La Casa di Jack |
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Un film di Lars von Trier.
Con Matt Dillon, Bruno Ganz, Uma Thurman, Siobhan Fallon Hogan.
continua»
Titolo originale The House That Jack Built.
Thriller,
Ratings: Kids+13,
durata 155 min.
- Danimarca, Francia, Germania, Svezia 2018.
- Videa
uscita giovedì 28 febbraio 2019.
- VM 18 -
MYMONETRO
La Casa di Jack
valutazione media:
3,01
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Istantanea di The House That Jack Builtdi CineFoglioFeedback: 3561 | altri commenti e recensioni di CineFoglio |
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martedì 19 febbraio 2019 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Presentato fuori concorso a Cannes, dove aveva sconvolto ricevendo fischi dal pubblico, Lars von Trier, assoluto esteta della settima arte, ritorna a scandalizzare il pubblico attraverso la mente malata di Jack.
Come ogni prodotto del cineasta danese, il film suscita, irrinunciabilmente, controversie e pareri distinti: chi inneggiando al capolavoro, chi all’auto-referenza ed il solo gusto del macabro. La costruzione della casa di Jack è, prima di tutto, un’esperienza filmica inaspettata e totalizzante. Un’opera profondamente autoriale in grado di attingere, e citare, la filmografia dell’autore stesso, configurandosi come una sintesi del percorso artistico di von Trier.
La presentazione in sala dell’attore protagonista, Matt Dillon, e la sua rassicurazione sul non aver maltrattato né animali né persone nel girato (informazione che ci ha reso tutti più tranquilli e rilassati!) ci ha rivelato che, nonostante fosse un film dalle tematiche forti e noir, la pellicola sarebbe stata impregnata da una densa darkirony. Caratteristica, apparentemente bizzarra, che invece aiuta e movimenta la visione facendo breccia proprio sulla paradossalità delle situazioni.
Le immagini seguono un ritmo concordante ed avverso, in piena mimesi e contraddizione con l’uso, quasi esclusivo della camera a mano. Colmo di ellissi temporali, ad anticipare l’azione successiva, e riavvolgimenti al reverse, quasi pedissequi, degli eventi appena successi.
Animato da apparenti digressioni senza senso, anacronistiche e didattiche (con tanto di immagini in bianco e nero e filmini vintage), ma, a poco a poco, abili nel costruire le fondamenta stesse del pensiero e della filosofia di Jack. Un «castello» ideologico che si fonda, in ultima analisi, nella ricerca di emozioni vive, per un soggetto empatico per definizione. A marcare la progressione (o la discesa nell’inconscio) saranno idee e categorie prese in prestito dalla cultura germanica, come le sublimi parole del sommo poeta am Mein, Goethe.
Il controllo della fotografia è pressoché perfetto, tutto focalizzato a creare un’estetica singolare, fatta di materiale onirico ed immagini iconoclastiche, insieme a momenti di estrema visceralità e crudezza (della carne martoriata e del cadavere in decomposizione).
Ma la Casa di Jack va ben oltre le prime impressioni. Non si accontenta di essere un body-horror, volgare e retoricamente macabro, teso solo all’inseguimento del filo nascosto (incomprensibile, sebbene razionale) di un serial killer, immaginatosi architetto della propria vita.
La pellicola, costruita a tappe di incidenti peculiari, si inoltra in un dialogo interiore (rivolto a noi del pubblico e all’umanità intera), profetico ed in costante affermazione di se stesso. Rompe la barriera della narrazione, lineare o circolare, per dare vita allo specchio dell’anima che lotta, strenuamente, per acquisire la facoltà di controllare la propria vita. Qualità che Jack presume di avere ma, ingenuamente, in un’alternanza di stati emotivi (veicolati da stati omicidi), non possiede. Il fine della sua storia, come ne è stato l’inizio, provvederà a dare un senso alla sua condotta, non lo fermerà nel momento decisivo, ma forzerà l’apertura dei suoi occhi nello scoprire ed ammirare la sua vera natura ed accettare il luogo e lo spazio che tanto ha anelato costruire.
Un prodotto sublime, controverso e non esente da critiche, profondamente autoriale nel momento in cui tutto l’universo concepito dall’autore (nonché sceneggiature) si mostra sul palco luminoso del grande schermo, vomitando l’immagine cruda, e partorita senza compromessi, noncurante della sensibilità del pubblico ma speranzosa possa, quest'ultimo, apprezzarla nella sua interezza.
18/02/2019
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