... e magari si diventa anche più umani!
Dopo il colpo grosso a livello internazionale con il precedente Kung Fusion, Chow decide di tornare alla regia di una vera e propria scommessa.
Una favola simpatica, tacciata di “buonismo” come se un film rivolto all’infanzia dovesse essere, al contrario, “cattivista”, sicuramente a tratti eccessivamente melodrammatica (ma una certa scena nei dintorni dell’epilogo saprà certo far versare una lacrimuccia a tutti i più sensibili, e ai piccini, che non avranno probabilmente sentore della prevedibilissima risoluzione della faccenda), a tratti alquanto, per l’appunto, scontata, non all’altezza delle prove migliori del regista, ma nonostante tutto quasi sorprendentemente riuscita.
[+]
... e magari si diventa anche più umani!
Dopo il colpo grosso a livello internazionale con il precedente Kung Fusion, Chow decide di tornare alla regia di una vera e propria scommessa.
Una favola simpatica, tacciata di “buonismo” come se un film rivolto all’infanzia dovesse essere, al contrario, “cattivista”, sicuramente a tratti eccessivamente melodrammatica (ma una certa scena nei dintorni dell’epilogo saprà certo far versare una lacrimuccia a tutti i più sensibili, e ai piccini, che non avranno probabilmente sentore della prevedibilissima risoluzione della faccenda), a tratti alquanto, per l’appunto, scontata, non all’altezza delle prove migliori del regista, ma nonostante tutto quasi sorprendentemente riuscita.
Checché ne dicano alcuni, difatti, grazie a CJ7 si ride e molto (a patto, però, che lo si guardi in versione originale, evitando accuratamente, come sempre, il doppiaggio), e questo nonostante la natura fondamentalmente infantile delle gag (tra le tante trovate, memorabile quella delle mosse “kung fu” della piccola creaturina, che riporta alla memoria le opere precedenti di Chow, in cui si è cimentato nella “fusione” delle mosse dell’arte marziale applicate più o meno ad ogni cosa possibile ed immaginabile, dalla cucina [God of Cookery] al calcio [Shaolin Soccer]). E tutto senza, ovviamente, dimenticare di inserire la piccola morale a coronamento e completamento.
Qualcuno potrà forse rimanere basito di fronte a certi soprusi a cui viene sottoposta la creatura proveniente dallo spazio profondo, ma sono funzionali alla costruzione del discorso. Perché il piccolo protagonista, condizionato dal contesto sociale in cui vive, da un’educazione che ripete continuamente come la massima aspirazione dell’uomo debba essere unicamente quella di accumulare ricchezza, di “avere successo”, anche utilizzando i metodi più criminosi, ed in più a causa di un iniziale malinteso, subito si aspetta da “CJ7” null’altro che un universale esecutore dei propri desideri, grazie al quale ottenere il più possibile col minimo sforzo. E appena la creaturina non si dimostrerà in grado di fungere da “genio della lampada” personale, finirà per abbandonarla. Ma il piccolo Dicky non mancherà di comprendere rapidamente il proprio errore.
Il messaggio è evidente, e altrettanto palesemente non particolarmente originale, ma non si può certo dire che sia negativo. E anche il “sacrificio” finale (che l’ultimissima scena rende chiaramente non definitivo) ribadisce una volta in più concetto, di accettazione e rapporto con l’altro, al quale donare senza necessariamente pretendere di ricevere qualcosa in cambio (all’inizio vale solo per il “CJ7” ma presto il rapporto disinteressato diventerà reciproco).
Mentre i soprusi a cui viene sottoposto dagli altri marmocchi dimostrano di una società incapace di vedere oltre, richiusa su se stessa, che attraverso il proprio spietato spirito di competitività, di efficienza, ottuso pragmatismo, sopraffazione, umiliazione e detrimento dell’altro, dogmatica accettazione di un’unica visione del mondo (con annesse tutte le più variegate scempiaggini ugualmente accettate come oro colato), ha tolto la capacità di immaginare e di meravigliarsi persino all’infanzia (il bulletto e i suoi sgherri che “giocano” a fare gli adulti, e non riescono a comprendere come non si tratti affatto di un giocattolo; sicuramente, in futuro, capaci di sopravvivere in un mondo spietato in cui a vincere è unicamente il più forte, o forse il più cattivo).
Naturalmente, tutto ciò non significa che il film renda ingombranti tutte queste possibili interpretazioni, soffocando l’impianto spettacolare, da puro intrattenimento. Anzi, forse ricercare tali interpretazioni appare un po’ esagerato alla lunga (perché, in fondo, lo scopo di questo CJ7 – Creatura extraterrestre è quello di divertire), ma ciononostante necessario al fine di rimediare ai numerosi fraintendimenti che il film si è dimostrato in grado di generare (con spettatori che vi hanno addirittura intravisto una esemplificazione di una supposta “cultura cinese dell’abuso sugli animali”. Come sempre, si è prontissimi a rintracciare tutti i possibili difetti degli altri [anche immaginari], provando un perverso piacere nel farlo; nonché non solo di fraintendere completamente un film, ma anche, per giunta, di renderlo incredibilmente emblematico di un’intera cultura, e non semplicemente, se proprio, delle idee di chi l’ha prodotto).
Al di là di ciò, sul piano più puramente cinematografico, è vero che la computer-graphics non eccelle ma è anche vero che non stona completamente, essendo usata in tono volutamente antinaturalistico e con una certa giocosa creatività in certe, esilaranti, sequenze. Per andare a creare, dunque, una sorta di “E.T. d’oriente” divertente, ritmato, recitato benissimo dalla piccola e sorprendente Jiao Xu (perché sì, in realtà si tratta di una bambina).
Che però, costato intorno ai 20 milioni di dollari, non si rivela un grandissimo successo rispetto alle precedenti opere di Chow, pur riuscendo a recuperare il budget. Almeno, rispetto ad altri, è stato distribuito in Italia, anche se, come già accennato, è consigliabile evitare la versione doppiata (altamente consigliabile).
[-]
[+] fammi capire....
(di mondolucio)
[ - ] fammi capire....
|
|