paolp78
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martedì 26 dicembre 2023
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crudo e particolare
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Western crepuscolare molto particolare, innovativo e ben poco comune, soprattutto in quanto racconta la vita entro una tribù indiana, compiendo un’operazione mai affrontata dal cinema western classico.
Il regista Elliot Silverstein adotta un taglio molto crudo e disinibito, non facendosi problemi a mostrare scene violente e nudità (soprattutto maschili). Silverstein punta molto sulla ricostruzione realistica e senza sconti della vita degli indiani, con i loro riti primitivi e le loro usanze selvagge; la narrazione di questi aspetti, molto potente e suggestiva, costituisce la principale cifra stilistica dell’opera.
Il film non si ferma in superficie, ma in modo analitico va a raccontare gli indiani scandagliando la spiritualità di questo popolo; ne viene fuori un ritratto molto interessante e approfondito, con un’operazione assimilabile a quella che due decenni dopo realizzerà Kevin Costner con “Balla coi Lupi”.
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Western crepuscolare molto particolare, innovativo e ben poco comune, soprattutto in quanto racconta la vita entro una tribù indiana, compiendo un’operazione mai affrontata dal cinema western classico.
Il regista Elliot Silverstein adotta un taglio molto crudo e disinibito, non facendosi problemi a mostrare scene violente e nudità (soprattutto maschili). Silverstein punta molto sulla ricostruzione realistica e senza sconti della vita degli indiani, con i loro riti primitivi e le loro usanze selvagge; la narrazione di questi aspetti, molto potente e suggestiva, costituisce la principale cifra stilistica dell’opera.
Il film non si ferma in superficie, ma in modo analitico va a raccontare gli indiani scandagliando la spiritualità di questo popolo; ne viene fuori un ritratto molto interessante e approfondito, con un’operazione assimilabile a quella che due decenni dopo realizzerà Kevin Costner con “Balla coi Lupi”.
La pellicola presenta anche altre peculiarità che la rendono molto originale, su tutte quella della lingua parlata, che per più della metà dei dialoghi del film è quella degli indiani Sioux, che quindi resta del tutto incomprensibile allo spettatore. Ciò nonostante il film riesce a farsi seguire bene ed a risultare interessante.
Protagonista del film è Richard Harris, davvero bravissimo e molto a suo agio in una recitazione fisica, perfettamente nelle sue corde, nonché comunque anche molto intensa. Del resto del cast merita di essere ricordata la performance della ormai anziana Judith Anderson, difficilissima da riconoscere nella parte di una vecchia indiana, ruolo che l’attrice ricopre in modo straordinariamente credibile.
Suggestiva la scelta della fotografia.
Le scene dei combattimenti sono molto cruente e di grande effetto.
Il film riscosse un buon successo e vennero realizzate ben due sequel.
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elgatoloco
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venerdì 3 dicembre 2021
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charro quasi un eroe
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"Charro"(Charles Marquis Warren, anche sceneggiatura, da un soggetto.forse romanzo di Frederck Louis Fox, 1969)narra di un ex.bandito che vuol convincere i suoi ex.ompagni di rapine di restituire al governo mexicnao un cannone d'oro di grande valore e di notevole potenza che aveva insanguinato il Mexiico stesso durante la guerra civile(non è ben precisato quale, dato che furono diverse, come peralro le guerrre tra Mexico e United States of America): Non solo non gli danno retta ma, per vendetta rispetto a quello che considerano un insulto, lo sfregiano. Ancora dopo , quando Ccharro diviene sceriffo del luogo dove si è rifuigato è ormai divenuto sceriffo, lattaccano il vilalggio cercando di ucciderlo, Ma, come vuole la morale(e non sempre, purtroppo la storia e la "realtà")prevalgono il Bene e la Giustizia.
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"Charro"(Charles Marquis Warren, anche sceneggiatura, da un soggetto.forse romanzo di Frederck Louis Fox, 1969)narra di un ex.bandito che vuol convincere i suoi ex.ompagni di rapine di restituire al governo mexicnao un cannone d'oro di grande valore e di notevole potenza che aveva insanguinato il Mexiico stesso durante la guerra civile(non è ben precisato quale, dato che furono diverse, come peralro le guerrre tra Mexico e United States of America): Non solo non gli danno retta ma, per vendetta rispetto a quello che considerano un insulto, lo sfregiano. Ancora dopo , quando Ccharro diviene sceriffo del luogo dove si è rifuigato è ormai divenuto sceriffo, lattaccano il vilalggio cercando di ucciderlo, Ma, come vuole la morale(e non sempre, purtroppo la storia e la "realtà")prevalgono il Bene e la Giustizia. Terzulimo film di Elivs Presley qyale protagonista, è anche un film in cui per motivi scenici porta la barba, ma, soprattutto, non canta se non la canzone dle titolo in sede di titoli di testa, dunque prima dle vero inizio del film- Elivs non ha avuto recensioni particolarmente porsitive per questa intepretazione(anche la sua consuetudine con film leggeri e musicali qui non può essere presente, ovviamente), ma in realtà la sua inteprretazione è"misurata", ossia adatta allo scopo, osisa quello di mostrare come talora, appunto, il Bene possa trionfare contro tutte le avvvesirà umane e del"destino", senza strafare e senza attribuirsi meriti à la Lawrence Olivier o à la Richard Burton...Disegna un perosnaggio che vive il suo tempo e vive la condizione del bandito totalmente"redento", un personaggio che evidetnemente Elvis sentiva(a differenza di Clint Eastwood che aveva rfiutato il ruolo-e qui non ha senso proporre paragoni tra il gigante del cinema Clint e Elvis grande cantante e discretp attpre. che comunque ha sempr eintepretato onestamentee i perosnaggi filmici che gli sono stati proposti).e voleva intepretare. Tratto da un soggetto che in parte demisitica le"magnifiche sorti e progressive"del Wild West cantate e decantate da John Ford, ma sopratuttto(in versione pacchiana, di nazionalismo imperialista esasperato)da John Wayne, il film è lontaqno da un"Blue Soldier"che avrebbe commosso e fatto scattare in piedi i ribelli, ma comunque, magari partendo da un romanzo in parte"STORICO" di non eccelso valore, disegna una"Frontiera"meno eroica e più legata alle esigenze concrete dei viventi. Bene anche gli alri interpreti, tra cui INa Balin e Victor Franch. El Gato
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nicolas bilchi
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sabato 16 aprile 2011
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un uomo chiamato cavallo.
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Ci sono delle date che hanno segnato la storia del cinema; per il western, due momenti fondamentali furono il 1939 (l'uscita di "Ombre rosse") e il 1970, quando Hollywood realizzò tre film destinati a stravolgere per sempre il modo di intendere il West: "Soldato blu", "Piccolo grande uomo" e "Un uomo chiamato Cavallo". Dei tre, quest'ultimo è sicuramente il meno riuscito, non per suoi demeriti, ma piuttosto perchè gli altri due raggiunsero picchi qualitativi tali da essere definiti due capolavori del genere molto difficili da raggiungere. Silverstein, regista che già cinque anni prima, con "Cat Ballou", aveva dato avvio alla riscrittura del cinema di genere, infrangendone i canoni tradizionali e "smitizzando" la leggenda della Frontiera, qui insegue lo stesso obiettivo, ma agisce con maggiore sobrietà ed ordine.
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Ci sono delle date che hanno segnato la storia del cinema; per il western, due momenti fondamentali furono il 1939 (l'uscita di "Ombre rosse") e il 1970, quando Hollywood realizzò tre film destinati a stravolgere per sempre il modo di intendere il West: "Soldato blu", "Piccolo grande uomo" e "Un uomo chiamato Cavallo". Dei tre, quest'ultimo è sicuramente il meno riuscito, non per suoi demeriti, ma piuttosto perchè gli altri due raggiunsero picchi qualitativi tali da essere definiti due capolavori del genere molto difficili da raggiungere. Silverstein, regista che già cinque anni prima, con "Cat Ballou", aveva dato avvio alla riscrittura del cinema di genere, infrangendone i canoni tradizionali e "smitizzando" la leggenda della Frontiera, qui insegue lo stesso obiettivo, ma agisce con maggiore sobrietà ed ordine. La storia è quella di un nobile inglese di nome John Morgan (nobilitato dalla prestazione famosissima di Richard Harris) che si è elevato socialmente senza mai guadagnare nulla, semplicemente "eriditando" dalla sua famiglia o grazie ad inaspettati colpi di fortuna. Morgan va nell'America delle praterie e del selvaggio West perchè nauseato dalla sua esistenza, che gli appare banale e priva di senso; viene catturato da una tribù di indiani Sioux e qui donato alla vecchia squat del villaggio (una irriconoscibile Judith Anderson) come animale da soma: Shunka Wakan, in lingua Sioux, appunto, "uomo-cavallo".
Il grande difetto di "Un uomo chiamato Cavallo" è che, a dispetto dell'accurata ricostruzione storica ed etnografica che conferì un realismo mai visto prima agli indiani del cinema western, questo film non può essere considerato un'opera sugli indiani: si tratta invece di un dramma monocorde in cui il personaggio di Harris domina interamente la scena. Dopo essere stato catturato, John Morgan inizia un cammino di purificazione interiore che lo porterà alla scoperta di nuovi valori espressi nella vita primitiva e naturale dei Sioux; gradualmente, con un ritmo squisitamente lento, Silverstein guida l'uomo ad una morte, che è una purificazione dalla sua esistenza vuota e meschina di prima, e ad una rinascita che farà sì che egli si sposi con una giovane del luogo e si ponga addirittura a capo del villaggio quando i suoi abitanti sono coinvolti in una dura battaglia contro una tribù rivale (scontro peraltro raccontato con una efficacia visiva assolutamente lodevole). Morgan diviene cavallo, in una condizione inferiore a quella umana, e per la prima volta nella sua vita dovrà lottare per guadagnarsi qualcosa: il diritto di essere riconosciuto un essere umano... proprio come gli indiani, in un magnifico rovesciamento di prospettiva rispetto a tutto il cinema di Frontiera precedente. In tutto questo però manca veramente l'interesse per il popolo indiano. A parte alcuni momenti, i pellerossa continuano ad essere rappresentati come figure distanti dall'uomo bianco, che si esprimono in un linguaggio fin troppo simile sonoramente a quello delle belve, e quei profondi valori che colpiscono Morgan e lo inducono a dire nel finale, quando è costretto a ritornare nel mondo civilizzato, "addio mia libertà", non vengono mai veramente toccati ed approfonditi, proprio perchè l'interesse del regista è quello di raccontare l'esperienza interiore del protagonista (e in questo il film riesce superbamente, raggiungendo il proprio akmè nella scena del sacrificio al Dio del Sole), non di difendere e riabilitare l'immagine, troppo spesso denigrata dalla grande fucina hollywoodiana, di popolazioni che in realtà si resero espressione di ideali semplici e ma profondissimi, in un rapporto di armonia tra uomo e natura ormai andato perduto. A questo, appunto, penseranno i due veri capolavori del 1970...
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sospetto
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mercoledì 21 gennaio 2009
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curiosita
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ma le scene del rito sono reali o fatte con effetti speciali?
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paolo ciarpaglini
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lunedì 7 gennaio 2008
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un uomo chiamato cavallo.
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Un film che fa riflettere sulla barbarie dell'uomo bianco. Quì non ci sono scontri frà esercito ed indiani, non si tratta di un classico. La pellicola è un'omaggio al fascino di una civiltà dissoltasi per causa nostra. Richard Harris è Jhon Morgan, un nobil'uomo inglese, che per spirito di avventura si trova in territorio Sioux. Viene catturato ed i suoi amici uccisi. Viene assalito intento a lavarsi nel fiume, nudo. La pelle bianca come il latte ed il suo spirito combattivo, 'incurioscono' il capo Mano Gialla, che ne impedisce l'uccisione. Portato al villaggio, viene dato in dono come 'uomo di fatica', ad un'anziana signora. Il suo nome diverrà Shunka-Whakan (uomo cavallo). Nella tribù conosce un curioso tipo dall'accento francese, Batise (Jean Gascon) dai tratti somatici europei, comunque per metà indiano Whichaca ma che soprattutto parla la sua lingua.
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Un film che fa riflettere sulla barbarie dell'uomo bianco. Quì non ci sono scontri frà esercito ed indiani, non si tratta di un classico. La pellicola è un'omaggio al fascino di una civiltà dissoltasi per causa nostra. Richard Harris è Jhon Morgan, un nobil'uomo inglese, che per spirito di avventura si trova in territorio Sioux. Viene catturato ed i suoi amici uccisi. Viene assalito intento a lavarsi nel fiume, nudo. La pelle bianca come il latte ed il suo spirito combattivo, 'incurioscono' il capo Mano Gialla, che ne impedisce l'uccisione. Portato al villaggio, viene dato in dono come 'uomo di fatica', ad un'anziana signora. Il suo nome diverrà Shunka-Whakan (uomo cavallo). Nella tribù conosce un curioso tipo dall'accento francese, Batise (Jean Gascon) dai tratti somatici europei, comunque per metà indiano Whichaca ma che soprattutto parla la sua lingua. Anch'egli prigioniero ormai da molti anni, ha una volta tentato la fuga ma il gesto gli è costato i tendini di una gamba, recisi. Non solo diverranno amici, ma Batise diverrà l'interprete di Jhon a cui insegnerà anche le usanze della vita Siox. Presto giunge l'inverno, il freddo e Jhon all'aperto rischiando l'assideramento, entra nella tenda di Testa di Bufalo, sperando di farsi accettare. La donna, non solo è madre del capo tribù, ma anche nonna di una splendida e giovane donna in 'età da marito'. Mano Gialla suo fratello e capo, guarda Harris e permette che resti vicino al fuoco. Passa il tempo, giunge la primavera, ormai Jhon è stato (come Batise che si finge pazzo), accettato. Innamoratosi della giovane sioux, non ha comunque nessuna possibilità. Occorre 'merce' di scambio. L'occasione giunge quando due indiani di una tribù rivale, si trovano nelle vicinanze del villaggio. Jhon vede in loro non solo l'occasione per dimostrare di essere un'uomo, ma per derubarli dei cavalli e poter sposare la giovane. Assale i due e li uccide, ma non è sufficente; occorre la prova dello scalpo ed i ragazzini, lo incitano. Con tremendo sdegno Jhon vi riesce e torna a cavallo come un trionfatore. Adesso lo attende la prova più dura, quella che ne decreterà l'entrata in piena regola nella 'società'. Appeso per la carne, all'altezza dei pettorali, viene issato. Il dolore rasenta la sopportazione, ma davanti a tutti i più importanti rappresentanti della tribù dovrà restare appeso, finchè loro vorranno. L'amore che lo lega alla giovane e il desiderio di poter un giorno ritornare in patria, danno lui la forza. Ormai svenuto, appeso da ore viene calato. Adesso è un vero sioux. I preparativi per la cerimonia fervono e la sensualità della giovane, che si stà sottoponendo ai rituali.. in una tenda appartata è indescrivibile. Si uniscono e poco dopo attenderanno un bimbo. Ma attaccati da dei feroci rivali, perderanno molti uomini. E soprattutto Jhon perderà sua moglie ed il figlio in grembo. Il dolore è atroce, ma adesso è divenuto il capo. Quando lascerà la tribù che si stà spostando per altre terre, tutti lo amano profondamente. Ed in'ultima, struggente scena, saluta dall'alto con un grido tipico i suoi amici che rispondono dal fondo valle. Film bello, che mostra ciò che nel 19° secolo ancora 'viveva'. Harris, grandissimo come sempre.
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popeye
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sabato 28 ottobre 2006
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apprezzo
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La vita degli indiani viene qua splendidamente ricostruita, i fondali sono stupendi. C'è una qualche esagerazione un po' gratuita , ma è più che perdonabile. Gli attori recitano in modo credibile. Per una serata all'insegna dell'avventura e del western DOC è perfetto.
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cineofilo92
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martedì 3 ottobre 2006
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ho visto di meglio
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Non sempre i western soddisfano i miei gusti. Un uomo chiamato cavallo è certamente un titolo di culto, ma non mantiene, almeno per me, tutte le promesse. è curioso l'ulso degli effetti speciali, e, complessivamente, il prodotto c'è, ma il film è intriso di esagerazioni (normalmente presenti nei film sui pellerossa, in quanto assumevano allucinogeni e si sottoponevano enormi sforzi) di troppo. E poi il ritmo non è sempre scandito nel modo giusto. Buoni i fondali e la sceneggiatura. Sicuramente da consigliare ai fan del genere.
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