nella scrittura della sceneggiatura da parte di Pozzetto, del mito dei"poveri ma belli"che alla fine gli farà impalmare una bella quanto povera ragazza, una splendida Ornella Muti.
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"Un povero ricco"(Pasquale Festa Campanile, 1983, sceneggiatura di Renato Pozzetto, da un soggetto di Ottavio Jemma)non è certamente il film più divertenete di Renato, forse per il tema stesso, quello del ricco ossessionato dal fantasma della povertà, che lo stesso"schifosamente ricco"(come si definisce) si "presentifica"diventando realmente povero, ponendosi come tale, a livello esistenziale come economico, vivendo cioè a livello inferiore a quello di sopravvivenza, vivendo di espedienti e finendo a chiedere.persino, la carità. Una maniera decisamente"altra"di porre il problema, che perà risente, forse inconsciamente nella scrittura della sceneggiatura da parte di Pozzetto, del mito dei"poveri ma belli"che alla fine gli farà impalmare una bella quanto povera ragazza, una splendida Ornella Muti. Dicevo "meno comico", meno divertente di tanti altri film di Pozzetto, dove penso in primis al suo(del 1978, dunque anteriore di un lustro, scritto e diretto in quel caso e mi sembra sia l'unica regia direttamente firmata da Pozzetto)pur se la sceneggiatura è decisamente migliore di quella del tanto conclamato"Il ragazzo di campagna"dell'anno dopo. E' che qui si tratta di un problema reale, che non si può sviscerare semplicemente"divertendo", dove la comicità ma anche l'humor, quale quintessenza dei paradosso e dei paradossi, si trova a non poter "coprire tutto", ossia non riesce a rappresentare quelle situazioni in cui il ricchissimo ingegnere Eugenio, che poi si "sdoppia"quale travet Eugenio, quintessa del povero, incorre per cercare di rimanere fedele al suo modello di povertà ideale, che non è invero né francescano né gandhiano ma è semplicemente volto alla ricerca di una condizone diversa da quella che finora ha(neppure troppo felicemenete, anzi)esperito. Decisamente un film"aperto", dove a parte Ornella Muti, che deve rappresentare qui semplicemente(?!)la bellezza, dove non si può dire che"Le manchi la parola"(espressione di un celerbe giornalista), troviamo due grandi amici dei tempi del cabaret di Cochi e Renato(più Jannacci, all'epoca)ossia il"gufo"Nanni Svampa, quello di"Crava pelada"e Pietro Mazzarella che nel ruolo di"FOsforo"realizza una delle sue migliori intepretazioni di sempre. Da rivalutare, da esaminare con attenzione, "Un povero ricco"non è un film banale. El Gato
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giulio andreetta
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martedì 25 agosto 2020
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non benissimo
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Si tratta di un film che ha come protagonista Renato Pozzetto, il quale come è noto si costruito una solida notorietà interpretando una maschera di un milanese medio, borghese, in cui molta parte del pubblico può generalmente identificarsi. In questo caso interpreta un ricco industriale che, intimorito dall'idea di un suo eventuale tracollo finanziario, decide per l'appunto di sperimentare la povertà come una sorta di terapia alla paura di un fallimento economico... L'idea narrativa presenta più di qualche punto di forza, e anche qualche scena è interessante dal punto di vista dei dialoghi, e del messaggio.
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Si tratta di un film che ha come protagonista Renato Pozzetto, il quale come è noto si costruito una solida notorietà interpretando una maschera di un milanese medio, borghese, in cui molta parte del pubblico può generalmente identificarsi. In questo caso interpreta un ricco industriale che, intimorito dall'idea di un suo eventuale tracollo finanziario, decide per l'appunto di sperimentare la povertà come una sorta di terapia alla paura di un fallimento economico... L'idea narrativa presenta più di qualche punto di forza, e anche qualche scena è interessante dal punto di vista dei dialoghi, e del messaggio. Ma a mancare è l'originalità in alcune scelte espressive, ed il finale mi pare 'telefonato' e prevedibile. Ornella Muti, a mio modo di vedere, non è del tutto a suo agio con la tecnica recitativa, e offre un'interpretazione piuttosto convenzionale. Meglio di lei Pozzetto, che come al solito risulta essere credibile, anche se il personaggio non mi pare approfondito, sulla carta, in modo soddisfacente sotto il profilo d'indagine piscologica. Insomma, non si può certo definire un capolavoro questa pellicola, che ripete dei cliché piuttosto noti e prevedibili delle commedie sentimentali, o se si vuole della favola della povera ragazza che sposa il ricco principe, attualizzandola alla realtà milanese degli anni '80. Non molto più di questo.
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parpignol
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domenica 1 novembre 2015
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sorprendentemente noioso.
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Questa commediola di inizio anni '80 poggia la sua fragilissima struttura soltanto su Renato Pozzetto, che, per quanto cerchi di fare del suo meglio, da solo non basta a salvare il risultato mediocre della sceneggiatura. La trama è di una banalità unica: un uomo ricco prova a fare una vita da povero per capire come si vive senza denaro, nel caso in cui la sua azienda fallisse. Va da sé che, oltre ad esserci una moltitudine di forzature nel corso della storia, anche il finale sarà scontato (non lo sarebbe stato se fosse stato un ricco divenuto povero e poi tornato ricco, come sarà in "Ricky e Barabba")! E' scontato che lasciando la moglie a casa, questa si troverà l'amante nel suo vice (come nella più classica pochade erotica del periodo), è ovvio che Pozzetto si farà volontariamente licenziare dal nuovo lavoro in quanto altrimenti non perderebbe mai il suo impiego e anzi andrebbe vicino alla promozione, è palese che - pure ignaro del fatto che la moglie a casa lo tradisca - lui si innamorerà di una ragazza povera qualsiasi che, al termine della vicenda, farà immancabilmente diventare ricchissima.
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Questa commediola di inizio anni '80 poggia la sua fragilissima struttura soltanto su Renato Pozzetto, che, per quanto cerchi di fare del suo meglio, da solo non basta a salvare il risultato mediocre della sceneggiatura. La trama è di una banalità unica: un uomo ricco prova a fare una vita da povero per capire come si vive senza denaro, nel caso in cui la sua azienda fallisse. Va da sé che, oltre ad esserci una moltitudine di forzature nel corso della storia, anche il finale sarà scontato (non lo sarebbe stato se fosse stato un ricco divenuto povero e poi tornato ricco, come sarà in "Ricky e Barabba")! E' scontato che lasciando la moglie a casa, questa si troverà l'amante nel suo vice (come nella più classica pochade erotica del periodo), è ovvio che Pozzetto si farà volontariamente licenziare dal nuovo lavoro in quanto altrimenti non perderebbe mai il suo impiego e anzi andrebbe vicino alla promozione, è palese che - pure ignaro del fatto che la moglie a casa lo tradisca - lui si innamorerà di una ragazza povera qualsiasi che, al termine della vicenda, farà immancabilmente diventare ricchissima. Una storia colabrodo che fa acqua da tutte le parti, e che potrebbe durare mezz'ora in tutto, se non fosse che per allungare il minestrone sciapo sono state inserite innumerevoli scene completamente inutili ai fini della trama, oppure lunghi e noiosissimi monologhi fuori campo del protagonista, nel vano tentativo di condividere i sentimenti da clochard. Tra le scene inutili merita una menzione sicuramente quella, ancorché breve, in cui il neo assunto fattorino Pozzetto mentre fa le pulizie negli uffici viene attratto da una donna seduta ad una scrivania che fa volutamente cadere un timbro perché Pozzetto glielo raccolga, e quando questo si china, lei apre le gambe mostrandogli la biancheria intima e costringendo Pozzetto alla tipica esclamazione "eh la madòna!". Seguito o significato di questa scena? Nessuno! E' solo un modo, come tanti altri a dire il vero in questo film, per inserire un po' di becero erotismo tipico di quegli anni di bassissimo cinema. Tra l'altro anche i nudi parziali della moglie del riccone si sprecano, quindi non c'è da meravigliarsi... In definitiva, questo film poteva e doveva essere migliore: con un imprenditore che si mimetizza tra i dipendenti, poteva uscire una forte critica sociale (che è appena appena accennata) sulle condizioni dei lavoratori semplici, poteva essere un'occhio sul sindacalismo, uno sguardo sulla vita dei pendolari, una sottolineatura del divario vero che c'è tra ricchi e poveri in una Milano grigia e cupa. Nulla di tutto questo: allo spettatore tocca sorbirsi gli insensati stratagemmi con cui il riccone cerca di sopravvivere da clochard, ben sapendo (lui, come anche gli spettatori), che gli basterebbe tornare a casa alla vita del magnate perché tutto torni come prima, e infatti alla fine così fa, tra la noia generale di chi ha sprecato tempo e attenzione per questa commediola da dimenticare.
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