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Siamo noi a dire basta, più che un film in dialogo coi propri tempi, sembra un prodotto audiovisivo girato con la mano sinistra da un regista che vuole compiacere una commissione parlamentare di inchiesta sulla violenza di genere.
In una Boston upper class così vacua che sembra uno dei tanti set dell’immortale Beautiful o che si potrebbe confondere con una New York più facile da esportare sui mercati esteri, Baldoni ammicca inizialmente all’erotismo soft di genere con dialoghi che preannunciano una forte intesa sessuale, salvo non mantenere le attese e ripiegare sul più comodo e scontato romanticismo.
Il triangolo che prevede anche il fortunoso ritorno di Atlas funziona da detonatore della vicenda, arrivando a mostrare come i maltrattamenti domestici possano tornare ad angustiare chi non fa i conti con essi in maniera netta.
Ma l’alternanza tra passato e presente è giocata troppo meccanicamente e non riesce, nei pur sparpagliati accenni che esistono e che probabilmente sono più sviluppati nel libro originale, a rendere intollerabile per lo spettatore la violenza di genere che funesta la famiglia d’appartenenza e quella che adesso ha scelto per sè la protagonista Lily Bloom.
Siamo noi a dire basta si accontenta allora di avere un titolo ed un messaggio progressista che potrebbe essere lo slogan di una campagna femminista buono per le mondine italiane del 1924 e non per un’imprenditrice statunitense del 2024.
Probabilmente il più grande difetto di It Ends with Us, vista la direzione che prenderà alla fine, è che dà il meglio di sé quando gioca con i cliché della commedia romantica.
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