Anda Muchacho spara |
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Un film di Aldo Florio.
Con Fabio Testi, Massimo Serato, Eduardo Fajardo, José Calvo, Ben Carrè
Western,
durata 105 min.
- Italia, Spagna 1971.
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L'antieroe cinico diventa idealistadi Gianni LuciniFeedback: 29144 | altri commenti e recensioni di Gianni Lucini |
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martedì 13 settembre 2011 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
A prima vista la sceneggiatura sembra richiamare in modo quasi calligrafico alcune suggestioni narrative e visuali sperimentate da Sergio Leone in Per un pugno di dollari. Effettivamente i punti di contatto sono troppi per essere casuali. Il personaggio di Joselito pare ritagliato sul Silvanito del film di Leone e il vecchio telegrafista richiama nei modi e nelle battute il becchino Piripero dello stesso lungometraggio. Come accade al pistolero senza nome interpretato da Clint Eastwood, poi, entrambi sono gli unici alleati su cui Roy può contare in una situazione in cui tutti gli altri personaggi sono carnefici e complici o pavidi e sottomessi. La stessa collocazione del villaggio vicino alla frontiera messicana o le cure prestate di nascosto da Joselito a Roy dopo il pestaggio rimandano al film di Leone. La citazione diventa addirittura esplicita nelle sequenze che aprono la scena del duello finale, quando il protagonista emerge da una nuvola di polvere provocata dal vento nello stesso modo in cui Clint Eastwood sbucava dal fumo dell’esplosione da lui provocata. Tutte queste osservazioni non devono però trarre in inganno. Anda muchacho, spara! non è una sorta di riscrittura di Per un pugno di dollari. Più che un omaggio al “padre” del western all’italiana da parte del regista e degli altri due sceneggiatori, le citazioni rappresentano una sorta di punto di riferimento per un film che introduce una serie di forzature decisamente interessanti allo schema del primo film di Leone e, in genere, della trilogia del dollaro. La prima è che l’antieroe interpretato da Fabio Testi pur non essendo all’inizio guidato da particolari inclinazioni filantropiche come il pistolero senza nome di leoniana memoria, perde progressivamente l’indifferenza nei confronti del mondo che lo circonda. Quando arriva nel villaggio la sua unica intenzione è quella di riuscire a mettere le mani sull’oro di cui gli ha parlato Emiliano e nulla più. Non è troppo interessato alle condizioni dei minatori messicani e Redfield e compagni gli sono nemici soltanto perchè possiedono l’oro che gli interessa. Con il procedere degli eventi però il taglio della narrazione cambia registro in modo inaspettato. I dialoghi e le situazioni evolvono progressivamente, introducendo prima una denuncia antirazzista molto vicina a quella del Django di Sergio Corbucci e poi una severa critica all’accumulazione capitalistica simile a quella dello stesso Corbucci in Gli specialisti o di Giulio Questi in Se sei vivo spara. I due concetti hanno sviluppi diversi. Se la critica al razzismo diventa rapidamente esplicita con la rappresentazione dell’inumana riduzione in schiavitù dei minatori messicani e delle violenze sessuali su Jessica, quella all’accumulazione capitalistica si sviluppa attraverso un processo più lento. La svolta è nella scelta di non tenere l’oro per sé, come inizialmente progettato, ma di restituirlo ai legittimi proprietari, cioè i minatori che l’hanno estratto con il loro lavoro, non senza metterli in guardia sul fatto che la libertà ritrovata vale più di qualsiasi tesoro. Alla fine la consapevolezza è chiara ed esplicita: l’oro corrompe la coscienza. Per questo decide di lasciare la città insieme a Jessica. L’eccessiva ricchezza è un rischio anche per lui: «Me ne vado prima di avere qualche tentazione di troppo....»
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