Todo modo |
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Un film di Elio Petri.
Con Gian Maria Volonté, Franco Citti, Michel Piccoli, Marcello Mastroianni, Mariangela Melato.
continua»
Drammatico,
Ratings: Kids+16,
durata 130 min.
- Italia 1976.
uscita lunedì 13 aprile 2015.
MYMONETRO
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un film penalizzato dalle troppe ambizioni
di giorgioFeedback: 0 |
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mercoledì 31 dicembre 2008 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Il film 'Todo Modo' è un'opera particolarmente rappresentativa di un film non riuscito perchè schiacciato da ambizioni stilistiche più grandi di lui. Con questo film, Petri non vuole solo fare una trasposizione di Sciascia; e c'è da comprenderlo, perchè Sciascia ha un codice espressivo troppo colto ed erudito, quindi strettamente legato alla parole scritta e, quindi, sostanzialmente intraducibile per il cinema. Nel cercare il linguaggio espressivo più adatto, Petri ricorre ad alcune trovate interessanti: la trovata di ambientare i delitti in un clima di delazione-confessione collettiva, a sua volta allucinata dal clima indotto dall'epidemia misteriosa che si svolge fuori dell'eremo Zalfer: una trovata che ha il suo referente immediato ne "il pozzo ed il pendolo" di Edgar Allan Poe, dove si evoca un delitto perpetrato sotto l'egida dell'inquisizione. Un referente utile, perchè serve ad evidenziare l'ambiguità la devozione-odio dei cattolici partecipanti agli esercizi verso Don Gaetano, nel quale (già nel romanzo) si addensa un ambigua ombra della vecchia "inquisizione". Altro referente interessante e parallelo (indotto dal regista del film sulla vita di Andreotti) è quello di Luis Bunel, specie de "il fantasma della libertà". Dove sta il limite del film? Un limite, anzitutto, risiede nel fatto che Petri calca troppo sul grottesco e, in questo, diventa ripetitivo e monotono: colpa ne sia la grande interpretazione di Volontè che occupa troppo spazio, considerato anche il carattere corale del soggetto. Il secondo limite è che viene del tutto schiacciato ed oscurata la funzione narrativa del PM (qui interpretato da Renato Salvatori) che aveva la funzione di farsi portatore principale (insieme all'io narrante) del vero messaggio di Sciascia. Sciascia vedeva nel Magistrato l'incarnazione di una "nuova inquisizione"; il magistrato era il correlato diretto di don Gaetano. Sciascia voleva dire che, andata in crisi la Chiesa come istituzione capace di portare giustizia, tale funzione di giustizia sarebbe spettata alla sola forza e alla capacità di intervento dello Stato. Di qui, il pessimismo di Sciascia: mentre la Chiesa poteva anche far leva sul soprannaturale e sul 'foro interno' come deterrente contro l'ingiustizia e la bestialità umana (e, quindi, operare soprattutto in forma "non violenta" con la 'moral suasion' ed il segreto confessionale), lo Stato (hobbesianamente inteso) ha solo la coercizione per rimediare alla bestialità dell'uomo. E in questo giudizio che è anche rimpianto sta la complessità e la poeticità (a mio parere) del romanzo di Sciascia che nel film viene del tutto persa.
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