Presentato alla Settimana della Critica nel corso del Festival di Venezia 2020, la pellicola che segna l'esordio alla regia di Mauro Mancini parla di temi, purtroppo, ancora attuali: l'esistenza a distanza di oltre 75 anni dall'ultima guerra di sentimenti neonazisti, e lo fa, senza dare o evocare giudizi frettolosi e rigorosi, evitando una facile retorica, scegliendo invece le strade del dubbio e del silenzio : la bravura di affrontare questa tematica sta proprio in questo. Ma il dubbio resta: "fino a che punto si può personare un carnefice della propria gente ?"
La nota distintiva, proprio dalla retorica è sottolineata dalla speciale predilezione delle riprese sceniche; molte sono quelle "aeree", intendo "dall'alto", con l'evidente scopo di prendere le distanze dai pregiudizi e nello stesso tempo sottolineare il distacco da quel mondo, che si stenta a credere che sia ancora presente.
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Non odiare.
Presentato alla Settimana della Critica nel corso del Festival di Venezia 2020, la pellicola che segna l'esordio alla regia di Mauro Mancini parla di temi, purtroppo, ancora attuali: l'esistenza a distanza di oltre 75 anni dall'ultima guerra di sentimenti neonazisti, e lo fa, senza dare o evocare giudizi frettolosi e rigorosi, evitando una facile retorica, scegliendo invece le strade del dubbio e del silenzio : la bravura di affrontare questa tematica sta proprio in questo. Ma il dubbio resta: "fino a che punto si può personare un carnefice della propria gente ?"
La nota distintiva, proprio dalla retorica è sottolineata dalla speciale predilezione delle riprese sceniche; molte sono quelle "aeree", intendo "dall'alto", con l'evidente scopo di prendere le distanze dai pregiudizi e nello stesso tempo sottolineare il distacco da quel mondo, che si stenta a credere che sia ancora presente.
Una superlativa interpretazione di Alessandro Gassmann, (sta staccandosi dai film da cassetta e, pur sempre lontano anni luce dallo stile paterno, forse, pare raggiunta la maturità artistica), ma anche degli altri due interpreti, figli del neonazista, Sara Serraiocco e Luka Zunic, quest' ultimo, nella sua crudezza, che fa ancora più paura e tristezza nello sguardo di un ragazzo così giovane.
Simone è uno stimato chirurgo di origine ebraica, che conduce una vita tranquilla a Trieste. Un giorno, si trova a soccorrere per strada un uomo, ma una volta scoperta sul petto di quest'ultimo tatuata una svastica, decide di non prestargli soccorso, violando, come medico, il giuramento d'Ippocrate, quello basilare dell'essere umano, di reciproca assistenza, infine quello ben più importante della Pietas e del Perdono.
Simone è un uomo solo, apparentemente sicuro, ma in fondo molto tormentato e diffidente; ma all'inizio anche duro e spietato, anche col cane lupo del padre deceduto, che passa dalla catena alla crudeltà del canile.
Sarà il rapporto con la figlia del neonazista lasciato morire che lo renderanno più umano.
La scena finale lo vede passeggiare in un paesaggio stupendo, insieme al cane che ha finalmente liberato; a quel punto, forse risulta compiuto il processo di redenzione e la regia sfuma con la consueta inquadratura dall'alto.
Il film ha soprattutto un messaggio, rimesso alla sensibilità del pubblico, purtroppo, come sceneggiatura, lascia molte perplessità, con poche varianti sul tema e, quindi una narrazione incompleta, con carenza di azione.
Mentre il figlio del nostro più grande attore, con questa interpretazione non facile, dimostra de aver raggiunto la maturità artistica.
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