lucia
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mercoledì 6 settembre 2006
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branagh ama shakespeare
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Visto che Shakespeare colloca la foresta di Arden, che è inglese, in Francia (e non si cura affatto della geografia, fino a parlare altrove del mare di Boemia) non riesco a capire come la scelta di Branagh di ambientare la storia fantastica in Giappone possa essere criticata, se non per uno spirito pedantesco e da chi conosce poco Shakespeare.
Branagh invece ama Shakespeare. E lo si vede anche in questo film di lievi, ariosteschi intrecci amorosi.
Non ho notato la lentezza che alcuni lamentano. A me il film è piaciuto molto. Tutto m'è sembrato pieno di freschezza e con alcune idee decisamente belle (per esempio, il fratello fosco e quello luminoso, come espressioni di due aspetti di un'unica umanità; oppure il pianto del fratello maggiore di Orlando; i foglietti che dondolano dai rami; ecc.
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Visto che Shakespeare colloca la foresta di Arden, che è inglese, in Francia (e non si cura affatto della geografia, fino a parlare altrove del mare di Boemia) non riesco a capire come la scelta di Branagh di ambientare la storia fantastica in Giappone possa essere criticata, se non per uno spirito pedantesco e da chi conosce poco Shakespeare.
Branagh invece ama Shakespeare. E lo si vede anche in questo film di lievi, ariosteschi intrecci amorosi.
Non ho notato la lentezza che alcuni lamentano. A me il film è piaciuto molto. Tutto m'è sembrato pieno di freschezza e con alcune idee decisamente belle (per esempio, il fratello fosco e quello luminoso, come espressioni di due aspetti di un'unica umanità; oppure il pianto del fratello maggiore di Orlando; i foglietti che dondolano dai rami; ecc.)
Quel tanto di costumi e di arredi e giardini giapponesi, poi, rendevano molto belle le scene, dando loro quell'aspetto fiabesco che si adatta assolutamente bene allo spirito di questa commedia. Che è appunto una fiaba, non un racconto storico. La foresta è qui il mito della foresta: dell'eden innocente dove l'umanità vive in armonia con la natura; così come il ducato è la rappresentazione di un qualsiasi sistema civile di potere, con la sua corruzione, e la violenza.
Gli attori sono bravissimi. Tutti. Godibilissimi. Scelti opportunamente rispetto ai ruoli. E il Jacques di Kline è perfetto.
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giulia gibertoni
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giovedì 26 ottobre 2006
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a sherwood l'amore vince tutto
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Dopo l’onorata carriera di adattatore shakespeariano che gli si conosce, dovrebbe Kenneth Branagh rinnovarsi? In fondo, i drammi di Shakespeare non ne hanno necessità: sono un’eterna opera-mondo che per eccellenza parla a tutte le epoche.
E Kenneth Branagh a chi sta parlando? Amleto, Otello, Ofelia, Falstaff, seppur con alti e bassi, da cinque secoli vivono di rendita, misteriosamente tenuti in vita da una forza narrativa e simbolica che sembra non esaurirsi in nessuna contemporaneità. Dovrebbe Branagh vivere di rendita?
Effettivamente ha potuto farlo per alcuni anni, sull’onda di una sana tendenza alla divulgazione del grande teatro, eppure al suo quinto adattamento shakespeariano (dopo Enrico V, Molto rumore per nulla, Hamlet e Pene d’amor perdute), alcuni suoi stilemi registici e una visione in fondo troppo caricata per la cinepresa tolgono decisamente efficacia al testo di partenza.
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Dopo l’onorata carriera di adattatore shakespeariano che gli si conosce, dovrebbe Kenneth Branagh rinnovarsi? In fondo, i drammi di Shakespeare non ne hanno necessità: sono un’eterna opera-mondo che per eccellenza parla a tutte le epoche.
E Kenneth Branagh a chi sta parlando? Amleto, Otello, Ofelia, Falstaff, seppur con alti e bassi, da cinque secoli vivono di rendita, misteriosamente tenuti in vita da una forza narrativa e simbolica che sembra non esaurirsi in nessuna contemporaneità. Dovrebbe Branagh vivere di rendita?
Effettivamente ha potuto farlo per alcuni anni, sull’onda di una sana tendenza alla divulgazione del grande teatro, eppure al suo quinto adattamento shakespeariano (dopo Enrico V, Molto rumore per nulla, Hamlet e Pene d’amor perdute), alcuni suoi stilemi registici e una visione in fondo troppo caricata per la cinepresa tolgono decisamente efficacia al testo di partenza. Per giunta, fanno di questo adattamento un progetto ozioso. A tratti, ci rendono il Bardo un po’ indigesto. C’è qualcosa che non va.
Innanzitutto non va la decisione del regista di prendere di peso la storia, trasferirla nel Giappone del XIX secolo e poi immaginare gli stessi personaggi come coloni inglesi che vanno creandosi un impero personale fondato sul commercio con l’Estremo Oriente. Tra l’altro, la nuova ambientazione resta molto sottintesa, perché, tranne la rappresentazione kabuki all’inizio (poteva mancare il teatro nel teatro?) e un lottatore di sumo molto fuori luogo, c’è ben poco Giappone in questa follia branaghiana. La foresta di Arden potrebbe essere quella di Sherwood e i futuri mariti di Rosalind e Celia sono due fratelli di colore (come in Molto rumore per nulla Denzel Washington era un principe del Chiantishire insolito), comunque sia non tipici coloni da impero britannico. Risalta quindi una certa esitazione nei rimandi, perché non si capisce se si voglia rappresentare un Oriente con tanto di contesto oppure appena accennato con un ciliegio in fiore.
Allo stesso modo, scelte banalmente attualizzanti come le coppie multietniche cadono nel vuoto in un assemblaggio di suggerimenti solo estetici, che dà tutto per scontato, come a volte il teatro può fare grazie alla suggestione scenica, ma che al cinema trasmette solo un senso di confezione artificiale.
Forse indeciso tra i due mondi, Branagh non offre, almeno per quanto riguarda il cinema, una poetica convincente e neppure molto coinvolgente. Cerca originalità muovendo i fondali, non rivoluziona nulla di fondamentale.
Prende in prestito prerogative solo teatrali, come la possibilità di simboleggiare il travestimento maschile della protagonista soltanto con i capelli raccolti, lasciando intatti trucco e movenze, e li trasporta nei primi piani del grande schermo. Lascia la direzione degli attori a una maniera classica ed esclusivamente teatrale: ne sono testimonianza lo stile inutilmente istrionico della protagonista, il contraltrare ricercato e verboso dei coprotagonisti e lo sforzo dello spettatore nel seguire le smancerie e ricordarsi che hanno luogo in una foresta del Giappone, ma senza capire perché.
Il colpo di grazia ce lo dà il finale metacineteatralprosopoetico, stilema branaghiano di ingenuità non trascurabile, che vede la saggia protagonista sciorinare enfaticamente il suo manifesto d’amore tra i camper della troupe: o meraviglia, sarà stato tutto sogno o realtà? Vita o teatro? Low budget o ispirazione assente?
Giulia Gibertoni
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venerdì 8 settembre 2006
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la poesia aldilà del tempo e dello spazio
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Il grande pregio di un regista come Branagh è la sua immensa immaginazione, capace di trasportare l'opera di Shakespeare in contesti e tempi assolutamente impensabili. La poesia è eterna ed esprime tutta la sua sublime intensità aldilà del tempo e dello spazio, soprattutto quella del grande bardo...Kenneth ce lo dimostra, facendoci capire che non è importante quando e dove, ma che ogni epoca ed ogni ambiente può riservarci quella poesia universale espressa nei versi shakespeariani. Ci lascia credere che anche noi potremmo viverla.
Il film ha un ritmo molto veloce (come "Molto Rumore per Nulla") ed i dialoghi vanno seguiti con molta attenzione per non perderne nemmeno una sfumatura. Probabilmente, chi lo trova "lento" troverebbe lenta ogni opera di Shakespeare.
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Il grande pregio di un regista come Branagh è la sua immensa immaginazione, capace di trasportare l'opera di Shakespeare in contesti e tempi assolutamente impensabili. La poesia è eterna ed esprime tutta la sua sublime intensità aldilà del tempo e dello spazio, soprattutto quella del grande bardo...Kenneth ce lo dimostra, facendoci capire che non è importante quando e dove, ma che ogni epoca ed ogni ambiente può riservarci quella poesia universale espressa nei versi shakespeariani. Ci lascia credere che anche noi potremmo viverla.
Il film ha un ritmo molto veloce (come "Molto Rumore per Nulla") ed i dialoghi vanno seguiti con molta attenzione per non perderne nemmeno una sfumatura. Probabilmente, chi lo trova "lento" troverebbe lenta ogni opera di Shakespeare. Infatti, nonostante alcuni tagli necessari per via dei tempi del cinema (purtroppo), il testo è stato riproposto fedelmente.
Il film ha dei colori vivissimi e lascia una senzazione di gioia e di freschezza, pur commovendo. Il cast è eccezionale, mantengono tutta l'espressività degli attori di teatro. La scena finale riporta tutta quell'allegria e la festa che Shakespeare lascia traspirare nei suoi versi.
Aspetto con impazienza il prossimo film di Kenneth, provando ad immaginare quale ambientazione gli suggerirà la sua fantasia sconfinata.
Film sulle opere di Shakespeare ambientate ai suoi tempi saranno a centinaia nel prossimo futuro, ma noi ci riserviamo questa "chicca" che solo Kenneth ci sa donare.
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eugen
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martedì 12 marzo 2024
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straordinaria trasposizione di shakespeare
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"As you like it"(Kenneth Branagh, qui traspone teatalmente l'omonima"commedia"di SHakespeare, 2006)ha due meriti fondamentali che sono invero un'endidadi. a) trasporre filmicamente William Shakespeare(uncle Biil,, per gli aficionados); B) farlo in maniera piu'che egregia, con quel leggero adattamento fi,mico che lascia assolutamente intonso il teso, con la sua straordinaria poesia. Inutile quasi dire di piu', dato che l'adattamento "jap"ha un senso, che la polietincita'degli intepreti va benissimo, che scenografia e fotografia sono assolutamente adeguate. Si parla, come noto, di amore, di amore perudto/trovato, ma anche di eredita'perdute e ritrovate, in seguito a una "conversione", si parla di questioni umane, che vanno certo al di la'della banalita', con l'avvertenza-metatestuiale ma espressa anche nel testo per cui"il mondo intero e'un palcoscenico".
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"As you like it"(Kenneth Branagh, qui traspone teatalmente l'omonima"commedia"di SHakespeare, 2006)ha due meriti fondamentali che sono invero un'endidadi. a) trasporre filmicamente William Shakespeare(uncle Biil,, per gli aficionados); B) farlo in maniera piu'che egregia, con quel leggero adattamento fi,mico che lascia assolutamente intonso il teso, con la sua straordinaria poesia. Inutile quasi dire di piu', dato che l'adattamento "jap"ha un senso, che la polietincita'degli intepreti va benissimo, che scenografia e fotografia sono assolutamente adeguate. Si parla, come noto, di amore, di amore perudto/trovato, ma anche di eredita'perdute e ritrovate, in seguito a una "conversione", si parla di questioni umane, che vanno certo al di la'della banalita', con l'avvertenza-metatestuiale ma espressa anche nel testo per cui"il mondo intero e'un palcoscenico". Quanto Jean Francois Revel , piu'di 65 annni fa, si chiedeva, in"Pourquoi des philosophes?" si cheideva perche'incaponirsi sui filosofi, citava esempi novecentreschi come Proust o Beckett, ma perche' non , torando indietro di vari seocli, Shakespeare, Molie're, Calderon de la Barca? Grande teatro al cinema, con interpeti da 30 e lode smpere come Bryce Dallas Hoard(Rosalind), Romolo Garai(Celia), Brian Blessed(duca Ferderico); Alrred Molaina(TOuchstone)e le altre/gli altri. Eugen
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