Le cinque giornate

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Un film di Dario Argento. Con Marilù Tolo, Adriano Celentano, Glauco Onorato, Enzo Cerusico, Luisa De Santis.
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Commedia, durata 122 min. - Italia 1974. MYMONETRO Le cinque giornate * * 1/2 - - valutazione media: 2,98 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Le cinque giornate. Valutazione 2 stelle su cinque

di Nicolas Bilchi


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martedì 13 settembre 2011

Le cinque giornate cui si riferisce il titolo sono, ovviamente, quelle degli scontri a Milano per la liberazione della città dal dominio austriaco, raccontate da Dario Argento in una storia grottesca ed assurda che ha per protagonista Cainazzo (Celentano), un ladruncolo da quattro soldi che, scappato di galera a seguito di un bombardamento, va alla ricerca del suo compagno d'avventura, divenuto un rivoluzionario. Accompagnato da un fornaio romano venuto a Milano per aiutare lo zio nel lavoro, Cainazzo vivrà una sorta di viaggio di inaziazione nei bassifondi della città che lo condurrà ad acquisire una consapevolezza etica (e addirittura politica) del vero significato della lotta per la libertà, dell'arrivismo delle classi dirigenti, dello sfruttamento del popolo, ingenuo e credulone, attraverso una sottile e vuota retorica di patriottismo e democrazia. Caianazzo abbandona così la sua originaria condizione di ignavo interessato solo ai propri "affari", elevando la propria coscienza al grado di uomo del popolo: da parassita autosufficiente ed isolato dalla società, egli si trasforma in un popolano, cioè inizia a considerarsi parte di una realtà socio-politica più ampia e di conseguenza sviluppa per la prima volta idee politiche e riesce ad esprimere un giudizio razionale ed ordinato sulla rivoluzione. La scena più bella del film è senza dubbio il confronto tra Caianazzo, divenuto ormai "maturo" e il suo compagno Libertà, che si scopre in realtà essersi venduto agli austriaci non per reale vicinanza ideologica con loro, ma solamente per proprio tornaconto personale. In questo modo Libertà fa da emblema di tutti coloro che, anzichè schierarsi, rigettano ogni valore, ogni punto di vista a vantaggio del proprio io, pronti ad abbracciare qualsiasi credo purchè esso possa portare dei giovamenti. Al di là di tutta questa buona sovrastruttura ideologica che caratterizza il film, Le cinque giornate è soprattutto un esperimento molto interessante per poter osservare Dario Argento fuori dal suo "habitat naturale": quest'opera fa infatti da spartiacque, e brilla di luce propria, tra la Trilogia degli animali e tutta la produzione successiva del regista, che abbandonerà lentamente il thriller per approdare verso il genere horror in senso stretto con la saga delle famose Tre Madri. Le attese però vengono deluse. Argento con questo film parte da un'idea di fondo anche buona, ma nella resa effettiva non fa altro, purtroppo, che darci un lampante esempio del peggior cinema italiano; un evento storico importante, drammatico ma soprattutto estremamente complesso a livello storico, e che quindi avrebbe meritato una indagine approfondita e la presentazione di svariati punti di vista su cui riflettere, viene ridotto a cornice di un film che di "storico" non ha proprio nulla. E' una commedia su misura per Celentano, infarcita di parolacce, crudezza che non deve essere scambiata per realismo narrativo, ma che si configura solo e semplicemente come comicità a buon marcato (e tra l'altro abbastanza scadente), episodi surreali, come l'incontro con l'uomo grasso e la nipote nella casa che Caianazzo era andato a svaligiare, scena molto "argentiana", o grotteschi, e una buona dose di belle donne ed erotismo per non far calare l'interesse. Un film comico della peggior specie, che, pur ispirandosi in modo evidente ai film di Totò e, in parte, addirittura a Charlie Chaplin, non fa ridere quasi mai; ma il vero problema è alla base. Argento ha completamente mancato bersaglio pensando che una commedia spregiudicata e "sporca" come questa potesse applicarsi bene al contesto di un cos importante evento della storia dell'Italia, e di conseguenza a film ultimato si rimane con un sapore di amaro in bocca e l'impressione che tutto, o quasi tutto, sia stato sbagliato. Il contrasto tra il registro basso dell'opera e l'epicità della situazione che funge da sfondo finisce per danneggiare in modo irreparabile sia la parte comica, che arriva allo spettatore inaspettata e indesiderata, sia il fatto storico narrato (o si presume che venga raccontato...), dato che esso si perde, completamente coperto dalla valanga di macchiette e di episoducci che vengono proposti con frenesia ipilettica e senza il minimo legame logico-temporale che dia continuità alla storia. Dunque un esperimento fallito ed infatti mai ripetuto in seguito dal regista, e non sorprende, considerando la qualità complessiva del film, che il produttore di Dario fosse suo fratello.

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