flyanto
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lunedì 26 giugno 2017
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le quotidiane lotte di una coppia di filippini
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Giunto finalmente nelle nostre sale cinematografiche con ben 4 anni di ritardo rispetto a quando nel 2013 ha ricevuto il premio da parte del pubblico nel corso del Sundance Festival, "Metro Manila" del regista Sean Ellis risulta come uno dei migliori films della stagione.
Assai cruda e spietata per ciò che concerne la vicenda, la pellicola racconta una storia inventata ma sicuramente realistica e purtroppo comune a moltissime famiglie filippine.
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Giunto finalmente nelle nostre sale cinematografiche con ben 4 anni di ritardo rispetto a quando nel 2013 ha ricevuto il premio da parte del pubblico nel corso del Sundance Festival, "Metro Manila" del regista Sean Ellis risulta come uno dei migliori films della stagione.
Assai cruda e spietata per ciò che concerne la vicenda, la pellicola racconta una storia inventata ma sicuramente realistica e purtroppo comune a moltissime famiglie filippine.
Una famiglia, composta da due giovani genitori ed una bambina ed un neonato, poichè vive nella giungla in condizioni di totale miseria, decide di trasferirsi nella capitale Manila al fine di ricostruirsi una dignitosa esistenza con un onesto lavoro. Certi di riuscire a trovare un'occupazione in breve tempo, appena giunti in città i due coniugi però ne subiscono subito un impatto negativo e violento: dapprima essi vengono raggirati e dunque derubati dei pochi risparmi da un sedicente affitta camere, poi senza più soldi sono costretti a subire anche la fame, gli iniziali lavori di manovalanza che il padre accetta vengono malpagati e per la moglie sembra non esservi altra occupazione che quella di ballerina e prostituta in un locale malfamato. Quando il marito viene scelto per un impiego come porta valori, all'intera famiglia sembra finalmente di voltare pagina dalle brutture e dalla miseria quotidiane. Sarà, invece, per loro un altro percorso esistenziale difficile e pericoloso.....
Film girato sicuramente con un basso budget, "Metro Manila" ciò nonostante risulta un'opera cinematografica molto ben diretta ed interpretata (gli attori sono tutti locali ed a noi ancora sconosciuti) ma ciò che la rende originale, discostandola da un genere già troppo sfruttato, è come il regista, attraverso la storia privata di una qualsiasi coppia filippina con problemi economici, riesca ad interessare il pubblico costruendola in maniera avvincente ed, attraverso di essa, rappresentare la denuncia esplicita di una società altamente violenta e corrotta dove l'unica cosa che importi ed abbia valore è il denaro da ottenere a tutti i costi e, qualora necessario, anche ricorrendo al tradimento ed alla violenza più spietata. La coppia, forse per indole propria o perchè nata e vissuta in un ambiente a contatto con la natura e, pertanto, lontano dalla perversa e cruenta città, sembra incarnare gli unici esemplari di individui onesti e puri d'animo e nell'evolversi degli avvenimenti il regista riesce mirabilmente a rappresentare il loro lento disincanto nonchè disillusione. E ciò costituisce il valore del film che, perfetto nello stile e con un ritmo altamente avvincente, è altamente consigliabile.
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vanessa zarastro
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giovedì 3 agosto 2017
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un film antiurbano
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Metro Manila è un film molto duro che rappresenta una visione della società disperante e mostra uno squarcio disperato della vita urbana nella capitale delle Filippine.
Oscar e Mai Ramirez vivono nella municipalità rurale Banaue, zona famosa per le risaie nel Nord del Paese. Hanno due figlie una di nove anni e l’altra piccolissima. Lui fa il contadino ma lo scarso raccolto non permette di sfamare la famiglia né tantomeno di farla vivere dignitosamente, pertanto decidono di cercare fortuna andando a Manila. Pessima idea!
Manila si trova sull’isola più grande che si chiama Luzòn; è situata sulla costa orientale della baia omonima ed ha più di un milione e mezzo di abitanti.
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Metro Manila è un film molto duro che rappresenta una visione della società disperante e mostra uno squarcio disperato della vita urbana nella capitale delle Filippine.
Oscar e Mai Ramirez vivono nella municipalità rurale Banaue, zona famosa per le risaie nel Nord del Paese. Hanno due figlie una di nove anni e l’altra piccolissima. Lui fa il contadino ma lo scarso raccolto non permette di sfamare la famiglia né tantomeno di farla vivere dignitosamente, pertanto decidono di cercare fortuna andando a Manila. Pessima idea!
Manila si trova sull’isola più grande che si chiama Luzòn; è situata sulla costa orientale della baia omonima ed ha più di un milione e mezzo di abitanti.
Il primo impatto è subito negativo e l’arrivo sfortunato: vengono subito truffati da qualcuno che gli affitta (pagamento anticipato) una stanza non sua di un edificio, si scoprirà più tardi, di proprietà del governo. Ciononostante la bimba più grande rimane ammaliata dalle luci, dalle fontane, dai grattacieli della capitale. Chiederà a Oscar: “Papà quando moriamo andiamo lì?”
Grazie al tatuaggio sul braccio dell’esercito Oscar verrà assunto come guardia giurata per una compagnia di portavalori, mestiere ad alto rischio in una città violenta come Manila. Avrà un partner-poliziotto Ong, generoso ma invadente, che lo aiuterà – in cambio di qualche favoretto - a trovare una sistemazione in un appartamento e a lasciare la baracca a Tondo, zona malfamata sul porto vicino al mercato del pesce.
Oscar è un uomo di sani principi, si troverà stritolato da una logica di crimine dove anche il più onesto è corrotto e truffatore. Si troverà con l’acqua al collo, ricattato, a fare cose che non credeva fosse possibile. Mentre la moglie, pur di guadagnare qualche soldo e di portare la bambina dal dentista, accetta di lavorare come entraîneuse in un bar equivoco, certa che la fede nel Signore misericordioso le farà superare questo momento di difficoltà al più presto.
Più che il Signore la aiuterà Oscar che s’immolerà per salvare dalla miseria la sua famiglia attraverso un geniale ed escogitato finale.
Metro Manila, che arriva in Italia solo adesso con quattro anni di ritardo, è stato girato nel 2013 e ha vinto il Premio al Sundance Festival. Parla della società filippina e della vita metropolitana della capitale ma nessuno dello staff della produzione è filippino. Il regista inglese, direttore della fotografia, ha preso spunto da un caso di cronaca nera legato a un furgone portavalori, ma questo è diventato un pretesto per una storia di difficoltà economiche, di povertà, di immigrazioni urbane, e di difficoltà a rimanere fedeli ai propri principi.
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gianleo67
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martedì 24 novembre 2015
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storia di oscar & mai
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Fuggiti dalla miseria e dagli stenti delle risaie terrazzate di Bamau, Oscar e Mai si trasferiscono insieme alle due figlie ancora piccole nell'area metropolitana di Manila. La ricerca di un lavoro e di migliori condizioni di vita portano lei ad esibirsi come ballerina in un night e lui a trovare impiego come metronotte in una società di trasporti. Si renderanno ben presto conto però che la realtà urbana è molto più cinica e spietata di quella che hanno appena abbandonato.
Dopo gli interessanti esordi con la commedia grottesca di Cashback (2004) ed il thriller allucinato di Rotto (2008), il 40 enne inglese Sean Ellis prosegue con la sua vocazione per il cinema indipendente con un soggetto che vira decisamente verso il melodramma sociale da esportazione con cui il cinema occidentale sembra volersi lavare la coscienza dalle colpe di una miseria che colpisce l'estremo oriente del mondo e la globalizzazione dei disvalori legati all'egoismo ed alla cupidigia umane (Mammoth - 2009 - Lukas Moodysson).
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Fuggiti dalla miseria e dagli stenti delle risaie terrazzate di Bamau, Oscar e Mai si trasferiscono insieme alle due figlie ancora piccole nell'area metropolitana di Manila. La ricerca di un lavoro e di migliori condizioni di vita portano lei ad esibirsi come ballerina in un night e lui a trovare impiego come metronotte in una società di trasporti. Si renderanno ben presto conto però che la realtà urbana è molto più cinica e spietata di quella che hanno appena abbandonato.
Dopo gli interessanti esordi con la commedia grottesca di Cashback (2004) ed il thriller allucinato di Rotto (2008), il 40 enne inglese Sean Ellis prosegue con la sua vocazione per il cinema indipendente con un soggetto che vira decisamente verso il melodramma sociale da esportazione con cui il cinema occidentale sembra volersi lavare la coscienza dalle colpe di una miseria che colpisce l'estremo oriente del mondo e la globalizzazione dei disvalori legati all'egoismo ed alla cupidigia umane (Mammoth - 2009 - Lukas Moodysson). Se è vero che la componente 'neorealista' è accentuata tanto dalle accurate ricostruzioni ambientali (dai terrazzamenti di una millenaria povertà rurale dell'entroterra filippino al degrado degli slums metropolitani il passo è più che breve, quasi scontato) che dalla scelta di una camera mobilissima e di una fotografia da docu-film curata dallo stesso autore, è sul versante dell'intreccio e delle sue melodrammatiche conseguenze che Ellis manca l'appuntamento con lo spiritualismo etico alla Brillante Mendoza (Lola - 2009), prediligendo il solito voice over già visto nelle opere precedenti quale contrappunto di una narrazione che volge alla lacrima facile ed alla inevitabile morale del sacrificio individuale. Porre rilievo sulle contraddizioni e le sperequazioni che attraversano la cattolicissima società filippina quindi, si riduce quasi ad un esercizio di puro stile drammaturgico che più che alla denuncia vera e propria (dal debole simbolismo di antiche vestigia dei conquistadores spagnoli alla scatola di latta di una nota multinazionale in cui riporre miseri risparmi e che viene accreditata nei titoli di coda!), punta ad innescare le dinamiche del solito robbery-thriller di guardie giurate alle prese con le facili tentazioni del colpo della vita e che lo riporta alle consuetudini mainstream del cinema anglosassone; anche a dispetto delle intenzioni declamatorie che partono dall'incipit di un vecchio proverbio filippino e si concludono con la massima testamentaria di un padre amorevole che non ha mai smesso di pensare al bene della propria famiglia. Insomma un film senza necessità di bollini rossi e pieno di buoni sentimenti che si sposta furbescamente dalla pseudo denuncia sociale al mero intrattenimento per famiglie, anche e soprattutto grazie alla bella colonna sonora originale di Robin Foster (suo il 'Tema di Oscar and Mai') ed all'immancabile inserto di un'aria della Callas (qui in 'O mio babbino' da Puccini) in funzione didascalica. Premio del pubblico al Sundance Film Festival 2013 e candidato ai BAFTA Awards 2014 come miglior film in lingua non inglese: infatti è in Tagalog; preparate i sottotitoli!
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