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I tre volti della paura del ’63 di Mario Bava, articolato in tre episodi, è un divertente e divertito omaggio a tre sottogeneri del cinema di genere, introdotto ironicamente dall’icona horror Boris Karloff, che svela simpaticamente, in un finale metafilmico non convenzionale per l’epoca, un trucco di scena, mostrando cosa accade dietro la cinepresa.
Il primo racconto, col maniaco omicida che camuffa la voce al telefono, minacciando di morte la vittima prescelta, che si asserraglia vanamente in casa, verrà ripreso più volte in seguito, diventando un topos del thriller all’italiana degli anni ’70 e soprattutto dei gialli di Dario Argento, con protagonista il serial killer psicopatico, non soltanto per il plot ma anche e soprattutto per la scenografia e per i toni accesi dell’arredo, come l’apparecchio telefonico che brilla di un rosso vivido color sangue.
Il secondo episodio tratta di una famiglia di vampiri, con il capostipite interpretato dallo stesso Karloff, che accoglie uno sprovveduto e predestinato viaggiatore, e si inserisce nella saga dei film ispirati al Dracula di Bram Stoker, ricordando l’antesignano del vampirismo cinematografico, il Nosferatu di Murnau del 1922, per gli effetti scenici ottenuti semplicemente con l’alternanza di diverse luci colorate che illuminano il volto di Karloff.
Il terzo episodio, dedicato alle storie di spettri ed al genere horror paranormale, sarebbe forse il meglio riuscito, se non fosse per l’improbabile e ridicolo aspetto della mummia fantasma della defunta medium che torna dall’aldilà per vendicarsi del furto dell’anello.
Sceneggiato tra gli altri da Alberto Bevilacqua, il film è un piccolo gioiello di cinematografia nostrana e si avvale di un cast in parte internazionale che risulta ottimamente doppiato. Per lo spirito tra il serio ed il faceto con cui è girato si può considerare come il precursore della serie degli scary movies americani.
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