kronos
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sabato 6 novembre 2010
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uno dei vertici di bergman
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Sono stati spesso evidenziati con accezione negativa i debiti che questo film nutre verso l'opera di Strindberg. Si rimproverano a Bergman un'eccessiva teatralità del soggetto e la tendenza a strafare di molti dialoghi e situazioni.
Taluni denunciano un certo schematismo nel disegno delle figure femminili, così come nell'uso del colore (le tonalità rosse ossessivamente ricorrenti sfiorano il didascalismo cromatico) e dei flasback, entrambi introdotti da una fastidiosa voce fuori campo.
Eppure, al di là di qualunque rilievo negativo si possa attribuire con pedanti analisi cartesiane, 'Sussurri e grida' è un film di forza straordinaria che resta indelebile nella memoria di chi lo vede.
Le performance di tutto il cast sono ammirevoli, così come la capacità della sceneggiatura di esplorare senza falsi pudori o moralismi il tema della malattia e del dolore fisico.
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Sono stati spesso evidenziati con accezione negativa i debiti che questo film nutre verso l'opera di Strindberg. Si rimproverano a Bergman un'eccessiva teatralità del soggetto e la tendenza a strafare di molti dialoghi e situazioni.
Taluni denunciano un certo schematismo nel disegno delle figure femminili, così come nell'uso del colore (le tonalità rosse ossessivamente ricorrenti sfiorano il didascalismo cromatico) e dei flasback, entrambi introdotti da una fastidiosa voce fuori campo.
Eppure, al di là di qualunque rilievo negativo si possa attribuire con pedanti analisi cartesiane, 'Sussurri e grida' è un film di forza straordinaria che resta indelebile nella memoria di chi lo vede.
Le performance di tutto il cast sono ammirevoli, così come la capacità della sceneggiatura di esplorare senza falsi pudori o moralismi il tema della malattia e del dolore fisico. Ma anche le ipocrisie familiari, gli abissi della morte, le tenere nostalgie del passato.
A mio avviso è uno dei titoli fondamentali della filmografia di Ingmar Bergman: un genio del novecento.
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salvo
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mercoledì 29 febbraio 2012
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appunti sparsi dopo la visione di sussurri e grida
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Lo spettatore per riuscire a penetrarne la più intima essenza non deve fare altro che dare ascolto ai semplici suggerimenti che, durante tutto il corso della visione, gli deriveranno solo dai sussulti della sua anima.
Giovanni Grazzini, nel suo “Gli anni settanta in cento film”, scrive:
"Per sentire “Sussurri e grida” basta fornirsi di occhi limpidi e trepido cuore”.
Assistita dalle sue due sorelle Karin e Maria e da una governante Anna, Agnes è ammalata di cancro, e ne morirà, in una villa alla periferia di Stoccolma.
Tessuto, anzi ricamato, con sapienza, pazienza e rigore visivo, rispettando uno schema simmetrico, quasi matematico: quattro interpreti femminili contro quattro interpreti maschili; tra le quattro donne, due forti (la malata e la serva) contro altre due deboli (le due sorelle di Agnes).
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Lo spettatore per riuscire a penetrarne la più intima essenza non deve fare altro che dare ascolto ai semplici suggerimenti che, durante tutto il corso della visione, gli deriveranno solo dai sussulti della sua anima.
Giovanni Grazzini, nel suo “Gli anni settanta in cento film”, scrive:
"Per sentire “Sussurri e grida” basta fornirsi di occhi limpidi e trepido cuore”.
Assistita dalle sue due sorelle Karin e Maria e da una governante Anna, Agnes è ammalata di cancro, e ne morirà, in una villa alla periferia di Stoccolma.
Tessuto, anzi ricamato, con sapienza, pazienza e rigore visivo, rispettando uno schema simmetrico, quasi matematico: quattro interpreti femminili contro quattro interpreti maschili; tra le quattro donne, due forti (la malata e la serva) contro altre due deboli (le due sorelle di Agnes).
Bergman, alterna nel montaggio sapiente, brevi, ma significativi, flash-back.
Come quando, ad esempio in una delle scene iniziali si dipinge sullo schermo un ricordo di Agnes, immagini che si riferiscono alla sua infanzia, alla madre:
"Penso sempre alla mamma quasi ogni giorno, anche se è morta da anni”.
Il film si chiude con le immagini suggestive delle tre sorelle vestite completamente di bianco che passeggiano su un prato verde, ridendo e conversando fra loro.
Memorabile riflessione sul dolore fisico e psichico, sulla malattia mortale, sulla paura, sulla pietà umana intesa nel senso classico di “Pietas”, sull'ambigua capacità di soffrire delle donne.
Le quattro attrici-donne sono accompagnate da quattro attori-uomini, modesti, con ruoli secondari, se non addirittura negativi:
Anche al centro di questo film c'è la figura di Dio.
Dio aleggia su tutto il film, per tutto il film.
In una specie di panteismo (Dio è in tutto: tutto è Dio) non solo verbale ma anche reale.
Ma, nonostante la presenza incombente di Dio, i veri protagonisti del film, stavolta, ma come sempre, del resto, sono gli esseri umani.
Nei due diversi generi sessuali: femminile e maschile.
Le donne appaiono forti, determinate, valorose, rocciose, in netta contrapposizione, e con forte connotazione negativa con le loro qualità, si pongono i difetti dei maschi, quasi tutti codardi, reticenti, profittatori, materialisti.
Proprio questo singolare aspetto, questa distinzione manichea tra buone e cattivi, ha fatto gridare, da parte di qualche critico, ad una palese ed ingiustificata misantropia del Maestro.
I protagonisti del film sono anche i corpi umani e, soprattutto la carne e i muscoli e i nervi e le ossa di cui essi sono fatti.
Carne come corruzione del corpo, attraverso l'incedere della malattia mortale; o corpo e carne intesi come calore umano che il corpo umano irradia, soprattutto, attraverso il profondo, materiale rapporto fisico che si instaura tra la fantesca Anna e la malata Agnes.
Rapporto suggellato dall'abbraccio michelangiolesco che Bergman costruisce in una delle scene più suggestive e formalmente meglio riuscite di tutto il film.
I suoni, e la musica giocano in “Sussurri e grida” un ruolo importantissimo, fondante. Il suono è quello quasi impercettibile dei corpi, il frusciare degli abiti e della biancheria; i rintocchi degli orologi da parete o l'oscilare ininterrotto e regolare dei pendoli che scandiscono l'avanzare del tempo; o, ancora, i rantoli, i pianti, i rumori della sofferenza, i singhiozzi, i sussurri e le grida che contrappuntano alcune scene topiche.
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lucaguar
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sabato 18 gennaio 2014
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il bergman più complesso: lascia senza parole
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"Sussurri e grida" è senza dubbio uno dei film più complessi da analizzare di Bergman. Lascia veramente senza parole, per tutta la durata di questa pellicola si è travolti da un uragano di sensazioni, dubbi e ambiguità che compongono una maestosa analisi spirituale-psicologica dell'essere umano (nello specifico rappresentata attraverso l'unverso femminile) davanti alla quale, per quanto mi riguarda, la razionalità deve, almeno in parte, abdicare. L'unica via per farsi veramente trasportare ed arricchire da questa straordinaria opera è lasciarsi prendere dalle sensazioni che in quel momento giungono nell'anima senza chiedersi troppo che cosa volesse dire Bergman o che significato avesse per lui questo o quel simbolo: ognuno può interpretare la marea di sfumature emozionali che si trova davanti nel modo che sente più vicino alla sua sensibilità e, solo in parte, alla sua razionalità.
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"Sussurri e grida" è senza dubbio uno dei film più complessi da analizzare di Bergman. Lascia veramente senza parole, per tutta la durata di questa pellicola si è travolti da un uragano di sensazioni, dubbi e ambiguità che compongono una maestosa analisi spirituale-psicologica dell'essere umano (nello specifico rappresentata attraverso l'unverso femminile) davanti alla quale, per quanto mi riguarda, la razionalità deve, almeno in parte, abdicare. L'unica via per farsi veramente trasportare ed arricchire da questa straordinaria opera è lasciarsi prendere dalle sensazioni che in quel momento giungono nell'anima senza chiedersi troppo che cosa volesse dire Bergman o che significato avesse per lui questo o quel simbolo: ognuno può interpretare la marea di sfumature emozionali che si trova davanti nel modo che sente più vicino alla sua sensibilità e, solo in parte, alla sua razionalità.
Premesso ciò, "Sussurri e grida" è un sublime racconto dei rapporti tra tre sorelle, Agnese, Karin ed Maria, che si trovano a vivere insieme in una antica villa, contornate dalla figura secondaria ma essenziale della badante di Agnese, Anna.
Agnese, malata di cancro tra atroci sofferenze, è assistita con affetto da Anna, mentre le sue due sorelle sono quasi indifferenti, anche se in modo diverso, al suo dramma.
Maria è una donna a tratti sensibile, ma vive la vita con un'apatia e una superficialità di fondo, e Karin, a mio parere la figura più negativa del film, è fredda ed insensibile, che prova odio e disgusto verso la sorella e vive in modo materialistico.
Alla morte di Agnese, Maria sembra cambiare atteggiamento, volendosi avvicinare a Karin, ma quest'utima la rifiuta bruscamente. Comincia così un rapporto strano tra le due, c'è come una sorta di elastico ad unirle, che all'inizio si allunga dalla parte di Karin, odiosa e lontana dala sorella che vorrebbe avere un profondo rapporto di amicizia con lei, ma che, nella scena finale, sembra tendersi dalla parte di Maria, che riuscita in parte ad ammorbidire Karin, sembra stavolta esser lei stessa ad allontanarsi in tono freddo e distaccato.
Sullo sfondo c'è poi la figura d Anna, vero angelo custode di Agnese, che rappresenta, a mio parere, la figura di Dio (emblematica la scena iniziale nella quale prega), che nonostante i difetti delle rispettive sorelle e la terribile sofferenza di Agnese assiste tutti in modo amorevole senza giudicare mai.
"Sussurri e grida" è una forte critica all'indifferenza e alla freddezza presente nell'umanità, che nella maniera più aspra e paradossale, parte proprio dalla famiglia e che traspare non solo dal rapporto tra le sorelle ma anche dai loro rispettvi matrimoni. Bergman infatti ci presenta anche una visione disgustata e gelida della vita matrimoniale, vista come un rapporto formale di sconcertante ipocrisia, mostrato magistralmente dal regista svedese, in modo molto forte, quando Karin, stanca dell'indifferenza del marito, un importante e formale diplomatico, arriva addirittura a masturbarsi con un pezzo di vetro pur di scuotere il coniuge dalla sua freddezza. Anche Maria, dal canto suo, ha un marito assente ed indifferente che tenta persino il suicidio, e la loro piccola figlia sembra essere trattata freddamente dalla coppia.
In questo film però, come in molti di Bergman, lo stile è di una forza strepitosa. La fotografia rimane impressa nella mente in maniera quasi ossessiva, con l'insistito uso del rosso sia nelle scenografie sia nella dissolvenza alla fine delle scene, quasi a voler mostrare la crudezza e la malvagità presenti nella vita umana, e, il bianco, più raro, usato come "sfondo" per Agnese e Anna, le figure più "pure" della storia.
Un' altro tema fondamentale è ovviamente quello di Dio, immancabile in Bergman, qui forse più celato sotto le esperienze umane ma non per questo non importante, se non basilare. Una delle scene sicuramente più belle è infatti quella in cui il prete prega e benedice Agnese sul letto di morte, prima con una preghiera formale e un po' meccanica dietro uno sfondo rosso, e poi con una meravigliosa e sentita preghiera durante la quale si mette a piangere, su sfondo bianco.
Connesso al tema di Dio è il tema della morte e del suo rifiuto da parte dei vivi, visto da Bergman come il morto che "non riesce a morire" (Agnese) e che chiede l'aiuto delle sorelle le quali sono però spaventate e disgustate da un corpo che ormai ritengono estraneo alla vita e che non riconoscono più come appartenente alla sorella.
"Sussurri e grida" è un film di una tale ricchezza e profondità tematica che non basterebbero pagine e pagine per cercare di descriverlo. Io raramente ho visto film così profondi, n cui chiunque può rispecchiarsi in ciò che dice Bergman: è una sensazione straordinaria vedere questo film, che penso sia il più complesso del grande cineasta e nel quale riesce ad esplorare più in profondità e forse nel modo più disgustato i difetti e le angosce umane, nonostante riesca sempre a far prevalere la sua morale positiva di fondo, proprio alla fine del film, in cui si vedono le tre sorelle felici inseme e in cui Agnese dice di aver trovato la piena felicità nell'amore e nel calore umano.
Insomma, questo film, di una complessità incredibile, rimane indelebile nella mente e nell'anima nonostante la sua difficile e intricata visione in chiave interpretiva.
Per ricchezza di contenuti, introspezione psicologica e stile meraviglioso è veramente un caposaldo della fimografia di Bergman e della storia del cinema.
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garancebp
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giovedì 4 settembre 2014
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il colore dell'anima
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“Tutti i miei film possono essere immaginati in bianco e nero, tranne che Sussurri e grida. Nella sceneggiatura, dico di aver pensato al colore rosso come all’interno dell’anima”. Ingmar Bergman parla di Sussurri e grida come di un film pensato “in rosso”, girato all’interno dell’anima. Ed è in una casa rivestita di rosso che si svolge l’intera scena, come in un teatro, e si muovono i personaggi. Quattro donne e la presenza soffocante, respinta, sentita della morte: Agnes (Harriet Andersson), malata, sta per morire; si affida alla cura delle sorelle Karin (Ingrid Thulin) e Maria (Liv Ullman) e della loro domestica Anna (Kari Sylwan).
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“Tutti i miei film possono essere immaginati in bianco e nero, tranne che Sussurri e grida. Nella sceneggiatura, dico di aver pensato al colore rosso come all’interno dell’anima”. Ingmar Bergman parla di Sussurri e grida come di un film pensato “in rosso”, girato all’interno dell’anima. Ed è in una casa rivestita di rosso che si svolge l’intera scena, come in un teatro, e si muovono i personaggi. Quattro donne e la presenza soffocante, respinta, sentita della morte: Agnes (Harriet Andersson), malata, sta per morire; si affida alla cura delle sorelle Karin (Ingrid Thulin) e Maria (Liv Ullman) e della loro domestica Anna (Kari Sylwan). La casa di famiglia e la morte della sorella risospingono inevitabilmente Karin e Maria nel loro passato, alla ricerca delle cause dell’infelicità presente, ai momenti di gioia, se ve ne sono mai stati, in uno dei film in cui Bergman è più ossessionato dallo scorrere del tempo, come già ne Il posto delle fragole, con cui questo ha in comune la ricorrenza fin dall’inizio degli orologi. Nel film più proustiano del regista, anche le pause tra un ricordo e un pensiero attuale delle protagoniste vengono accentuate macchiandole di rosso, vere e proprie “intermittences du coeur”. Esse rischiarano la figura delle donne, permettendo di capire il motivo di un gesto brusco o appassionato: entrambe le sorelle sono sposate e insoddisfatte e cercano di sfuggire dalla trappola che ormai rappresentano i loro mariti, Maria tentando una relazione con il medico di famiglia, che in una delle scene più toccanti smaschera sul suo bel viso i segni fisici di una vita di dolori celati e falsità esibite; Karin attraverso gesti di masochismo, e questa volta il rosso-anima è il sangue che lascia fluire dalla sua vagina. La domanda che si leva attraverso di loro è: si può veramente amare? Ma soprattutto: può l’amore infine salvare? Karin e Maria s’illudono di sì. Ma entrambe non sanno amare, il loro amore è frammentario, mai scevro di risentimenti, odio, cosicché non riescono a venirsi incontro e i tentativi di comprendersi riescono solo a intervalli, finché di nuovo non vengono risucchiati dalle spire dell’ipocrisia quotidiana cui entrambe non sanno ribellarsi, lasciandole sole, senza neanche l’affetto primitivo della famiglia. È invece nelle altre due donne che Bergman ripone la sua fiducia. Agnes ama le sorelle pur riconoscendone i limiti, pur portandosi addosso le estenuanti ferite della malattia (Harriet Andersson rivolge ancora allo spettatore “lo sguardo più triste della storia del cinema”, ora su un viso pallido e segnato, ma che possiede la stessa intensità di quello della giovane Monica). Agnes trova in Anna la madre di cui, bambina, ha sentito la lontananza e questa, in lei, la figlia che ha perso troppo presto. Questo è l’amore in cui alla fine si crede, scolpito nella posa ieratica e tenera di Anna che si scopre il seno per lasciarvi riposare Agnes, come in una Pietà. E quando infine lo spirito di quest’ultima, incapace di rassegnarsi a una bergmaniana morte tormentosa e terrena, torna e chiede di venire ascoltato, solo la cameriera è capace di non aver paura, di accostarsi e abbracciare ancora quel corpo, placandolo con la certezza del proprio affetto. E tra le grida delle sorelle che non sanno vedere in quell’incapacità di morire un disperato richiamo all’amore, risuona il sussurro di Agnes sul suo diario: “Il regalo più bello e la solidarietà, il calore umano, l'affetto. Credo che la gioia sia proprio questa.”
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il cinefilo
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martedì 24 agosto 2010
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sussurri e grida
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TRAMA:In una villa isolata nei pressi di Stoccolma quattro donne si ritrovano a confrontarsi tra loro...RECENSIONE:Ingmar Bergman realizza una delle sue opere più potenti e drammatiche e la cui assoluta"freddezza"tecnico-stilistica(forse eccessiva o forse,più probabile,proprio in virtù di essa)eleva il dramma quasi al livello di un incubo onirico e,a tratti,anche surreale.
Quest'opera affronta numerose tematiche e tra queste figurano(palesemente)i temi riguardanti la vita e la morte,la famiglia,la religione,l'amicizia e il matrimonio(che viene raccontato come se fosse un rituale vuoto e privo di ogni significato)e tutto viene inquadrato da una"cornice"agghiacciante il cui perno centrale è la sofferenza pura e semplice e alla quale nessuno riesce a sfuggire.
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TRAMA:In una villa isolata nei pressi di Stoccolma quattro donne si ritrovano a confrontarsi tra loro...RECENSIONE:Ingmar Bergman realizza una delle sue opere più potenti e drammatiche e la cui assoluta"freddezza"tecnico-stilistica(forse eccessiva o forse,più probabile,proprio in virtù di essa)eleva il dramma quasi al livello di un incubo onirico e,a tratti,anche surreale.
Quest'opera affronta numerose tematiche e tra queste figurano(palesemente)i temi riguardanti la vita e la morte,la famiglia,la religione,l'amicizia e il matrimonio(che viene raccontato come se fosse un rituale vuoto e privo di ogni significato)e tutto viene inquadrato da una"cornice"agghiacciante il cui perno centrale è la sofferenza pura e semplice e alla quale nessuno riesce a sfuggire.
Il colore rosso di cui sono"tappezzate"numerose sequenze del film rappresenta il principale"simbolismo"con il quale il regista(che è anche autore della sceneggiatura)permette allo spettatore di scavare in profondità negli angoli più profondi e inquietanti della personalità di ognuna delle donne protagoniste mettendone in luce pregi e meschinità.
Questo film può vantare anche(o forse soprattutto)la meravigliosa fotografia di Sven Nykvist(che ha vinto un oscar)e la scenografia di Marik Vos Lundh.
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noia1
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domenica 10 agosto 2014
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“sto soffrendo tanto”
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Tre sorelle si ritrovano nella stessa casa, una di loro sta male e bisogna accudirla, si diramano tre modi di essere completamente differenti.
Il solito intenso Bergman, immagini che dicono più di mille parole e silenzi struggenti che immergono nell’angosciante clima (paradossalmente) di solitudine che aleggia per la casa. Tre sorelle così vicine e con le quali la più piccola ha i suoi ricordi migliori, un rapporto indissolubile che però rivela la sua fragilità al primo momento di difficoltà, niente è lasciato al caso, i colori e le immagini bellissime ed emblematiche sono fondamentali alla comprensione di tutta la vicenda.
Una specie di dimostrazione, la farsa di un esperimento sociale; prese tre sorelle che si amano si pone che una di esse si ammali inscenando le reazioni e i comportamenti conseguenti non solo delle sorelle ma anche di tutti coloro che stanno attorno all’ammalata.
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Tre sorelle si ritrovano nella stessa casa, una di loro sta male e bisogna accudirla, si diramano tre modi di essere completamente differenti.
Il solito intenso Bergman, immagini che dicono più di mille parole e silenzi struggenti che immergono nell’angosciante clima (paradossalmente) di solitudine che aleggia per la casa. Tre sorelle così vicine e con le quali la più piccola ha i suoi ricordi migliori, un rapporto indissolubile che però rivela la sua fragilità al primo momento di difficoltà, niente è lasciato al caso, i colori e le immagini bellissime ed emblematiche sono fondamentali alla comprensione di tutta la vicenda.
Una specie di dimostrazione, la farsa di un esperimento sociale; prese tre sorelle che si amano si pone che una di esse si ammali inscenando le reazioni e i comportamenti conseguenti non solo delle sorelle ma anche di tutti coloro che stanno attorno all’ammalata. Sorprendentemente il risultato è un inaspettato distacco quasi crudele, poi però ci si addentra nella vita di tutti gli altri scoprendo che ciascuno di essi ha una propria complessità e la loro supposta crudeltà è il loro solo unico modo di reagire alla disgrazia della sorella morente.
Un film da capire, il ritmo non è il suo punto forte, preparatevi più che altro alla potenza degli attimi, alla grandezza dell’analisi psicologica che viene posta senza tralasciare niente, tutto è perfettamente credibile e crudo con un finale terrorizzante.
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alfa999
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giovedì 14 agosto 2014
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diamante.
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Immenso capolavoro di Bergman.
Straordinaria riflessione sulla brutalità e l'ipocrisia così potenti nel complesso dei rapporti sociali attualmente dominanti.
Delle tre sorelle protagoniste della narrazione la più viva si rivela essere puntualmente la meno inserita nella "normale società": si tratta di un isolamento profondamente classista e quindi parziale ma notevole.
A prescindere dal limite strutturale del contesto rigidamente borghese è apprezzabile la constatazione secondo la quale Agnese immersa nella patologia mortale è effettivamente molto più viva delle sorelle formalmente più sane di lei ma profondamente immerse nella vera morte della ipocrisia e delle maschere del classico individualismo borghese e della logica spietata della morale come merce nel mondo delle merci.
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Immenso capolavoro di Bergman.
Straordinaria riflessione sulla brutalità e l'ipocrisia così potenti nel complesso dei rapporti sociali attualmente dominanti.
Delle tre sorelle protagoniste della narrazione la più viva si rivela essere puntualmente la meno inserita nella "normale società": si tratta di un isolamento profondamente classista e quindi parziale ma notevole.
A prescindere dal limite strutturale del contesto rigidamente borghese è apprezzabile la constatazione secondo la quale Agnese immersa nella patologia mortale è effettivamente molto più viva delle sorelle formalmente più sane di lei ma profondamente immerse nella vera morte della ipocrisia e delle maschere del classico individualismo borghese e della logica spietata della morale come merce nel mondo delle merci.
Non prendo in considerazione la tendenza del regista di trovare una soluzione agli immensi problemi che egli osserva nel misticismo religioso: è un percorso antico che schiere immense di uomini percorrono da millenni con risultati non particolarmente apprezzabili.
Anche questo costituisce un limite evidente del film.
La donna malata e morente cerca mediante i suoi sussurri e le sue grida di evocare la possibilià della vita e di chiamare alla vita le sorelle immerse nella società di coloro che credono di vivere ma si limitano (i più fortunati di loro) a ben sopravvivere come accade agli animali in periodi contrassegnati dalla assenza di problemi essenziali alla loro sopravvivenza.
Bergman non si rende conto e non può farlo in quanto dominato da determinate categorie mentali classiste della natura sociale delle problematiche che lo tormentano e di cui non vede soluzione se non nella rassegnazione e nella fede.
Elementi splendidi del film sono i tentativi di Maria e Karin di entrare in contatto umano e dopo pochi attimi di umanità la necessità bestiale di dovere rimettere la maschera dell'ipocrisia e della società per tornare ad essere correttamente considerate.
Letteralmente fantastico il passo del ricordo di Agnese circa la sua infanzia e il suo rapporto con la madre che immersa essa stessa nella solitudine fa avvicinare la giovane figlia e con uno sguardo indescrivibile riflette sulla fanciulla la sua stessa esistenza.
Si tratta degli attimi dove non esistono maschere:alquanto rari nella attuale società che ha l'impudenza di definirsi "umana".
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