samanta
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domenica 5 gennaio 2020
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morire per gli altri...
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Il prigioniero è un western molto interessante del 1954 diretto da uno dei registi più noti della Hollywood dei tempi d'oro: Henry Hathaway, regista poliedrico autore di molti film famosi, tra cui: I lancieri del Bengala, Il bacio della morte, Chiamate Nord 777, Rommel la volpe del deserto. Il grinta che fece vincere (finalmente) un Oscar a John Wayne, anche se non ne vinse mai uno.
Qui dirige 2 dei suoi attori preferiti: Gary Cooper e Susan Hayward una della più brave attrici americane del periodo 1938-1970 (La dominatrice del destino, Le nevi del Kilimangiaro), ebbe come migliore attrice 4 nomination e 1 Oscar per Non voglio morire).
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Il prigioniero è un western molto interessante del 1954 diretto da uno dei registi più noti della Hollywood dei tempi d'oro: Henry Hathaway, regista poliedrico autore di molti film famosi, tra cui: I lancieri del Bengala, Il bacio della morte, Chiamate Nord 777, Rommel la volpe del deserto. Il grinta che fece vincere (finalmente) un Oscar a John Wayne, anche se non ne vinse mai uno.
Qui dirige 2 dei suoi attori preferiti: Gary Cooper e Susan Hayward una della più brave attrici americane del periodo 1938-1970 (La dominatrice del destino, Le nevi del Kilimangiaro), ebbe come migliore attrice 4 nomination e 1 Oscar per Non voglio morire).
La trama: una nave diretta in California è costretta per un guasto a fermarsi in un piccolo porto messicano, scendono Hooker un avventuriero solitario (Gary Cooper), Fiske un giocatore d'azzardo (Richard Widmark) e Luke un pistolero (Cameron Mitchell). Nel paese arriva una donna Leah Fuller (Susan Hayward) che chiede aiuto per soccorrere il marito sepolto da una frana in una miniera d'oro nelle montagne lontana alcuni giorni a cavallo, offrendo un lauto compenso. I tre accettano e dopo un viaggio arduo arrivano nella miniera e riescono a trarre in salvo, anche se ferito, il marito John (Hugh Marlowe), però sono circondati dagli Apache. Riecono a fuggire, ma sono inseguiti dagli indiani e muoiono Luke e il marito che pur essendo in contrasto con la moglie che lo aveva spinto in quell'avventura, dà la vita per lei. Alla fine Fiscke si sacrifica fermando in una gola ristretta gli indiani, permettendo così alla donna e a Hoker che nel frattempo si erano innamorati a salvarsi con la prospettiva di iniziare una nuova vita.
Il film a colori, ha una bella ambientazione tra foreste e montagne , rivelandosi un buon western con una trama abbastanza originale e con i caratteri dei protagonisti ben delineati. I sentimenti e le passioni sono vari: l'avidità per l'oro, il senso della morte incombente espresso nella continua presenza degli Apache, il sacrificio della propria vita per amore o per un semplice sentimento di gratuità, il coraggio di affrontare il rischio come sfida per dare un senso alla propria vita. Il ritmo è avvincente e ben realizzate le scene di azione, belle le musiche del famoso compositore Bernard Hermann che lavorò con i più famosi registi da Hitchcock (La donna che visse 2 volte, Intrigo internazionale) a Martin Scorsese(Taxi Driver).
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daniela macherelli
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domenica 8 gennaio 2017
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senso di morte ne " il prigioniero della miniera "
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Nel bel film del 1954 diretto da Henry Hathaway e ambientato in un Messico rurale desolato e affascinante della fine dell’Ottocento, un’atmosfera di morte è presente lungo tutto lo svolgimento della vicenda ed è veicolato sia da alcune connotazioni del paesaggio, sia dai personaggi che, ognuno a modo suo, trasmettono la sensazione di andare incontro ad un destino ineluttabile al quale non si possono sottrarre. Già dalle prime inquadrature alberi morti, una città distrutta e abbandonata, un’altra sepolta da un’eruzione che ha salvato solo il campanile della chiesa, presenza discreta ma nel contempo inquietante, calano il film in un climax di vicinanza con la morte che caratterizza anche i personaggi.
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Nel bel film del 1954 diretto da Henry Hathaway e ambientato in un Messico rurale desolato e affascinante della fine dell’Ottocento, un’atmosfera di morte è presente lungo tutto lo svolgimento della vicenda ed è veicolato sia da alcune connotazioni del paesaggio, sia dai personaggi che, ognuno a modo suo, trasmettono la sensazione di andare incontro ad un destino ineluttabile al quale non si possono sottrarre. Già dalle prime inquadrature alberi morti, una città distrutta e abbandonata, un’altra sepolta da un’eruzione che ha salvato solo il campanile della chiesa, presenza discreta ma nel contempo inquietante, calano il film in un climax di vicinanza con la morte che caratterizza anche i personaggi. La giovane e bella Lia (Susan Hayward) vuole soccorrere Fuller, il marito ingegnere che è rimasto ferito e bloccato in una miniera da un crollo. A questo scopo ingaggia un piccolo gruppo di uomini di passaggio in quella zona e diretti in California per cercare l’oro, e parte con loro verso la miniera. Lia e gli altri riusciranno nel loro intento, anche se un tragico destino, già anticipato dai dialoghi, dalle psicologie, dalla natura ostile e dalla presenza costante, anche se non sempre visibile, degli Apache come latori di morte, incombe su quasi tutti loro.Fuller, il marito di Lia, si presenta da subito come figura in un certo senso “maledetta”, caratterizzato da una cupa disperazione che, dopo essere stato salvato, gli fa dire: A che serve vivere?, esternando così il non senso esistenziale che lo pervade; coerentemente nel finale del film va consapevolmente incontro alla morte per mano degli Apache, in una sorta di mascherato suicidio. Fiske (Richard Widmark) dice a Hooker (Gary Cooper) mentre si stanno strenuamente difendendo dagli indiani: Quanto valgono le nostre vite?, un’inquietante domanda che non trova risposta. Successivamente, al tramonto del sole, poco prima di morire, lo stesso Fiske afferma amaramente: “Ogni volta che il sole se ne va si porta via qualcuno”, constatazione tragica dell’impossibilità di uscire da un meccanismo esistenziale che procede inarrestabile e immodificabile, designando ogni giorno le sue vittime, impossibilitate a ribellarsi alla loro condizione di finitudine.
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ugo fangareggi
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giovedì 27 marzo 2008
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ciao richard
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quando l'ho visto da piccolo grande film dove per la prima volta lui "e' buono"
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