Anthony Hopkins e Ray Liotta ovvero Il silenzio degli innocenti e Quei bravi ragazzi per citare due famosi film, sono i protagonisti dell’ultimo thriller diretto da Daniel Alfredson della trilogia Millennium.
Forse qualcosa di svedese nel colore grigio del paesaggio e nel pallido volto della protagonista, Lilian, c’è.
Un foresta, una segheria, un ambiente glaciale, chiuso, dove ogni protagonista vive cieco incurante dei soprusi quotidiani, è il contesto in cui si muove Lilian, una giovane donna tornata da Seattle alla casa dei suoi genitori, ai margini appunto della foresta, a seguito della morte della madre.
In compagnia del gatto, la donna viene presto presa di “mira” da un sordido elemento: Blackway, appunto, (interpretato da Ray Liotta) dopo aver rifiutato il suo “esplicito” approccio al bar. Le conseguenze del diniego non saranno piacevoli: il gatto sarà decapitato da Blackway e alla giovane ma non reattiva Lilian, non rimarrà che farsi giustizia da sola, pur essendo stata invitata dallo sceriffo della comunità (sic.) a lasciare il paese.
Intenzionata ad abbattere il muro di gomma del potere criminale di Blackway, Lilian cercherà l’aiuto di due “diversi” come lei: un silenzioso Lester, che sembra nascondere nel suo passato qualcosa di terribile legato alla figura criminale di Blackway e uno stolido, un dinoccolato “scemo del villaggioW, Nate, che segue Lester in ogni suo passo. Insieme il terzetto si metterà sulle tracce di Blackway per farlo redimere, o meglio, per contrastarlo togliendolo di mezzo una volta per tutte.
Non sarà facile.
Girato come un western algido ispirato al romanzo Go with me di Castle Freeman, Blackway (o Go with me titolo italiano), propone la classica dicotomia bene/male, in cui i nostri sono portatori di luce e di un sopruso, in lotta contro il prepotente di turno qui con l’occhio glaciale di Ray Liotta che dei Goodfellas mostra la sua estremizzazione più assoluta.
Ad essa si contrappone, con momenti non del tutto riusciti, un personaggio malinconico, legato ad un passato doloroso ma di cui non viene mai approfondito con la dovuta intensità il dramma che rimane in superficie (se non per la scena del controllo alcolemico).
Alfredosn tenta la strada degli Spietati ma non è Eastwood. Ed è un peccato perché con due grandi attori come Hopkins e Liotta, il gioco poteva vincersi facile. Per un’oretta piena nel bascular incerto dei protagonisti alla ricerca di Blackway, questo non si può dire, ma nel finale, ecco che il guizzo c’è, la fiamma si accende, ma brucia troppo in fretta.
E allo spettatore non resta che assistere alla smorta cenere, raffreddata dal vento di maestrale, quello della delusione.
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