paola di giuseppe
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sabato 30 gennaio 2010
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un “poema ecologico”
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Into the Wild nel lontano Ussuri,la taiga in tutte le stagioni e uomini che dentro quegli orizzonti sconfinati trovano sé stessi nell’amicizia e in un rapporto con la natura che è fatto di lotta e convivenza pacifica,di amore e odio,comunque di assoluta vicinanza.
La lettura di “Nella jungla di Ussuri” e “Dersu Uzala” di Vladimir Arseniev,con il racconto di viaggi in Siberia all’inizio del secolo e dell’incontro con Dersu Uzala,mongolo della tribù Goldi,guida Kurosawa in questo lungo viaggio in luoghi incontaminati,dove il linguaggio degli alberi e della neve, dei ghiacci e del vento,delle acque vorticose e dei placidi laghi parlano ad un piccolo uomo che sa capire e rispettare,e questo uomo che un’epidemia ha privato di casa,famiglia,tutto,incontra un giorno il piccolo drappello di uomini della città e insegna loro ad essere “buoni omini”,a lasciare i segnali dove la natura li mette,a difendersi senza distruggere,a rispettare i silenzi del vecchio eremita giapponese che sta pensando,e nel pensare vede un giardino pieno di fiori e la donna amata persa tanti anni prima.
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Into the Wild nel lontano Ussuri,la taiga in tutte le stagioni e uomini che dentro quegli orizzonti sconfinati trovano sé stessi nell’amicizia e in un rapporto con la natura che è fatto di lotta e convivenza pacifica,di amore e odio,comunque di assoluta vicinanza.
La lettura di “Nella jungla di Ussuri” e “Dersu Uzala” di Vladimir Arseniev,con il racconto di viaggi in Siberia all’inizio del secolo e dell’incontro con Dersu Uzala,mongolo della tribù Goldi,guida Kurosawa in questo lungo viaggio in luoghi incontaminati,dove il linguaggio degli alberi e della neve, dei ghiacci e del vento,delle acque vorticose e dei placidi laghi parlano ad un piccolo uomo che sa capire e rispettare,e questo uomo che un’epidemia ha privato di casa,famiglia,tutto,incontra un giorno il piccolo drappello di uomini della città e insegna loro ad essere “buoni omini”,a lasciare i segnali dove la natura li mette,a difendersi senza distruggere,a rispettare i silenzi del vecchio eremita giapponese che sta pensando,e nel pensare vede un giardino pieno di fiori e la donna amata persa tanti anni prima.
Maxim Munzuk,direttore del Teatro di Kyzil e Yuri Solomin del Teatro Maly di Mosca,
sono scelte perfette per i due ruoli.
Il primo è un solitario uomo della taiga,il legame animistico con la natura,proprio della sua cultura,lo rende una preziosa guida alla sopravvivenza per uomini che altrimenti sarebbero persi.
Fiuta il vento,parla col fuoco,uccide solo una specie di animali “Se si uccidono tutti gli animali di cosa ci nutriremo?”.
Si muove con sicurezza e velocità col suo corpo tarchiato, ulle spalle lo zaino dalle mille risorse, inventa rifugi dove solo la morte potrebbe arrivare con la tormenta,ha una mira infallibile,ma quella tigre uccisa per salvare l’amico Arseniev lo costringe ad una scelta che cambierà la sua vita.
In quel gesto Dersu ha dovuto fare i conti con la parte più sacra di sé,riconoscendo l’appartenenza a quel mondo degli uomini con cui ogni panteismo arriva,prima o poi,a scontrarsi.
Dersu sente ora che lo spirito della taiga lo sta abbandonando e l’epilogo della storia si colora di struggente senso di sconfitta nell’impatto con la città e le sue leggi insensate.
In un mondo dove il predominio è dell’artificio,Dersu è destinato a scomparire.
Dopo aver dominato con la sua presenza gli splendidi scenari siberiani,che Kurosawa esplora con sguardo affascinato,registrandone suoni e colori con gioia quasi infantile,Dersu diventa,ora sì,un piccolo uomo senza vita,chiuso in una camera di città “Come possibile omini vivere in scatola?”
Lascerà traccia di sé in un telegramma del Comune che annuncia ad Arseniev la sua fine violenta e nel tumulo scavato nel suolo ghiacciato,su cui l’amico pianta il bastone a doppia punta.
Tre anni dopo le ruspe avranno fatto sparire anche quello.
Arseniev,a cui Solomin dà la giusta dose di intensità dolce e maschia,è l’amico rapito dal fascino di Dersu,a cui si affida ciecamente.
Il loro abbraccio,dopo la separazione di cinque anni e il ritrovamento casuale nella taiga,quel suo guardare commosso e partecipe la semplice grandezza dell’amico,parlano di legami a cui l’uomo non può rinunciare,pena l’annullamento di sé,la perdita di quel “canto del mondo” per cui non esistono contropartite.
Un “poema ecologico”nell’infuriare di un decennio dove tutto doveva essere “politico”,un “imperatore” che a 65 anni deve cercare co-produzioni all’estero per poter lavorare e debuttare di nuovo come un giovane.C’è di che meditare.
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goruz
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sabato 28 agosto 2010
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poesia pura
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Una incredibile storia d'amicizia che emoziona come solo le poesie più belle sanno fare, assolutamente da vedere almeno una volta nella vita. e aggiungo che pochi altri film illustrano così bene come dovrebbe essere il rapporto uomo-natura: senza mai scadere nel patetico-sentimentale, con estrema semplicità e spontaneità, Dersu ci insegna a rispettare ciò che ci è stato donato, e che un ambiente difficile come la taiga può essere la più splendida delle regge, se si impara a viverci.
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ciclope strabico
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domenica 18 dicembre 2005
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ma come può l'uomo vivere in una scatola?
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Anno 1903, un capitano russo incontra nella taiga un piccolo ometto, Derzu Uzala, che gli fa da guida, salvandogli anche la vita durante una bufera. Nel 1907, ad una nuova spedizione, i due si incontrano ancora, ma Dersu spara ada una tigre ferendola e da allora non è più lo stesso. Il piccolo uomo cambia, è impaurito dalla minaccia dello spirito della Tigre, che non lo lascerà in pace fino alla sua morte. Ma, quasi come una punizione della Natura, ecco che la vista di Dersu peggiora e colui che per tutta la vita aveva vissuto come cacciatore, proprio colui per il quale ogni essere, ogni entità della foresta era 'omo', per il quale provare rispetto, proprio egli viene punito; è costretto a lasciare la taiga e viene accolto nella casa di città del capitano: "Il capitano va tutte le mattine a lavorare, torna a casa dalla sua famiglia e si mette a scrivere.
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Anno 1903, un capitano russo incontra nella taiga un piccolo ometto, Derzu Uzala, che gli fa da guida, salvandogli anche la vita durante una bufera. Nel 1907, ad una nuova spedizione, i due si incontrano ancora, ma Dersu spara ada una tigre ferendola e da allora non è più lo stesso. Il piccolo uomo cambia, è impaurito dalla minaccia dello spirito della Tigre, che non lo lascerà in pace fino alla sua morte. Ma, quasi come una punizione della Natura, ecco che la vista di Dersu peggiora e colui che per tutta la vita aveva vissuto come cacciatore, proprio colui per il quale ogni essere, ogni entità della foresta era 'omo', per il quale provare rispetto, proprio egli viene punito; è costretto a lasciare la taiga e viene accolto nella casa di città del capitano: "Il capitano va tutte le mattine a lavorare, torna a casa dalla sua famiglia e si mette a scrivere. Dersu invace non lavora; Dersu sta tutto il giorno a guardare il camino e a pensare alla taiga."
Ma a Dersu tutto è proibito dalle insensate leggi di città: non può pulire la canna del suo fucile sparando qualche colpo, non può abbattere un albero per ricavarne della legna, gli appare strano che si debba pagare dell'acqua quando basta andare al fiume a prenderla, non può costruirsi una capanna in paese per andarvi a dormire la notte. Dersu, abituato a vivere negli immensi spazi della taiga, si sente improgionato da quei muri, da quelle regole assurde: "Come può l'uomo vivere in una scatola?" Decide allora di andarsene, dice addio al capitano, ricevendo in dono un fucile nuovissimo, "col quale non sbaglierà neppure un colpo". Dersu verrà invece trovato morto a poca distanza dalla città, assassinato da un comune ladruncolo per rubargli il fucile.
Commovente e saggio. Kurosawa dirige un film superbo.
Saluti.
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laurence316
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martedì 9 aprile 2019
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dersu e il kapitan
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Il film che si può dire “salvò la vita di Kurosawa”, il quale, a seguito del tremendo insuccesso di Dodes’ka-den, aveva tentato il suicidio, Dersu Uzala è uno straordinario, toccante, indimenticabile racconto di amicizia.
In realtà nelle idee del regista già dagli esordi (le memorie di viaggio del vero Arsenyev colpirono da subito la sua fantasia, a tal punto che ne conservò vivido il ricordo e, appena gli venne offerta l’opportunità di portarle sullo schermo, non esitò ad accettare), il film rappresenta uno dei punti più alti della filmografia di un inimitabile autore, un’artista capace di evocare emozioni profonde, costruire personaggi e situazioni memorabili, ed arrivare al cuore delle cose.
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Il film che si può dire “salvò la vita di Kurosawa”, il quale, a seguito del tremendo insuccesso di Dodes’ka-den, aveva tentato il suicidio, Dersu Uzala è uno straordinario, toccante, indimenticabile racconto di amicizia.
In realtà nelle idee del regista già dagli esordi (le memorie di viaggio del vero Arsenyev colpirono da subito la sua fantasia, a tal punto che ne conservò vivido il ricordo e, appena gli venne offerta l’opportunità di portarle sullo schermo, non esitò ad accettare), il film rappresenta uno dei punti più alti della filmografia di un inimitabile autore, un’artista capace di evocare emozioni profonde, costruire personaggi e situazioni memorabili, ed arrivare al cuore delle cose.
Perché Dersu Uzala non è solo uno dei migliori film sull’amicizia ma anche uno dei migliori film sul rapporto tra l’uomo e la natura, un inno ad un mondo forse irrimediabilmente perduto (Dersu vive sostanzialmente in simbiosi con l’ambiente circostante e fa mostra di una sorta di animismo panteista, suscitando talvolta anche l’ilarità dei suoi accompagnatori, dai quali lo separa un abisso culturale. Ma proprio qui risiede il punto del film: nonostante le diversità, nonostante le saltuarie incomprensioni, il capitano e il simpatico cacciatore della taiga riescono ad instaurare un rapporto di profonda e sincera amicizia, di scambio reciproco e reciproco aiuto, grazie anche allo spirito di fratellanza quasi universale che anima il “piccolo uomo”, capace di preoccuparsi persino di lasciare del cibo per l’eventuale successivo occupante della capanna solo brevemente utilizzata e che probabilmente mai più rivedrà).
Difficile da descrivere a parole, è un film da vedere e “gustare”, sperimentare anche ad un livello puramente sensoriale, tra meravigliosi paesaggi stupendamente fotografati e immagini folgoranti (come nel dialogo tra Dersu e il capitano al tramonto dove la luna incontra il sole, il giorno incontra la notte, nella stessa inquadratura; o nella scena della camminata calata in un oceano di luce rossastra, rievocata nella locandina giapponese).
Al pari de I sette samurai, anche questo suo 22° film possiede indubbiamente il fascino delle cose semplici e profonde, e in questa sua semplicità è capace di emozionare e coinvolgere, nonché di lasciare un ricordo indelebile, com’è particolarità solo dei capolavori. E alla fine non si potrà fare a meno di commuoversi al ricordo della scena dell’incontro tra Dersu e Arsenyev dopo cinque anni di separazione (per non parlare della lancinante scena finale); o al semplice riecheggiare nella memoria delle parole “Dersu!”, “Kapitan!”.
Girato nel corso di due anni, tra mille traversie memori anche in questo caso di quelle durante la lavorazione de I sette samurai, Dersu Uzala è un grandissimo successo di pubblico (pare abbia venduto oltre 20 milioni di biglietti in Unione Sovietica), che contribuisce a rinsaldare la fiducia prima vacillante del grande regista nipponico; e si guadagna il 1° premio al Festival di Mosca oltre all’Oscar per il miglior film straniero.
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lore tore
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mercoledì 13 gennaio 2010
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kurosawa tra etica e sentimento umano
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Un capitano russo,topografo e comandante di un esiguo plotone, si addentra nella ancora inesplorata taiga siberiana di inizio ‘900 (1909), per tracciare una mappa territoriale. Una notte, durante il riposo del plotone in una buia ed inospitale foresta il comandante fa conoscenza con un ambiguo personaggio. Dersu, un cacciatore nomade, che da ormai 30 anni vive nei freddi boschi a stretto contatto con la natura e con i suoi animali.
Il capitano, attratto ed incuriosito dall’innocenza e spontaneità del piccolo uomo gli chiede di fargli da guida per il continuo del viaggio. Cinque anni dopo la prima spedizione, il comandante, richiamato per una nuova avventura, rincontra nuovamente il caro amico ormai invecchiato; vecchiaia che così come può essere sinonimo di esperienza può rivelarsi come un ostacolo fatale.
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Un capitano russo,topografo e comandante di un esiguo plotone, si addentra nella ancora inesplorata taiga siberiana di inizio ‘900 (1909), per tracciare una mappa territoriale. Una notte, durante il riposo del plotone in una buia ed inospitale foresta il comandante fa conoscenza con un ambiguo personaggio. Dersu, un cacciatore nomade, che da ormai 30 anni vive nei freddi boschi a stretto contatto con la natura e con i suoi animali.
Il capitano, attratto ed incuriosito dall’innocenza e spontaneità del piccolo uomo gli chiede di fargli da guida per il continuo del viaggio. Cinque anni dopo la prima spedizione, il comandante, richiamato per una nuova avventura, rincontra nuovamente il caro amico ormai invecchiato; vecchiaia che così come può essere sinonimo di esperienza può rivelarsi come un ostacolo fatale. Bergman e Kubrick, Truffaut e Altman, quando si ha a che fare con registi di questo calibro non c’è bisogno di scrivere chissà quali e sconvolgenti frasi sperando così di stupire e appassionare i lettori.
Il maestro Kurosawa è uno di questi; tutti noi conosciamo quale sia la sua abilità con la macchina da presa, la facilità con la quale riesca a scavare nell’animo umano, per questi motivo sono felice di dare il bentornato al regista del “sol levante” dopo cinque anni dal tentato suicidio (1971), conseguenza di problemi familiari e insoddisfazioni lavorative, con un film carico ti tenerezza e valori morali.
Descritto dalla critica come “un luminoso sentiero morale nel buio animo umano”, la storia si svolge in Siberia, palcoscenico perfetto simbolo di immobilità e incomunicabilità, ma allo stesso tempo l’unico posto dove i due protagonisti riescano a mantenere e salvare la loro amicizia.
1976 oscar come miglio film straniero. Bentornato maestro.
Lorenzo Tore
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il cinefilo
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lunedì 20 settembre 2010
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un capolavoro
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Si tratta,probabilmente,del più grande film"avventuroso"mai realizzato poichè non si limita al solo"intrattenimento"(come al giorno d'oggi)ma perchè illustra una delle più belle storie sul rapporto tra l'uomo e la natura che si potrebbe immaginare in chiave cinematografica.
L'anziano cacciatore Dersu Uzala(abituato alla vita nella foresta e l'interprete si chiama Maksim Munzuk))rappresenta,per il regista Akira Kurosawa(che arriva al suo 27°film)la principale espressione vivente della sintonia tra l'uomo e la natura selvaggia(la quale viene rappresentata,in chiave anche filosofica,dalla tigre che il cacciatore incontra sul suo cammino).
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Si tratta,probabilmente,del più grande film"avventuroso"mai realizzato poichè non si limita al solo"intrattenimento"(come al giorno d'oggi)ma perchè illustra una delle più belle storie sul rapporto tra l'uomo e la natura che si potrebbe immaginare in chiave cinematografica.
L'anziano cacciatore Dersu Uzala(abituato alla vita nella foresta e l'interprete si chiama Maksim Munzuk))rappresenta,per il regista Akira Kurosawa(che arriva al suo 27°film)la principale espressione vivente della sintonia tra l'uomo e la natura selvaggia(la quale viene rappresentata,in chiave anche filosofica,dalla tigre che il cacciatore incontra sul suo cammino).
Quest'opera si può definire un trionfo anche dal punto di vista della tematica dell'amicizia(il legame che unisce il capitano russo a Dersu Uzala è autentico e commovente)e la bellezza degli scenari naturali della taiga in cui si svolge la vicenda viene ulteriormente amplificata,forse indirettamente,proprio della dimensione profondamente spirituale della storia.
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sverin
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lunedì 24 novembre 2014
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dovremmo tutti seguire l'esempio di dersu!
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E' un capolavoro perchè in un'epoca materialista e superficiale come la nostra, i valori di Madre Natura, filosofici, spirituali, etici, umani, come si assaporano in questo film, vengono come le ciliegine sulla torta! Peccato che rimanga un film di nicchia! Sarebbe utile un film oggi con gli stessi contenuti. Altro valore aggiunto è dato dal fatto che Il tutto è incorniciato in una storia probabilmente vera in quanto si ispira al diario di viaggio dell'etnografo Vladim Arseniev, un'antropologo esploratore che si avventurava nella Siberia, vissuto a cavallo tra l'800 e il '900. Dersu, personaggio unico e sbalorditivo, avvincente, sapiente, umile, amabilissimo!
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luca scial�
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mercoledì 24 luglio 2013
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dersu, l'intermediario tra uomo e natura
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Un gruppo di soldati russi viene spedito in missione al confine tra Russia e Cina per ispezionare la zona, sotto la guida del Capitano Arseniev. Una notte incrociano un uomo della zona, Dersu Uzala, che vive nella foresta e ha perso moglie e figli causa peste. Il Capitano sente che è opportuno portarlo con sè come guida e Dersu accetta. Gli salva la vita due volte ma quando Arseniev lo porta a vivere in città Dersu si sente morire dentro.
Straordinaria opera cinematografica di Akira Kurosawa che traspone due diari di viaggio del Capitano Arseniev. Non a caso vinse l'Oscar e il Primo premio al Festival di Mosca. La natura viene mostrata in tutto il suo splendore e la sua irruenza, e al cospetto gli esseri umani appaiono piccoli e impotenti.
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Un gruppo di soldati russi viene spedito in missione al confine tra Russia e Cina per ispezionare la zona, sotto la guida del Capitano Arseniev. Una notte incrociano un uomo della zona, Dersu Uzala, che vive nella foresta e ha perso moglie e figli causa peste. Il Capitano sente che è opportuno portarlo con sè come guida e Dersu accetta. Gli salva la vita due volte ma quando Arseniev lo porta a vivere in città Dersu si sente morire dentro.
Straordinaria opera cinematografica di Akira Kurosawa che traspone due diari di viaggio del Capitano Arseniev. Non a caso vinse l'Oscar e il Primo premio al Festival di Mosca. La natura viene mostrata in tutto il suo splendore e la sua irruenza, e al cospetto gli esseri umani appaiono piccoli e impotenti. Tra loro, da sapiente intermediario, si pone uno strano omino, Dersu Uzala, interpretato da Maksim Munzuk, attore originario della Tuva, regione della Russia, alla sua prima e unica prova con un film internazionale. Ne seguiranno per lui altri minori di portata locale. Alcune scene che fotografano alcuni momenti della natura sono di alto impatto visivo, ma anche altre aventi protagonisti gli uomini lasciano il segno. Epilogo amaro, con la natura che non fa sconti e impone la sua ineludibile legge.
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