Tra il serio e il faceto. Sta compresso in quell’accidentato territorio l’esordio cinematografico di Craig Zisk, dietro alla macchina da presa per rendere godibile un film che fatica a prendere il volo, come bloccato fra due parentesi che ne fanno un sottinteso di se stesso (effetto voluto?).
Ci introduce alla vicenda una voce fuoricampo, portandoci con grazia dentro all’ordinaria e ordinata vita della professoressa Linda Sinclair (Julianne Moore), 45enne insegnante di Lettere in una scuola superiore di Kingston, Pennsylvania. Avvenente, single, ancestrale lettrice, visceralmente animata dal fuoco sacro dell’insegnamento. E serenamente inserita nel meccanismo perfetto della sua tranquilla esistenza; almeno finché non inciampa per caso nel suo ex alunno Jason Sherwood (Michael Angarano).
Laureatosi in Drammaturgia teatrale alla NYU, eccolo tornare a casa dal padre Tom (Greg Kinnear) per rimettere in sesto i progetti di una vita che non hanno preso la strada dell’arte come lui avrebbe voluto. Eccolo che si ritrova a parlare con la sua ex prof di un testo (“La crisalide”) scritto come tesi di laurea, ma che nessuno ha mai voluto produrre. Ecco l’idea della signoria Sinclair di farne lo spettacolo scolastico di fine anno, affidandone la regia a Karl Capinas (Nathan Lane), eccentrico insegnante di drammaturgia.
Così, tutto comincia a prendere forma: il film delinea i suoi contorni mentre il gruppo di giovani attori s’impegna nelle prove di recitazione di quel testo, scritto da un ragazzo promettente ma forse ancora imprigionato nella crisalide di un’adolescenza protratta che non lo fa diventare un’adulta farfalla. Imbrigliato in una metamorfosi che stravolgerà la quiete di Kingston in un crescendo rovinoso: prima la “sveltina” con Linda Sinclair, poi la pomiciata con la primattrice del suo dramma (Halle Anderson, alias Lily Collins), quindi la scoperta di un finale di scena cambiato a sua insaputa, infine il licenziamento della signorina Sinclair da parte del preside.
Il film ha il moto altalenante di un bozzolo che ondeggia fra due rami, in bilico tra impegno e leggerezza, senza mai prendere una delle due direzioni. Pericolosamente appeso alle situazioni surreali che si succedono (l’ammonimento di Linda ad Halle di non farsi coinvolgere emotivamente da Jason, Linda che travisa l’interpretazione della commedia di fronte al signor Sherwood, sempre lei che gli confessa di avere fatto sesso con Jason), il film sta attento a non cascare per terra prima d’aver liberato il lepidottero rinchiuso al suo interno.
Quella delicata farfalla che è atavico simbolo di trasformazione e della quale ciascun personaggio assumerà i tratti, cambiando il proprio finale sulla scorta degli errori commessi. Dentro una storia che – pur armoniosamente disegnata dalla soffice colonna sonora di Rob Simonsen e diretta con esordiente gentilezza da Craig Zisk – fatica a scegliere il proprio colore. Ogni cosa è graziosa, compreso il lieto fine che ci portiamo a casa insieme al piacere di un copione ben scritto e di ottanta minuti condotti dal carisma di Julianne Moore, ma all’interno di un racconto vulnerabile quanto la breve vita di una farfalla.
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