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Todo modo, l'eredità del cinema politico

Il cinema in movimento di Roy Menarini.
di Roy Menarini

In foto l'attore Gian Maria Volontè in una scena del film.
Gian Maria Volonté 9 aprile 1933, Milano (Italia) - 6 Dicembre 1994, Florina (Grecia). Interpreta M., il presidente nel film di Elio Petri Todo modo.

lunedì 13 aprile 2015 - Approfondimenti

Il ritorno in sala di Todo modo di Elio Petri ci permette ancora una volta di ragionare sulle diverse funzioni che il cinema restaurato ha nei confronti della contemporaneità. O anche solo il cinema "ritrovato", quello che - anche solo nella nostra memoria - era scomparso e sembra invece parlare direttamente a noi. Purtroppo l'archivio della storia del cinema, anche quella italiana, è così immenso che non è semplice ricordare o conoscere nel profondo tutti i film che possono dialogare con il presente in maniera produttiva. Per esempio, rivedere oggi un film come In nome del popolo italiano di Dino Risi mostra come, all'altezza del 1971, i dissidi tra giustizia, politica e imprenditoria, il tema delle "escort", la piaga delle tangenti e l'identità allegra e poco propensa all'indignazione dei nostri concittadini fossero tutti maledettamente simili a ciò che leggiamo sui giornali negli anni Duemila.
Todo modo va anche più in là, immaginando (in maniera indiretta e allegorica) la morte di Aldo Moro prima che i tragici fatti della cronaca giungessero a compimento. Oggi restaurato (dal laboratorio L'Immagine Ritrovata e promosso dalla Cineteca di Bologna e dal Museo Nazionale del Cinema di Torino, in collaborazione con Surf Film), il film di Petri fu selvaggiamente attaccato all'epoca, e probabilmente la sua carica grottesca e ermetica lo rende particolarmente ostico agli spettatori degli anni Duemila - sia pure tutt'altro che sconosciuto ai nostri migliori registi, visto che Sorrentino se ne è certamente abbeverato per Il divo.
Leonardo Sciascia, da cui Petri trasse la sceneggiatura, difese il regista dalle polemiche dicendo: "Todo modo è un film pasoliniano, nel senso che il processo che Pasolini voleva e non poté intentare alla classe dirigente democristiana oggi è Petri a farlo. Ed è un processo che suona come un'esecuzione... Non esiste una Democrazia Cristiana migliore che si distingua da quella peggiore, un Moro che si distingua in meglio rispetto a un Fanfani. Esiste una sola Democrazia Cristiana con la quale il popolo italiano deve decidersi a fare definitivamente e radicalmente i conti".
Parole che oggi forse ci sorprendono o ci colpiscono. Sia pure abituati a ostilità e colpi bassi nei talk show politici, quale grande intellettuale o scrittore potrebbe rivolgersi così al principale partito nazionale? Da una parte dunque il rischio del cinema italiano restaurato è quello di adagiarsi in ben pochi e conosciuti rivoli, riassumibili in due principali: "l'Italia è sempre la stessa"; oppure "il cinema italiano di una volta era più grande, più coraggioso, più provocatorio".
Dall'altra, per quanto possiamo anche aderire ad alcune di queste affermazioni, esse non rimarrebbero a livello di slogan se la critica e le famigerate pagine culturali dell'Italia di oggi non si limitassero pigramente a decantare le lodi di un prodotto del passato, magari ricordando poco o nulla dell'oggetto in questione. E andassero invece a sollevare le contraddizioni, i confronti storici, le visioni di mondo e gli elementi di poetica cinematografica che ogni film del passato mette in gioco rispetto a noi.

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