vanessa zarastro
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venerdì 30 agosto 2019
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w i mini-appartamenti
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“L’amour flou: come separarsi e restare amici” è una commedia francese del 2018 e uscita solo in questi giorni nelle sale italiane. È un film urbano garbato e divertente, con una buona sceneggiatura e un’ottima interpretazione di entrambi gli attori e registi.
Siamo a Parigi dove una coppia di attori non più giovanissimi – Roman ha 44 anni e Philippe 53 – vivono insieme da una decina di anni, hanno due figli - Rose e Raul interpretati dai loro stessi figli -, ma non si amano più, anzi si sopportano a fatica. O almeno così entrambi raccontano alle rispettive psicoanaliste. Da almeno un anno non dormono più nello stesso letto e meditano una separazione.
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“L’amour flou: come separarsi e restare amici” è una commedia francese del 2018 e uscita solo in questi giorni nelle sale italiane. È un film urbano garbato e divertente, con una buona sceneggiatura e un’ottima interpretazione di entrambi gli attori e registi.
Siamo a Parigi dove una coppia di attori non più giovanissimi – Roman ha 44 anni e Philippe 53 – vivono insieme da una decina di anni, hanno due figli - Rose e Raul interpretati dai loro stessi figli -, ma non si amano più, anzi si sopportano a fatica. O almeno così entrambi raccontano alle rispettive psicoanaliste. Da almeno un anno non dormono più nello stesso letto e meditano una separazione. Completa il quadro familiare Lady, la di lui cagnetta basset-hound, mal tollerata da Roman.
Decidono pertanto di vendere la casa, ma sono preoccupati sia a far cambiare quartiere e scuola ai bambini sia ad allontanarsi troppo tra di loro. Accettano così una soluzione un po’ bizzarra prospettata da un agente immobiliare, e si comprano due appartamentini contigui in modo da essere sempre presenti con i figli. A tale scopo fanno buttare giù la parete divisoria in modo tale che la stanza dei figli diventerà comune tra i due appartamenti. Ogni giorno i ragazzi decideranno dove andare a fare colazione o dove cenare. A casa della mamma hanno la vasca da bagno, in quella del papà la doccia. Per contro, dalla madre hanno il terrazzo, mentre dal padre hanno la televisione al plasma.
Philippe è dotato di un notevole sense of humour, si dichiara un marxista- lennonista (da John Lennon), ma ha la sindrome di Peter Pan e, come rileva suo padre, è più «un amico dei suoi figli che il loro padre». Si diverte ancora ad andare in giro sullo skateboard a rotelle, con i capelli lunghi e il cappellino da baseball, si veste come un giovane barbone e talvolta gli piace spinellare con un suo amico, altrettanto strampalato, che vive in un barcone e che ogni tanto gli chiede ospitalità per una notte, in cambio di una fumata d’erba.
Roman sarebbe una persona più concreta se non fosse irrimediabilmente romantica e non sognasse ancora un principe azzurro che la faccia innamorare di nuovo, facendole rivivere le emozioni provate ormai molti anni prima. Ogni uomo nuovo che incontra le ispira un notevole desiderio sessuale, che per una serie di ragioni non riuscirà quasi mai a soddisfare – una volta perché è inceppata in un giovane cagionevole, un’altra, invece in un gentile e simpatico gay e così via.
La descrizione dei personaggi della coppia è molto curata e ben studiata, mentre gli altri personaggi sono mostrati in forma caricaturale e un po’ stereotipati, come se fossero visti dalla coppia con la coda dell’occhio e non a tutto tondo. Sono “gli altri”. Le due psicoanaliste, presumibilmente di due scuole diverse, sono rappresentate come macchiette, così anche i rispettivi genitori/fratelli/sorelle, il maestro didattico un po’ repressivo, l’amico di Philippe che dopo il divorzio pensa solo al suo cagnetto, e le varie ragazze più giovani che incontrerà.
La storia è una vicenda contemporanea piuttosto attuale in una società dove le separazioni sembrano essere in aumento ogni giorno, e il film è considerato da alcuni critici post-ideologico, post-permissivo, post-politico, post-femminista. Le persone inserite nel film rappresentano una serie di tipologie-luoghi comuni di un gruppo liberal – una volta si sarebbe detto radical chic - medio-borghese parigino: dalla coppia gay con desiderio di maternità alla lesbica indecisa, ma anche al maestro elementare esperto di psicologia che insiste ossessivamente sull’importanza di tagliare i capelli al bambino.
Romane Bohringer e Philippe Rebbot scrivono, dirigono e interpretano, reinventando con umorismo e fotogenia la loro storia, utilizzando le loro famiglie reali come attori nel film, girando le scene nei loro veri luoghi.
Il film ha ottenuto due candidature al prestigioso premio Cesar del 2019.
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loland10
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domenica 1 settembre 2019
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ironicamente familiare...
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“L’amour flou. Come separarsi e restare amici” (L’amour flou, 2018) è il primo lungometraggio di Romane Bohringer ePhilippe Rebbot.
Ammettere di andare in una sala d’Essai, riaperta dopo l’estate, per conoscenza del luogo e nella speranza di vedere un film francese di divertimento ma con stile.
Mi sono trovato di fronte un film (‘come sempre aggiungiamo il solito ‘sottotitolo’) particolare, o meglio una storia istantanea, sulla vita di coppia in crisi (con incipit da seduta psicologica e con una frase iniziale quasi ovvia, tipo…”non riesco a capire come siamo arrivati….
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“L’amour flou. Come separarsi e restare amici” (L’amour flou, 2018) è il primo lungometraggio di Romane Bohringer ePhilippe Rebbot.
Ammettere di andare in una sala d’Essai, riaperta dopo l’estate, per conoscenza del luogo e nella speranza di vedere un film francese di divertimento ma con stile.
Mi sono trovato di fronte un film (‘come sempre aggiungiamo il solito ‘sottotitolo’) particolare, o meglio una storia istantanea, sulla vita di coppia in crisi (con incipit da seduta psicologica e con una frase iniziale quasi ovvia, tipo…”non riesco a capire come siamo arrivati….”) con figli e relative problematiche odierne.
Odierne e in presa diretta. Un modo di contatto con altri. Reale e senza voto di finzione. Fino a quando la lezione termina orgogliosa, non meno ridanciana. Una conclusione e una festa per non pensarci.
Un senso retrò in un’ambientazione ristretta, chiusa e di linguaggi non costruiti.
Il documento film (storia vera, con attori e parenti che recitano se stessi) scorre languidamente e ironicamente con confessioni, diatribe, colazioni e cibi da preparare, luoghi comuni e invidie normali, tradimenti e figli intrecciati tra i genitori. L’appartamento da acquistare per venire incontro alla prole: ognuno per conto proprio con un luogo comune di passaggio dove i ragazzi possono giocare e comunicare con entrambi. Basta poco per essere felici … da separati.
Il ‘pedinamento’ zavattiniano (neorealista) è finito e si converte in ‘condizionamento’ (realista) in cui la finzione è scevra di qualsiasi orpello di fantasia. Gli stessi si raccontano: stile reality in tragedia minima e in comedy spiritosa. Il ‘come tante’, ma con scrittura quotidiana e senza risate, presunte o tali, registrate.
Il film fa riflettere e fa pensare ma si ha la sensazione che il ‘racconto’ può non prendere completamente e il coinvolgimento in tutto (da parte degli attori-coniugi) non rende il ‘giusto distacco’ da parte di una regia esterna (immaginando una vera e propria ‘peace’ teatrale). E’ sempre stata buona la prima? Chi sa…e quindi il modulare meglio le varie fasi di vita avrebbero ingigantito il risultato.
Un documento irriverente, laconico e ironico dove la ‘separazione’ si lascia conquistare dalla flemme semplice e spiritosa delle battute e dai passaggi oltre la ‘rete del campo’ (‘il corridoio di cui discutono), complice una partita a tennis dove il tie break sembra lontano.
La sconfitta vittoria di entrambi sembra scontata e la festa diventa al contrario....senza irritarsi, senza beccarci ma con un braccio laicamente vivo ma da separati.
Poi il politicaly-correct oramai imperversa ed ecco vedersi la gamma dei casi:tradimento doppio, gay e voglia di figlio, lesbica con voglia di amore, autoerotismo, flirt vari… mentre i figli non si vedono quasi mai.
Cast:
Romane Bohringer: inespressae un po’ repressa, non ha niente da scoprire e scopre il suo corpo per pudore e senza appartenenza;
Philippe Rebbot.: per i figli e poco per sé, trasandato e da scoprire nel mentre suo padre (senza più nulla) torna da lui e prende posto nel suo piccolissimo quotidiano.
Figli: da contorno o quasi, da crescere e da capire.
Parenti: piagnucolosi e tristi, distaccati e saggi.
Ambientazione: reale e ristretta, focale e sfocata, come a dire altro non abbiamo.
Regia: diciamo pro-causa, niente di estroso e diretta
Voto: 6/10 (***) -cinema centrico-
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