carloalberto
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mercoledì 2 marzo 2022
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riuscito horror post apocalittico
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Post apocalittico girato da Jeff Renfroe tra i ghiacci perenni di un paesaggio innevato, in un mondo distopico sconvolto da una catastrofe climatica planetaria, che sfrutta lo schema di Io sono leggenda di Francis Lawrence moltiplicando il solitario protagonista di quel film in una piccola comunità di sopravvissuti guidati da un altro attore di colore, come Will Smith, con la vocazione per i ruoli da buono, Laurence Fishburne. I cattivi questa volta non sono zombies ma una banda di cannibali capeggiati da una figura molto simile, compresa la calvizie totale ed il grido di guerra lanciato per aizzare i suoi uomini, al capo dei morti viventi nel citato film di Lawrence.
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Post apocalittico girato da Jeff Renfroe tra i ghiacci perenni di un paesaggio innevato, in un mondo distopico sconvolto da una catastrofe climatica planetaria, che sfrutta lo schema di Io sono leggenda di Francis Lawrence moltiplicando il solitario protagonista di quel film in una piccola comunità di sopravvissuti guidati da un altro attore di colore, come Will Smith, con la vocazione per i ruoli da buono, Laurence Fishburne. I cattivi questa volta non sono zombies ma una banda di cannibali capeggiati da una figura molto simile, compresa la calvizie totale ed il grido di guerra lanciato per aizzare i suoi uomini, al capo dei morti viventi nel citato film di Lawrence. A parte la mancanza di originalità, il thriller horror funziona mantenendo alta la suspense per tutta la durata del film senza mai stancare o annoiare.
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elgatoloco
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giovedì 1 luglio 2021
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survival-disaster movie but...
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"The Colony"(Jeff Renfroe, soggetto di Patrcik Tarr, sceneggiatura di Paul Barkin, 2013)parla in forma catastrofica e catastrofista di cambiamenti climitatici, dove la terra subisce dapprima un surriscaldamento globale, poi un raffreddamento catrastrofico, per cui la sopravvivenza, difficilee e limitata a pochissime persone, è comunque ristretta a gruppi che si concentrano in lree piccole quanto autoprotette, che si rinchudono ancora di pià, preferendo affidarsi a una gestione"lautocraticamente chiusa", con un'esclusione degli ammalati che arriva a non dar loro neppure più la possibilità di allontanarsi(adnadando incontro a un destino quasi certo di morte, viste le condizioni climatiche), uccidendoli subito, "per evitare il conagio".
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"The Colony"(Jeff Renfroe, soggetto di Patrcik Tarr, sceneggiatura di Paul Barkin, 2013)parla in forma catastrofica e catastrofista di cambiamenti climitatici, dove la terra subisce dapprima un surriscaldamento globale, poi un raffreddamento catrastrofico, per cui la sopravvivenza, difficilee e limitata a pochissime persone, è comunque ristretta a gruppi che si concentrano in lree piccole quanto autoprotette, che si rinchudono ancora di pià, preferendo affidarsi a una gestione"lautocraticamente chiusa", con un'esclusione degli ammalati che arriva a non dar loro neppure più la possibilità di allontanarsi(adnadando incontro a un destino quasi certo di morte, viste le condizioni climatiche), uccidendoli subito, "per evitare il conagio". Tutto questo in qualche modo regge, con la sua logica feroce da "homo homini lupus", finché non sopraggiunge una "squadra"di cannibali disponibile a tutto, pur di cibarsi delle carni dei sopravvissuti. Incerto tra approfondimento della psicologia individuale e considerazioni sulla dinamica di gruppo(viste le diemnsioni cui si sarebbe ridotta l'umanità, di una dimensione"sociale"è orami assolutamente improprio parlare), il film,in questione(di produzione canadese) che tecnicamente"si difende"e appare a tratti, superiore alla media di prodotti dello stesso genere, finisce per proporre, anzii quasi imporre il dilemma tra la logica della mera sopravvienza individuale, quella dell'istinto dell'autocnservazione, quella della violenza come "naturale"o invece socialmnete indotta, senza in alcun modo riuscire a proporre soluzioni non dico teoriche(non è questo, invero, il compito del cinema)ma neppure praticamente credibili, Se non erano riusciti, nonostante sforz teorici notevoli, a dirci molto Freud, gli psicobologi e, reciprocamente, la biopsicologia, Fromm e altri, che cosa aspettarci da un film che mira, in primis, a spaventare, forse incutere qualche"pensiero"(non dirò"riflessione", sarebbe dire troppo)sul surriscaldamento globale, senza riuscire a trovare la chiave per proporci la questione in una forma non legata alla mera logica del film d'azione e del "terrore spcciolo"? Anche gli e le interpreti, in questo quadro, sono meri/e esecutori ed esecutrici di funzioni da svolgere, più o meno bene, cosa che fanno discretamwente. El Gato
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giuseppetoro
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lunedì 30 novembre 2015
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film carino
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Azione tra i ghiacci..bellino da seguire!
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dave69
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domenica 31 agosto 2014
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senza infamia e senza lode
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Stanno diventando sempre più frequenti i film catastrofici ambientati su una Terra resa deserta in seguito ad una nuova, terribile glaciazione ["2012: Ice Age" (2011), "Snowpiercer" (2014)]. Pur non brillando particolarmente in originalità, Renfroe se la cava discretamente in questo scarno action-movie che sarebbe però riuscito sicuramente meglio se la sceneggiatura si fosse preoccupata di approfondire almeno un po' i personaggi principali, ridotti ad essere piuttosto schematici e bidimensionali, e, soprattutto, se avesse evitato nel discutibile finale di scadere nell'horror più sanguinario (vedi ad esempio, la decapitazione del capo dei cannibali). Peccato. Senza infamia e senza lode. Voto: 5/6
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sev7en
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lunedì 28 luglio 2014
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distroso... e non solo nel film.
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Una glaciazione planetaria decima il genere umano e costringe i sopravvissuti a vivere in piccoli gruppi sottoterra ma un messaggio di soccorso, giunto da una delle “colonie”, porta la speranza per una vita di uscita nonché un discreto numero di problemi al seguito…
Cosa abbiano in comune Snowpiercer, Aliens, Dead Space (il videogioco), Resident Evil (videogioco e film), 3 Days to Kill (benchmark oramai per le riflessioni introspettive fuori tema) è presto detto: l’ultimo lungometraggio di Jeff Renfroe.
La regola somma delle parti trova in questa particolare alchimia la migliore delle confutazioni, ovvero, l’idea di attingere a quanto di buono proposto dai titoli succitati si è rivelato un fallimentare, noioso e piatto tentativo di svecchiare un genere, quello dei survival-disaster-movies ultimamente poco presente in sala (forse era un segnale da non ignorare…).
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Una glaciazione planetaria decima il genere umano e costringe i sopravvissuti a vivere in piccoli gruppi sottoterra ma un messaggio di soccorso, giunto da una delle “colonie”, porta la speranza per una vita di uscita nonché un discreto numero di problemi al seguito…
Cosa abbiano in comune Snowpiercer, Aliens, Dead Space (il videogioco), Resident Evil (videogioco e film), 3 Days to Kill (benchmark oramai per le riflessioni introspettive fuori tema) è presto detto: l’ultimo lungometraggio di Jeff Renfroe.
La regola somma delle parti trova in questa particolare alchimia la migliore delle confutazioni, ovvero, l’idea di attingere a quanto di buono proposto dai titoli succitati si è rivelato un fallimentare, noioso e piatto tentativo di svecchiare un genere, quello dei survival-disaster-movies ultimamente poco presente in sala (forse era un segnale da non ignorare…). La trama è la solita con il pretesto di provare l’ennesimo gadget ecologista che finisce per raffreddare un po’ oltre i limiti del corpo umano, l’umanità che paga per il proprio ardore e finisce sottoterra cercando di sopravvivere in serre create ad-hoc, un gruppo vario di personaggi con carattere smussato ad arte in modo tale da creare anche sui turni di guardia e tanta, troppa, voglia di raccontare un dramma, che regista e sceneggiatore in primis non hanno minimamente sperimentato sulla loro pelle, attraverso le vicende personali dei vari attori. Il protagonista fondamentalmente è uno Sam (Kevin Zegers) che va dapprima a zonzo con un redivivo Laurence Fishburne, mentore/mentore ma anche leader carismatico della prima parte, poi si destreggia da novello Lancillotto con la bella Kai (al secolo Charlotte Suillivan) quindi con una verve da far invidia alla più adrenalinica Milla Jovovich si lancia in un’indomita caccia agli zombie che ricorda uno sparatutto in prima persona poco survival e molto splatter. La recitazione non è malvagia ma ciò che manca è l’analisi introspettiva dello stato d’animo dei personaggi calati all’interno di uno scenario che non riescono a scaldare con il loro ardore, contribuendo, paradossalmente, al congelamento anche del pubblico in sala. La terza opera di Renfoe, dopo gli anonimi One Point 0, Civic duty, è quindi un passo falso completo, un inno ai luoghi comuni e al “finché vita c’è speranza” con una linearità che viaggia su binari, una sceneggiatura di cui abbiamo affrescato i tratti salienti ed un accompagnamento sonoro, per chiudere il cerchio, sullo stello livello qualitativo.
Fishburne oltre alla sua presenza “fisica” da Matrix porta con sé anche un’altra chicca ma per evitare spoiler rimandiamo direttamente a fine pellicola…
Il budget non era da blockbuster, si stima sia stato 16 milioni di dollari, ma non è necessario che vi siano major o multinazionali a finanziare film per poter apprezzare del buon e sano cinema. Apprezzabile, almeno, la volontà di non includere sponsorizzazioni stile l’ultimo Transformer non sapremo mai se per scelta (forse nel bianco manto nevoso sarebbe stato troppo…) o per necessità (nessuno che si sia fatto avanti…).
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