gianleo67
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venerdì 16 giugno 2017
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lo street food di attraenti universitarie valloni
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l primo impatto della sedicenne Justine con la facoltà di veterinaria dove si sono laureati i genitori ed in cui studia già la sorella maggiore, non è dei migliori: vige un clima di goliardiche vessazioni nonniste, la ragazza è costretta a dividere la camerata con un aitante ragazzo gay e soprattutto viene obbligata a stravolgere la radicale dieta vegetariana cui sono da sempre abituati in famiglia. Scoprirà con sorpresa ed orrore l'irresistibile richiamo della carne.
Il rischioso e disperato stratagemma suicida del moderno cacciatore antropofago con cui si apre questo sorprendente dramma dell'orrore, è la perfetta sintesi del raggelato gusto per il macabro che caratterizza il cinema d'autore francofono alle prese con le aberrazioni e le disfunzionalità di relazioni sociali e familiari che ricadono appena oltre la rituale rispettabilità delle convenzioni borghesi (Calvaire, Vlees, Cannibal Love).
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l primo impatto della sedicenne Justine con la facoltà di veterinaria dove si sono laureati i genitori ed in cui studia già la sorella maggiore, non è dei migliori: vige un clima di goliardiche vessazioni nonniste, la ragazza è costretta a dividere la camerata con un aitante ragazzo gay e soprattutto viene obbligata a stravolgere la radicale dieta vegetariana cui sono da sempre abituati in famiglia. Scoprirà con sorpresa ed orrore l'irresistibile richiamo della carne.
Il rischioso e disperato stratagemma suicida del moderno cacciatore antropofago con cui si apre questo sorprendente dramma dell'orrore, è la perfetta sintesi del raggelato gusto per il macabro che caratterizza il cinema d'autore francofono alle prese con le aberrazioni e le disfunzionalità di relazioni sociali e familiari che ricadono appena oltre la rituale rispettabilità delle convenzioni borghesi (Calvaire, Vlees, Cannibal Love). Sotto le mentite spoglie di un irriverente racconto di formazione che si fonda sulla doppia nemesi di un sistema educativo tanto disumano con gli animali che dovrebbe rispettare quanto settario verso gli umani di cui dovrebbe regolare la convivenza, il film della Ducournau oscilla tra le repressioni di un ambiente familiare improntato al radicalismo alimentare ed un ambiente accademico di rituali iniziazioni ancestrali, sviluppando attorno alla 'cruda' realtà della natura umana la soverchiante teoria del primato genetico su quello culturale e agitando il sospetto che i piccoli animali che alleviamo come figli nella rassicurante cattività dell'ambiente domestico potrebbero ben presto volerci azzannare alla gola. Giocato sul filo condutore di una graduale presa di coscienza sugli insopprimibili istinti trofici e riproduttivi di una adolescente repressa alle prese con la messa in discussione di un mondo di false certezze etiche ed assillanti costrizioni alimentari, les desarrois de l'eleve Justine si innestano lungo un percorso che scopre piano piano le sue carte, passando con beffarda indolenza drammaturgica dai consolidati stratagemmi della commedia horror di ambientazione collegiale ai morbosi risvolti del melodramma familiare a tinte macabre (Somos lo que hay, We Are What We Are), con tanto di tenzone fratricida tra sorelle cannibali ed un autoironico rovesciamento sessista di una regista che attribuisce cause e responsabilità per figlie degenerate ad una ambigua e controversa figura materna che agisce costantemente nell'ombra (fuori campo pure nella sconvolgente, ma non inattesa, rivelazione finale!). Scritto bene e girato ancora meglio, alterna con brillante disinvoltura il registro macabro a quello grottesco, disseminando lungo il corpo principale della narrazione i contrappunti di un eloquente simbolismo onirico (la scena delle matricole quadrumani costrette a muoversi carponi, la doccia di sangre durante la foto di gruppo, la corsa da fermo del cavallo costretto al giogo, il frustrante delirio di una crisi di astinenza sotto le lenzuola) con quelle di estemporanee ed ammiccanti divagazioni coreografiche in chiave pop-rap (la ragazza che sfodera un sensuale look virginale al ritmo di Plus putes que toutes les putes , la spaesata levataccia mattutina in piumone dell'ultima tornata matricolare con il commento musicale della nostra Nada), conducendoci al beffardo finale rivelatore con l'ennesimo pranzo vegetariano consumato controvoglia.
Brave le protagosniste principali, con speciale menzione per la misurata interpretazione di Garance Marillier: fragile e conturbante giunco di donna combattuta tra il buon senso delle inibizioni sociali e l'istinto primitivo di una irreprimibile voracità ferina. Premio FIPRESCI alla Settimana Internazionale della Critica a Cannes 2016, Sutherland Award al London Film Festival 2016 e triplice premiazione al Sitges - Catalonian International Film Festival 2016.
"Ma sono certo che tu troverai una soluzione, piccola mia"...
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ashtray_bliss
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martedì 12 ottobre 2021
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cruda metafora di emancipazione e crescita.
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Raw, come da titolo, è un film disturbante, intenso, provocatorio, assolutamente ironico nella sua pungente e straniante impostazione, rappresentando un vero pugno nello stomaco che grazie a evidenti e marcate licenze artistiche e un ben preciso linguaggio semiotico e simbolico ci pone di fronte agli orrori della crescita, della presa di coscienza del proprio corpo e della propria natura o indole in un processo trasformativo totalizzante, disturbante e potente. Il cannibalismo nel film in questione diventa quindi lo strumento simbolico e linguistico ideale per esplorare questa fame di crescita (metaforica e letteraria), potere, possesso, affermazione, prevaricazione che sconvolge l'esistenza della protagonista e di sua sorella, traducendosi in un linguaggio cinematografico coinvolgente e profondo.
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Raw, come da titolo, è un film disturbante, intenso, provocatorio, assolutamente ironico nella sua pungente e straniante impostazione, rappresentando un vero pugno nello stomaco che grazie a evidenti e marcate licenze artistiche e un ben preciso linguaggio semiotico e simbolico ci pone di fronte agli orrori della crescita, della presa di coscienza del proprio corpo e della propria natura o indole in un processo trasformativo totalizzante, disturbante e potente. Il cannibalismo nel film in questione diventa quindi lo strumento simbolico e linguistico ideale per esplorare questa fame di crescita (metaforica e letteraria), potere, possesso, affermazione, prevaricazione che sconvolge l'esistenza della protagonista e di sua sorella, traducendosi in un linguaggio cinematografico coinvolgente e profondo.
La protagonista indiscussa è Justine, una ragazza vegana e idealista che entra nella facoltà di veterinaria, seguendo le orme tracciate dai suoi genitori e da sua sorella maggiore Alex. Per Justine, l'ammissione alla facoltà segnerà l'inizio di un'odissea personale caratterizzata da forti turbamenti che scuotono interamente le sue credenze, convinzioni, abitudini ed infine risveglieranno la sua vera natura e indole repressa, alterando il suo corpo e il suo stato psicofisico. Il racconto di formazione si traduce quindi in un lungo, interminabile rituale, un primordiale risveglio degli impulsi ed istinti più atavici, feroci e selvaggi della natura umana che prendono il sopravvento con esiti catastrofici. Lo scopo sin troppo evidente, del film è quello di fungere da memento, ricordarci che siamo, sostanzialmente, ancora primitivi, cacciatori che bramano la loro preda, mossi da istinti primordiali e implacabili di dominazione e prevaricazione. Non è affatto causale, in questi termini, la progressiva discordia che s'intreccia nella problematica e ambigua relazione tra Justine e Alex, culminando nella scena in cui lottano e si attaccano, mordendosi come cani rabbiosi.
Cinema dell'orrore che si costruisce e si narra attraverso il corpo umano, inserendosi in quel tipico filone di body horror caro a determinati registi (come Cronenberg) dove il corpo assume un metasignificato, diventando lo strumento ideale per raccontare quest'esperienza trasformativa profonda e radicale, violenta, sanguinga. E quale miglior mezzo da utilizzare a tale scopo se non il corpo della donna, la simbologia del femminino e il suo stretto, insito e viscerale rapporto col sangue. La donna si forgia nel sangue, che diventa il simbolo a cui viene associata per antonomasia ed è altresì l'elemento che ne caratterrizza l'essenza, la plasma, la trasforma. Simbolo di vita e morte, di trasformazione, di carnalità e sessualità, il sangue è la linfa vitale della donna nonchè l'elemento che guida naturalmente questa pellicola suggestiva di Julia Ducournau.
Attraverso un impianto visivo estremamente crudo e forte ma senza perdere di vista la sottile vena di umorismo nero a guidarla, la regista riesce a costruire un dramma suggestivo violento, che passa dai riti di iniziazione cui gli studenti anziani sottopongono i neofiti, inclusa Justine, al progressivo risveglio del suo istinto, una natura che le era stata anestetizzata sin dalla nascita.
La narrazione si costruisce per immagini che rievocano usanze e riti ancestrali, grezzi, e prove di coraggio disgustose che vanno a braccetto con il nonnismo tipico di certi campus, dando inizio ad un lungo battesimo nel sangue e nella carne, non più in senso astratto e metaforico ma concreto e preciso. Un battesimo che si prolunga nel tempo prendendo una forma ben consolidata e precisa, scatenando dapprima reazioni avverse nella protagonista. Il suo corpo, infatti, reagisce al consumo della carne, scatenando una vera e propria reazione allergica, ma successivamente quella brama, quel desiderio che s'accende diventerà sempre più ardente, manifestandosi esplicitamente nella scena centrale del film dove Justine, per la prima volta in assoluto, assapora letteralmente il dito amputato di sua sorella, fino poi a divoralo, cibandosene alla stregua d'un animale famelico. La sua iniziazione ormai non può più essere arrestata, la sua vera natura è stata rivelata. Ma Justine non è l'unica della famiglia a nutrire questi morbosi istinti che verranno sempre più violentemente a galla man mano che la storia procede e acquista tinte sempre più torbide e inequivocabilmente ossessive seppur senza perdere la leggera e velata ironia che contraddistingue e permea l'intero prodotto.
Il tema del risveglio sessuale che marca il passaggio dall'adolescenza all'età adulta, della competizione e rivalità tra donne che cercano di dominare e marcare il proprio territorio, della presa di coscienza della propria natura e identità che viene dapprima combattuta e poi accettata ed infine il tema della riconciliazione sono gli elementi portanti di Raw, pellicola che si costruisce e si narra attraverso la carnalità e le trasformazioni del corpo che diventa soggetto e al contempo oggetto di fame, desiderio, affermazione, e che si conclude con un finale rivelatorio ed incisivo; bellissimo, profondo e naturalmente disturbante come pochi.
Scenografia e fotografia perfette, combinano i colori freddi e asettici degli ambienti esterni, delle impersonali aule e laboratori, dei dormitori condivisi e delle improvvisate sale di disco con il calore delle scene dove domina il sangue. Questo potente contrasto, tra il colore blu e grigio che dominano gli spazi e il rosso del sangue vivo che scorre e s'impossessa della protagonista, del suo corpo, del suo spazio, crea sullo schermo un notevole impatto visivo che amplifica le emozioni risvegliate nello spettatore, accentuando questa metamorfosi in atto.
Ma se la regista e la sua macabra ma audace messinscena sono da encomiare, cosa dire della bravissima Garance Mariller che si trova ad interpretare uno dei personaggi femminili più controversi e ambigui mai visti al cinema, donando spessore e umanità alla sua Justine, ora fragile ragazzina innocente e ora famelica cacciatrice, perennemente combattuta tra i suoi istinti primordiali e la sua morale, il senso di responsabilità verso il prossimo.
Raw è dunque una pellicola intelligente e ben costruita, un'opera che non rientra mai pienamente nel paradigma classico di horror incorporando sapientemente l'uso della metafora e del linguaggio cinematografico d'effetto per creare un prodotto stratificato e denso di significati e chiavi di lettura. Un prodotto in grado di magnetizzare lo spettatore e trascinarlo in questa spirale, prima infernale e poi conciliatoria e quasi salvifica, di carne e sangue.
Da vedere assolutamente: 4,5/5.
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tmpsvita
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venerdì 10 novembre 2017
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uno dei migliori horror degli ultimi
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Grave (Raw) è semplicemente uno dei migliori horror degli ultimi anni, un film che è riuscito ha nausearmi, nel vero senso della parola, attraverso delle immagini sì disgustose ma anche sorprendentemente credibili e dal fortissimo impatto visivo.
Il film, una drastica ed estremizzata metafora sulla crescita adolescenziale, è un vero e proprio pugno nello stomaco che non ha paura di farsi sentire o di far male, anzi è proprio il suo obiettivo, lasciare un segno attraverso delle sequenze destabilizzanti, soprattutto dal punto di vista visivo, e impossibili da dimenticare.
La regia, infatti, non cerca di velare ciò che potrebbe disturbare il pubblico ma lo esalta e lo espone in primo piano, realizzando delle scene nelle quali violenza e sessualità vengono amalgamate in modo controverso e provocatorio, ciò aiuta a creare un'atmosfera profonda e a dir poco coinvolgente.
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Grave (Raw) è semplicemente uno dei migliori horror degli ultimi anni, un film che è riuscito ha nausearmi, nel vero senso della parola, attraverso delle immagini sì disgustose ma anche sorprendentemente credibili e dal fortissimo impatto visivo.
Il film, una drastica ed estremizzata metafora sulla crescita adolescenziale, è un vero e proprio pugno nello stomaco che non ha paura di farsi sentire o di far male, anzi è proprio il suo obiettivo, lasciare un segno attraverso delle sequenze destabilizzanti, soprattutto dal punto di vista visivo, e impossibili da dimenticare.
La regia, infatti, non cerca di velare ciò che potrebbe disturbare il pubblico ma lo esalta e lo espone in primo piano, realizzando delle scene nelle quali violenza e sessualità vengono amalgamate in modo controverso e provocatorio, ciò aiuta a creare un'atmosfera profonda e a dir poco coinvolgente.
Questo dimostra un certo coraggio, assolutamente non banale, del cinema francese che invece sta mancando nelle produzioni americane, soprattutto di quelle destinate ad una distribuzione ampia.
La fotografia colora il film con delle tonalità aspre, forti che possano, come accade in vari punti, colpire visivamente lo spettatore anche se il contenuto di esse non lo richiede; nonostante la regia cerchi sempre di offrire qualcosa di decisamente d'impatto (meravigliose le due scene del cavallo).
L'interpretazione della giovane protagonista, malgrado il ruolo molto complesso e singolare, è davvero notevole, inoltre la ritengo una scelta di casting davvero eccellente.
VOTO: 8+/10
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noia1
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giovedì 19 aprile 2018
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il film che tutti vorrebbero girare
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Le vicende di una ragazzina costretta a crescere sola all’università tra il nonnismo degli studenti più anziani, le prime pulsioni sessuali ed un innato spontaneo cannibalismo.
Un film crudo che prima di tutto vuole mettere in scena certi tipi di capacità registiche a partire da suggestioni di un cinema più antiquato fino ad atmosfere date da una messinscena più claustrofobica e tesa, come chi sta girando volesse dimostrare di poter girare quello che gli pare ma che le scene più cruente e sanguinolente che si susseguiranno sono date esclusivamente dalla trama quindi non solo da puro gusto o dall’esclusiva ricerca di sensazionalismo.
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Le vicende di una ragazzina costretta a crescere sola all’università tra il nonnismo degli studenti più anziani, le prime pulsioni sessuali ed un innato spontaneo cannibalismo.
Un film crudo che prima di tutto vuole mettere in scena certi tipi di capacità registiche a partire da suggestioni di un cinema più antiquato fino ad atmosfere date da una messinscena più claustrofobica e tesa, come chi sta girando volesse dimostrare di poter girare quello che gli pare ma che le scene più cruente e sanguinolente che si susseguiranno sono date esclusivamente dalla trama quindi non solo da puro gusto o dall’esclusiva ricerca di sensazionalismo. Gli spettatori saranno messi a dura prova ma non solo per lo schifo o per l’elemento disturbante; ciò che la trama offre, i risvolti, il concetto stesso del film è difficile da digerire soprattutto perché posto in modo non urlato, come fosse il semplice svolgersi della storia. L’ora e mezza che penso chiunque avrebbe voluto girare d’una maturazione delle più tipiche e girata proprio bene, talmente bene che può permettersi di rovinarsi da sola distruggendo il fragile clima che si crea mettendo alla prova oltre che chi guarda anche la propria stessa credibilità. Non parlo solo della ragazzina carina e bella trasformata in assassina, parlo dei peli sotto le ascelle di quella ragazzina, parlo di ragazze che pisciano in piedi e poi addosso; non parlo solo d’una disgustosa scena d’una vomitata sulla tazza del bagno che pare infinita, parlo dell’omosessualità che senza troppe spettacolarizzazioni sta alla luce del sole spudorata come capita tra eterosessuali alla faccia di tutti.
L’analisi del rapporto familiare è intenso ed intelligente anche se naturalmente malato come il resto della vicenda. Le due sorelle di amano veramente aiutandosi come possono e come due sorelle se ne fanno di tutti i colori, dove però si discute qui ci si mutila mentre dove di solito ci sono abbracci e consigli qui ci s’insegna ad ammazzare la gente. I genitori sono quasi simpatici dove da contraltare ad una madre eccessivamente apprensiva c’è uno scemo padre assente, saranno proprio loro a finire il rompicapo mettendo insieme i pezzi e capovolgendo la loro stessa immagine che perde il suo valore di rifugio diventando semplicemente parte di quel mucchio di lerciume, anzi, forse ne è proprio il punto di partenza.
Infine se questo film fa così male è merito anche del tema musicale azzeccatissimo, la ciliegina sulla torta della brava Julia Ducournau che la manipola come fa con quelli che ritiene i suoi punti di forza sfrontata come solo chi ha una lucida consapevolezza di sé può fare.
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