ashtray_bliss
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domenica 29 gennaio 2017
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un'horror esotico, ben confezionato, che convince.
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E' assai raro trovare di questi giorni un horror che veramente sappia coinvolgerti, senza annoiarti, e regalarti qualche sussulto e brivido. Specialmente quando i koinoi topoi del genere risultano onnipresenti nelle pellicole e stra-sfruttati che ormai lo spettatore ferrato non si stupisce più quando questi puntuali si presentano. Ovviamente, The Other Side of the Door rispetta tutti i canoni del genere, che ormai sembrano inevitabili per confezionare un horror ad hoc, ma riesce comunque a coinvolgere ed intrattenere quanto basta, senza annoiare o esasperare il pubblico. Il contesto indiano, dove è ambientata la storia, è di notevole impatto e riesce a regalare alla pellicola un certo fascino di esotico e misterioso mescolando tipici elementi folkloristici indiani (folk per chi indiano non è) che incuriosiscono e ammaliano il pubblico nel modo giusto.
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E' assai raro trovare di questi giorni un horror che veramente sappia coinvolgerti, senza annoiarti, e regalarti qualche sussulto e brivido. Specialmente quando i koinoi topoi del genere risultano onnipresenti nelle pellicole e stra-sfruttati che ormai lo spettatore ferrato non si stupisce più quando questi puntuali si presentano. Ovviamente, The Other Side of the Door rispetta tutti i canoni del genere, che ormai sembrano inevitabili per confezionare un horror ad hoc, ma riesce comunque a coinvolgere ed intrattenere quanto basta, senza annoiare o esasperare il pubblico. Il contesto indiano, dove è ambientata la storia, è di notevole impatto e riesce a regalare alla pellicola un certo fascino di esotico e misterioso mescolando tipici elementi folkloristici indiani (folk per chi indiano non è) che incuriosiscono e ammaliano il pubblico nel modo giusto. In un certo modo la location rappresenta il vero motore del film.
La storia invece si presenta nella ricetta più classica e collaudata di sempre nel panorama horror: Una giovane madre perde il figlio maschio, Oliver, durante un terribile incidente stradale riuscendo a salvare se stessa e la figlia. Ovviamente la donna è tormentata dai sensi di colpa e non riesce a superare il trauma della perdita così che l'aiutante domestica della casa, l'indiana Piki, nel tentativo di consolarla le consiglia di compiere un lungo viaggio nel sud del Paese per trovare un antico tempio abbandonato. Il rituale prevede che una volta sparse le ceneri del figlio sulle scale del tempio, lei debba chiudersi all'interno ed aspettare di sentire il proprio bambino. Ma potrà solo parlargli per poter salutarlo, come si deve, un ultima volta ma senza aprire per nessuna ragione la porta, prima della fine della seduta. Ma una volta giunta sul luogo, sopraffatta dalle insistenze della voce del figlio la donna tradisce la promessa fatta aprendo la porta. Il simbolico gesto destailisce quindi l'equilibrio tra il regno dei vivi e quello dei morti, tra l'aldiquà e l'aldilà e il figlio scomparso si manifesta in modo inquietante nella casa della famiglia. Ovviamente le stranezze vanno aumentando mentre la mamma inizia ad avvertire degli incubi notturni che le impediscono di riposare comprendendo, a sue spese, che l'entità di Oliver non è affatto benigna. Il finale così si presenta catartico e risolutivo, non originalissimo ma coerente con la narrazione preceduta.
In definitiva, devo ammettere che questo horror mi ha colto di sorpresa. Riesce a intrattenere a dovere, disseminando le giuste dosi di suspense e mistero, il tutto avvolto da un'atmosfera esotica e mistica che aggiungono delle pennellate di colore e misticismo che risultano un connubio pienamente riuscito, anche grazie al fatto che questi elementi folk sono ben bilanciati e non danno mai l'impressione di essere forzati, e caricaturali. La diversità è rispettata così come le credenze e usanze della popolazione indiana.
Sarah Whyne Callies si presenta in splendida forma e convincente nei panni di una madre colpita da un lutto terribile che destabilizza la sua psiche. Molto brava anche la piccola che interpreta Lucy. Il regista Roberts, in conclusione, confeziona un horror classico nella costruzione che offre poche varianti originali sul tema ma trattandolo con coerenza e precisione, senza annoiare lo spettatore. La serata horror scorre piacevolmente e lascia una buona impressione post-visione.
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clara79
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martedì 10 maggio 2016
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finalmente un horror che fa il suo dovere
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Era dal lontanissimo The Ring che nessun film mi faceva sobbalzare sulla poltrona del cinema. Questo film c'è riuscito e non solo con me!! L'ambientazione è senza dubbio originale, meno la storia che è stata trita e ritrita. Ovviamente in un horror conta COME questa storia viene presentata. Gli interpreti sono bravi e convincenti, gli spaventi sapientemente distribuiti e l'inquietudine della mamma viene trasmessa allo spettatore (cosa davvero rara in un horror). Abbiamo dei spaventosi indigeni presi pari pari da Cannibal Ferox di Umberto Lenzi e i debito con i tanti film horror non finiscono qui ma tutta la confezione convince.
Ottimi gli effetti speciali
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elgatoloco
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venerdì 10 marzo 2017
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qualche elemento interessante c'è, senz'altro
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Certo, sono lontani i tempi in cui nell'horror si "immergeva criticamente"un grande regista come Stanley Kubrik in"Shining", 1980(da uno dei migliori romanzi di Stephen King), con lo straordinario dubbio sulla vicenda, ma"The Other Side of the Door", nella sua complessiva modestia, con intepreti buoni ma non eccelsi, con una regia altanelante(nella prima parte è francamente troppo forte la fascinazione dell'"insolito", "l'odore dell'India"(Pasolini)quando magari si sarebbe voluta una maggiore concentrazione sul tema"in sé e per sé", ma diversamente, quasi certamente anche per intervento della produzione, non si poteva/doveva fare.
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Certo, sono lontani i tempi in cui nell'horror si "immergeva criticamente"un grande regista come Stanley Kubrik in"Shining", 1980(da uno dei migliori romanzi di Stephen King), con lo straordinario dubbio sulla vicenda, ma"The Other Side of the Door", nella sua complessiva modestia, con intepreti buoni ma non eccelsi, con una regia altanelante(nella prima parte è francamente troppo forte la fascinazione dell'"insolito", "l'odore dell'India"(Pasolini)quando magari si sarebbe voluta una maggiore concentrazione sul tema"in sé e per sé", ma diversamente, quasi certamente anche per intervento della produzione, non si poteva/doveva fare. IN complesso, però, un film onesto, dove sul tema dell'"Other side of the door"(titolo involontariamente pink-floydiano o no? IL dubbio rimane ma è difficile credere a una totale"innocenza"della produzione...)si sarebbe potuto fare di più. mancando nel momento dell'"improvvida apertura"una suspense forte, che anzzi qui viene quasi"azzoppata", divenendo in certi momenti carente. Dopo questa(modesta e limitata)pars destruens credo ci voglia, però, anche quella adstruens: la tragedia (inspiegabile?)capiata alla amadre e al padre con la perdita del figlio e il loro tentativo di trovare -ritrovare un contatto con l'"altra parte"è svolto in modo convicente, senza troppo indulgere alla solita riflettura in chiave"muy gringa"della psicoanalisi, facendone una sorta di riduzionismo e di"strumento di moda"quale quello su cui ironeggia/satireggia da smepe Woody Allen... ma cercando di riflettere intelligentemente sui rapporto umani in chaive, se non di incomunicabilità, certamente di difficoltà estrema, dii impasse continuo, di ripetuto stallo, in rapporto, ovviamente con l"altro", ciò che Freud chiama "il perturbante"(Das Unheimliche), ciò che mette in scacco la mera razionalità logico-deddutiva: che ciò sia mero prodotto della psiche umana o qualcosa di"realmente esistente"in questa sede non importa, mentre importa l'impatto che esso ha, a livello di speranza, angoscia, referente comunque con il quale rapportarsi. Gli"effetti speciali", in questo film, certo ci sono, forse a tratti avremmo voluto una maggiore"sobrietà", al limite povertà di mezzi, a favore di un horror più"interno", più"psicologico", ma il cinema, di per sè, è in primis immagine, rappresentazione e bypassare questa componente fondamentale sarebbe mera assurdità, andare a finire in un"no.mans' land"impraticabile e mai battuto, rinunciando comunque a quell'elemento fondamentale del cinema, senza il quale non esistebbe(Benjamin docet, quale iniziatore di questa teorizzazione)ossia la comunicazione e la comunicabilità. Come poi essa avvenga e a che cosa essa miri è un altro problema, tutt'altro che secondario, ma, appunto, bypassarla sarebbe finire in un assurdo logico imperdonabile, per cui comunque, con certo notevoli pecche"di suo"il film ha una sua intriscea validità. El Gato
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