Quella vecchia volpe di Jacopetti ha messo, assieme a quello del suo amico Franco Prosperi, un autentico talento di fotografo, di visionario al servizio della cassetta (non c'è da scandalizzarsi, accade sempre, solo che nei casi più elevati si annullano l'uno nell'altra). Alcuni lo hanno accusato di aver venduto l'anima, ma egli è coerente (compreso il cinismo dello sfruttare tutto quanto fa spettacolo) con la filosofia, l'ideologia dell'Occidente di cui egli esprime bene gli aspetti più conservatori e reazionari come dimostra il gusto che svaria come dal liliale e il bello compiciuto al pugno nello stomaco, passando per un erotismo non volgare ma spinto per l'epoca, tutto col comune denominatore della sensazione. A differenza di quella della sinistra italiana, che lo ha accusato di fascismo, nazismo e pornografia, o perlomeno di qualunquismo e nichilismo amorale, la valutazione della critica democratica americana è generalmente buona, a dimostrazione di come il discorso valga per il costume di una civiltà. E in Italia intanto, Angelo Rizzoli, fervente conservatore, lo aveva assunto per il cinegiornale "Ieri, oggi e domani". Come sempre di volta in volta serio, ironico, beffardo, irridente, parodico, caricaturale, Jacopetti si è mosso in un mondo così come lo ha descritto Fellini ne "La dolce vita", ispirandosi a lui per il personaggio interpretato da Mastroianni (che ne aveva intiuito assieme a Fellini i tratti infantili) : un grande cinico che stempera nel sarcasmo una visione piuttosto amara e pessimista, tra gusto e disgusto, tra meraviglia e orrore per il mondo e il genere umano, intelligente da far ironia anche su se stesso ma senza scrupoli nello strumentalizzare persone, cose, eventi e perfino sentimenti, ambiguo tra l'aspirazione e la nostalgia di un ordine pulito e di valori spirituali e il fare spettacolo a effetto - senza lesinare in deformazione e mistificazione - approfittando anche delle situazioni che sembra condannare. Di tutti i film di Jacopetti, "La donna nel mondo" è il suo meno crudele, vinse il secondo dei tre David di Donatello (testimonianza del successo di pubblico e non indifferente ammirazione di parte importante della critica) assegnati a un suo film. Specie di versione dolce del feroce "Mondo cane", dedicato alla donna amata morta durante la lavorazione del film, è un giro del mondo incentrato sulla condizione femminile innegabilmente divertente anche senza condivide la filosofia, che sconta nella cattiva valutazione della maggior parte delle pubblicazioni critiche il disprezzo ideologico di chi non lo accetta come reportage per la stessa ragione che provoca il successo del pubblico. Fu anche l'ultima collaborazione di Jacopetti e Prosperi con il documentarista Paolo Cavara, che da parte sua diresse "L'occhio selvaggio", chiaramente ispirato alla figura di Jacopetti, in cui l'intento critico e autocritico non elimina la permanenza di un fascino e un'ammirazione, nonostante la denuncia di un cinismo incredibile rivelatore della difficoltà del rapporto dell'uomo in generale più che di un singolo individuo, eccezionale e insieme emblematico, con la realtà.
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