L’elefante bianco e’ l’ospedale alla periferia di Buenos Aires cominciato negli anni 50 e mai terminato. L’elefante bianco e’ la scenografia del film dell’argentino Paolo Trapero dove due preti, Julian e Nicolas,di ritorano da una missione in Amazzonia, si adoperano per terminare cio’ che la societa civile non ha mai terminato. E che forse mai terminerà.
L’elefante bianco e’ dunque la vita dei due uomini, prima che di due preti, continuamente in bilico tra fallimento e divenire, sospesa tra quello che dovrebbe essere e che quello che si vorrebbe che fosse. Perche’ l’elefante bianco serve a dare un senso ad una citta, a un quartiere, a una bidonville, ai disperati che ci vivono, ai narcotrafficanti che pullulano le artiere di fango ai suoi lati. E forse soprattutto a Julian e Nicolas, alle loro vite sospese eppur talmente focalizzate sugli obiettivi da ragguingere da dimenticare il perche lo stiano facendo.
E cosi’ l’elefante bianco diventa metafora non solo della loro vita ma anche della nostra, di un’immensa struttura in costruzione ai limiti dell’abuso edilizio dove i perche si perdono dietro scelte impossibili da decifrare, dentro l’ossessione personale di una coerenza di percorso che forse non andrebbe nemmeno cercata. Trapero firma cosi un film convinto e convincente,che non cerca di spiegare i perche’ di uomini che dovrebbero trovare risposte e che invece non fanno che porsi domande. Che non vuole per forza essere rappresentativo di buenos aires e delle sue bidonville, della vita da missionaria da strada, della coerenza o della sofferenza. Ne nasce dunque un resoconto, silenzioso come il personaggio di Nicolas, sulla difficolta di seguire un percorso di vita, qualunque esso sia, e renderne conto a se stessi prima che agli altri.
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