Figlio di nessuno |
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Un film di Vuk Ršumovi.
Con Denis Muric, Milos Timotijevic, Pavle Cemerikic, Isidora Jankovic.
continua»
Titolo originale Nicije dete.
Drammatico,
Ratings: Kids+16,
durata 97 min.
- Serbia 2014.
- Cineclub Internazionale
uscita giovedì 16 aprile 2015.
MYMONETRO
Figlio di nessuno
valutazione media:
3,27
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Il giovane Haris né bimbo, né lupo ricorda Truffaut
di Paolo D'Agostini La Repubblica
A parte il comune fondamento su vicende realmente accadute e a parte la comune presenza di una figura pedagogico-protettiva, l'opera prima del serbo Vuk Ršumovic Figlio di nessuno, presentato e premiato alla Settimana della critica della Mostra veneziana 2014 come No one's child , discende molto più direttamente dall'esempio del Ragazzo selvaggio di François Truffaut (1970) che non da L'enigma di Kaspar Hauser di Werner Herzog (1974), entrambi peraltro film circondati da un'aura speciale. Siamo alla fine degli anni 80, tra le montagne della Bosnia. Una fulminante sequenza iniziale ci conduce tra i boschi in compagnia dei cacciatori che sorprendono, circondano e catturano un ragazzino, un bambino che (come il Mowgli di Kipling e il Tarzan di Burroughs) non ha mai avuto contatti con la civiltà e con gli altri esseri umani, è cresciuto tra i lupi. Dunque è nudo e sporco, emette grugniti e ruggiti, morde, non sa camminare eretto. È come un animale. Non senza fatica, viene condotto al villaggio e da lì inoltrato a Belgrado (c'è ancora la Jugoslavia), presso un istituto che è un po' orfanotrofio un po' riformatorio. Gli danno un nome, Haris. Lo circondano le attenzioni materne di qualche assistente ma soprattutto quella, paziente e fiduciosa, del responsabile dell'istituto. Tappa per tappa: mangiare, vestirsi, camminare, dormire sul letto anziché rannicchiato sul pavimento sotto il letto. Ma è dura, i tentativi vanno tutti a vuoto. Fino a che tra gli sberleffi e l'ostilità di tutti gli altri piccoli ospiti si fa strada Zika, un ragazzo che riesce a conquistare Haris e a insegnargli molti comportamenti quotidiani - infilare le scarpe, sedersi a tavola - e perfino a dire alcune parole, oltre che i primi maliziosi elementi di riconoscimento della differenza sessuale. Gradualmente ma nettamente qui il film si distacca dai confronti con opere (anche se la sensibilità truffautiana resta) riferite a realtà e/o leggende del passato lontano, e dal loro sguardo pedagogico, filosofico, antropologico, perché la vicenda s'intreccia, con mirabile fluidità, alla contemporaneità storica. La disintegrazione della Jugoslavia, le guerre, la divisione e la ferocia etnica. Di cui il piccolo Haris, fuggitivo e casualmente coinvolto, non ha ovviamente alcuna consapevolezza. Alcuni dettagli simbolici parlano al posto delle spiegazioni: le scarpe, quelle da ginnastica sostituite con gli anfibi, la comparsa delle armi e della reciprocità di odio tra persone che appena poco prima convivevano. Il senso, che passa appunto attraverso una rappresentazione quasi muta e tutta condivisa con il punto di vista selvaggio e innocente del protagonista, è quello di un percorso che al piccolo Haris ha tolto più che dato. Si è parlato di "purezza" per questo film e la definizione è calzante. La condivisione di punto di vista si esprime delicatamente nei tagli di inquadratura all'altezza, variabile nel corso della storia, dello sguardo di Haris, facendo propri tanto la sua diffidenza che i suoi incantamenti. L'interprete, che si chiama Denis Muric, fornisce una prova di grande intensità.
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