andrea
|
venerdì 4 maggio 2001
|
la follia secondo un debitore hitchcockiano riconosciuto 2
|
|
|
|
come il personaggio più luciferino del film (che trova il suo “alter ego femminile” nella madre di Raymond interpretata da un’ottima Lansbury). Bellissima la scena in cui Sinatra incomincia a desomatizzarsi pensando alla sua smodatamente alta opinione su Raymond (“…eppure, in fondo alla mia mente, c’è qualcosa [la sua umanità, che non si è riusciti a “lavare a secco” perché non si possono distruggere i sentimenti umani] che mi dice che non è vero”). La follia esplode nei momenti più impensati come quando Sinatra andando a casa di Raymond è ricevuto dal cameriere-ex interprete in Corea (che dovrebbe essere il killer dell’Albert Hall nell’auto-remake hitchcockiano “L’uomo che sapeva troppo” del 56’) e lo assale ferinamente devastando l’appartamento e nei toni più imprevedibili quando la Leigh (“Psycho”!) si innamora immantinentemente e follemente di Sinatra.
[+]
come il personaggio più luciferino del film (che trova il suo “alter ego femminile” nella madre di Raymond interpretata da un’ottima Lansbury). Bellissima la scena in cui Sinatra incomincia a desomatizzarsi pensando alla sua smodatamente alta opinione su Raymond (“…eppure, in fondo alla mia mente, c’è qualcosa [la sua umanità, che non si è riusciti a “lavare a secco” perché non si possono distruggere i sentimenti umani] che mi dice che non è vero”). La follia esplode nei momenti più impensati come quando Sinatra andando a casa di Raymond è ricevuto dal cameriere-ex interprete in Corea (che dovrebbe essere il killer dell’Albert Hall nell’auto-remake hitchcockiano “L’uomo che sapeva troppo” del 56’) e lo assale ferinamente devastando l’appartamento e nei toni più imprevedibili quando la Leigh (“Psycho”!) si innamora immantinentemente e follemente di Sinatra. Ma, forse, la punta massima di follia (anche narrativa) è raggiunta nella scena della festa mascherata (il “travestitismo” indotto o spontaneo domina nella maggior parte delle interpretazioni) quando la figlia del senatore comunista che Raymond deve uccidere si presenta vestita come donna di quadri (qui sorge immediato il ricordo dell’esercito di carte della folle Regina di Cuori in “Alice in Wonderland”, unica trasposizione quasi iconoclasta realizzata da Walt Disney!) proprio per la sua “casualità d’impianto”. Insopportabile la freddezza asettica che si “respira” nella sequenza in cui Raymond uccide il suocero (il senatore) e la figlia, sua moglie, come insostenibile il montaggio alternato di primissimi piani di Sinatra e Harvey (notevolissimi) in cui si frappone la ripresa dall’alto (opprimente-schiacciante come l’effetto che ha sul protagonista) del tavolino su cui si gioca il “macabro solitario di sole regine di quadri” nella successiva scena in cui il primo cerca di liberare il secondo dalla sua “dipendenza omicida” con una seduta psicanalitica. Infine straordinario il serratissimo e “soffocante” montaggio nella scena finale dell’attentato al candidato alla presidenza, che riesce a creare una tensione paragonabile a quella hitchcockiana all’Albert Hall del 56’. Quest’ultima sequenza dallo sviluppo imprevedibile (“la vittoria dell’umano sull’inumano”) è “paradossalmente logica” (nell’economia narrativa del film) nella sua conclusione: il suicidio di Raymond, sull’eco della cui fucilata si innesta (con un’idea di montaggio sonoro splendida) quello del tuono nella “quieta” scena conclusiva.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a andrea »
[ - ] lascia un commento a andrea »
|
|
d'accordo? |
|
andrea
|
venerdì 4 maggio 2001
|
la follia secondo un debitore hitchcockiano riconosciuto
|
|
|
|
Film affascinantemente dominato dalla follia e dalle ossessioni in cui Frankenmeier dimostra di credere nella celebre frase da lui pronunciata su Hitchcock: “Qualunque regista americano che affermi di non essere stato influenzato da lui è completamente pazzo”, riuscendo però, da grande regista qual è, a reinventare in modo estremamente personale alcune delle ossessioni hitchcockiane, facendole diventare le sue ossessioni. Attraverso un bianco e nero raffinato, glaciale e tagliente come un rasoio Frankenmeier ci trascina in un mondo in cui passioni, ossessioni, follie e macchinazioni sotterranee si agitano senza posa seguendo una logica perversa, ambigua, imprevedibile e destrutturante.
[+]
Film affascinantemente dominato dalla follia e dalle ossessioni in cui Frankenmeier dimostra di credere nella celebre frase da lui pronunciata su Hitchcock: “Qualunque regista americano che affermi di non essere stato influenzato da lui è completamente pazzo”, riuscendo però, da grande regista qual è, a reinventare in modo estremamente personale alcune delle ossessioni hitchcockiane, facendole diventare le sue ossessioni. Attraverso un bianco e nero raffinato, glaciale e tagliente come un rasoio Frankenmeier ci trascina in un mondo in cui passioni, ossessioni, follie e macchinazioni sotterranee si agitano senza posa seguendo una logica perversa, ambigua, imprevedibile e destrutturante. Anche l’utilizzo della m.d.p. è “raziocinantemente delirante” quando utilizza, in mezzo a morbidi e fluidi movimenti, improvvisi interventi con la m.d.p.a spalla che riaffermano in chiave visiva la destrutturazione (vero e proprio “fondamento marcescente” su cui poggia tutta l’opera) del e nel film. Terribilmente indimenticabili gl’incubi-realtà (flashback) dei reduci nella loro “sporca lucidità” [come “un raffinato specchio imbrattato di fango”] (quello del soldato di colore con il soffocamento da parte di Raymond [Harvey] di un compagno e soprattutto il colpo di pistola alla testa dell’amico [che tre anni dopo farà da spalla a Hayley Mills nella piacevolissima e a suo modo raffinata commedia disneyana “F.B.I operazione gatto” di Stevenson?!] che provoca un impressionante gettito di sangue “di consistenza celebrale” sull’immagine di Stalin appesa dietro di lui). La scena della telefonata a Raymond nella quale una voce gli ordina di fare “un ipnotico solitario” che egli incomincia a “giocare” immediatamente è sottolineata da un sottofondo musicale nervosamente espressivo e introduce la scena (girata con notevole asciuttezza registica) della sintesi medica del dottore corean-comunista, che definisce il cervello del “suo paziente” come non semplicemente lavato ma lavato a secco e sulla quale imposta il ragionamento sull’efficacia di Raymond-killer (né ricordi né sentimento di colpevolezza quindi né colpa né paura [tutti temi del cinema hitchcockiano!]). Ma più spaventevolmente inumana della naturale freddezza con la quale il dottore fa questo ragionamento e quello su quale “elemento improduttivo” si può eliminare per testare l’efficacia del “suo paziente” è il consiglio che da al preoccupato collega-compagno “di fare le cose sempre con un po’ d’umorismo”, autoimmortalandosi
[-]
|
|
[+] lascia un commento a andrea »
[ - ] lascia un commento a andrea »
|
|
d'accordo? |
|
|