Ampiamente sopravvalutato. Buona la fotografia, scenografia da dimenticare. Cominciamo con il dire che chi ha scritto la sceneggiatura di questo film non aveva ben chiaro, evidentemente, come erano i rapporti familiari in quegli anni. Questo si capisce innanzitutto dal rapporto quasi caricaturale che si è voluto rappresentare tra una moglie remissiva al limite della schiavitù e un marito orco. Non si capisce poi come sia possibile che, in quegli anni, una figlia di neanche 20 anni possa rivolgersi alla madre gridandole in faccia di vergognarsi di farsi trattare come una pezza da piedi (testuali parole) senza rimediare un ceffone dal padre o dalla madre stessa, oppure, come la stessa figlia possa gridare che della morte del nonno "non me ne frega gnente" (sempre testuali parole). Ma se in questo caso parliamo di incongruenze relazionali, in altri casi è proprio la logica a venire meno. Si fatica a comprendere come una donna remissiva al limite del masochismo, con lo sguardo costantemente e forzatamente da ebete e totalmente dedita alla famiglia, possa poi improvvisamente trovare la forza e il coraggio di: 1) accordarsi con un soldato americano per mettere una bomba in un bar per far saltare il matrimonio della figlia (ammesso che un soldato americano voglia effettivamente rischiare la corte marziale per questo); 2) anche soltanto pensare di abbandonare marito e figli per scappare con un nuovo amore; 3) restare totalmente impassibile e algida davanti alla morte del suocero che, sebbene orco anch'esso, è comunque un familiare. In buona sostanza, sebbene il messaggio di un riscatto ed emancipazione della donna sia ovviamente condivisibile, lo strumento utilizzato risulta essere caricaturale e grottesco.
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