osteriacinematografo
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martedì 27 dicembre 2011
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"noi siamo come l’acqua"
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Almanya è un viaggio cinematografico in doppio senso di marcia lungo la linea d’integrazione che corre fra Germania e Turchia.
Una famiglia di origini turche vive in Germania, e mentre il nonno –il capo famiglia- annuncia ai suoi di aver acquistato una casa in Anatolia per le vacanze, e mentre –subito dopo- la famiglia si muove come un corpo unico verso la terra d’origine, si sviluppa il racconto del viaggio inverso, quello affrontato dal nonno decine di anni prima per giungere in Almanya, per inseguire il sogno di un lavoro, per offrire la possibilità di una vita diversa ai suoi cari.
E’ una storia d’amore per la propria terra, per le proprie origini, è un percorso a tappe mnemoniche, è la vita stessa, è il tempo che passa ma che rimane dentro ogni persona e ne diviene parte, è lo strano ciclo naturale che si perpetua nei modi più svariati.
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Almanya è un viaggio cinematografico in doppio senso di marcia lungo la linea d’integrazione che corre fra Germania e Turchia.
Una famiglia di origini turche vive in Germania, e mentre il nonno –il capo famiglia- annuncia ai suoi di aver acquistato una casa in Anatolia per le vacanze, e mentre –subito dopo- la famiglia si muove come un corpo unico verso la terra d’origine, si sviluppa il racconto del viaggio inverso, quello affrontato dal nonno decine di anni prima per giungere in Almanya, per inseguire il sogno di un lavoro, per offrire la possibilità di una vita diversa ai suoi cari.
E’ una storia d’amore per la propria terra, per le proprie origini, è un percorso a tappe mnemoniche, è la vita stessa, è il tempo che passa ma che rimane dentro ogni persona e ne diviene parte, è lo strano ciclo naturale che si perpetua nei modi più svariati.
“Noi siamo come l’acqua: non importa che forma abbiamo, noi ci siamo sempre.” – dice un padre al figlio.
Quello che siamo, che siamo stati e che saremo è una cosa sola, un unico filo avvolgente e multi sfaccettato di cui non riusciamo a percepire le estremità.
“Una volta un saggio alla domanda “Chi o cosa siamo noi?” rispose così: siamo la somma di tutto quello che è successo prima di noi, di tutto quello che è accaduto davanti ai nostri occhi, di tutto quello che ci è stato fatto, siamo ogni persona, ogni cosa la cui esistenza ci abbia influenzato o con la nostra esistenza abbia influenzato, siamo tutto ciò che accade dopo che non esistiamo più e ciò che non sarebbe accaduto se non fossimo mai esistiti!”
Così recita il film nel finale.
La morte viene interpretata come una forma di continuità, di ereditarietà di sé nelle persone che sono state “sfiorate” o “persuase” da chi apparentemente non c’è più. Nulla si perde, nemmeno una stilla, di quanto è valso a far gorgheggiare l’acqua.
E forse è proprio così.
L’acqua come memoria, l’acqua come elemento di scorrimento unificante.
L’acqua di chi lascia continua a scorrere nell’alveo di chi resta:
perciò, forse (sempre forse), non si muore mai davvero;
per lo stesso motivo, forse, “il nonno è evaporato”.
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renato volpone
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venerdì 16 dicembre 2011
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dal riso al pianto
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Quanta emozione in questo racconto di una famiglia di origine turca che vive in Germania. Il film è raccontato dai diversi protagonisti, tutti, nessuno più importante di un altro, ognuno con la sua storia da raccontare, storie che si intrecciano, che si sovrappongono, che scompongono e ricompongono il tessuto di questa famiglia fatta di valori veri, antichi, ma fortemente radicati, a cominciare da quello dell'amore e del reciproco sostegno. Il nonno è emigrato in germania portandosi poi appresso la famiglia, il contrasto è quello della vita in una Turchia agricola con quello della Germania industrializzata, sempre con un tocco di ilarità in più che solleva il morale e fa divertire, ma poi, quando il racconto diventa più intimo, le lacrime si affacciano agli occhi.
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Quanta emozione in questo racconto di una famiglia di origine turca che vive in Germania. Il film è raccontato dai diversi protagonisti, tutti, nessuno più importante di un altro, ognuno con la sua storia da raccontare, storie che si intrecciano, che si sovrappongono, che scompongono e ricompongono il tessuto di questa famiglia fatta di valori veri, antichi, ma fortemente radicati, a cominciare da quello dell'amore e del reciproco sostegno. Il nonno è emigrato in germania portandosi poi appresso la famiglia, il contrasto è quello della vita in una Turchia agricola con quello della Germania industrializzata, sempre con un tocco di ilarità in più che solleva il morale e fa divertire, ma poi, quando il racconto diventa più intimo, le lacrime si affacciano agli occhi. Un quadro, come quello animato in cui cadono le foglie a presagio di un triste autunno, un quadro di vita e di buoni sentimenti. Forse troppo edulcorato rispetto alla vita dell'emigrante, ma invita al rispetto e alla tolleranza perchè chi si allontana dalla propria terra non lo fa a cuor leggero, ma spesso e quasi sempre per sopravvivenza. E' un film che educa, ottimo da proporre nelle scuole.
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linus2k
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sabato 7 gennaio 2012
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una commedia dell'anima
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"una volta un saggio, alla domanda chi o che cosa siamo noi, rispose così: Siamo la somma di tutto quello che è successo prima di noi, di tutto quello che è accaduto davanti ai nostri occhi, di tutto quello che ci è stato fatto. Siamo ogni persona, ogni cosa la cui esistenza ci abbia influenzato, o che la nostra esistenza abbia influenzato, siamo tutto ciò che accade dopo che non esistiamo più, e ciò che non sarebbe mai accaduto se non fossimo mai esistiti"
ecco... questo è Almanya, piccola commedia tedesca che sarebbe limitativo delimitare nel semplice filone della commedia di immigrazione.
Almanya entra in pieno in quella commedia familiare, di commedia che sa narrare l'anima e la vita di ognuno di noi, che sa modulare in maniera perfetta sorriso e pianto, raccontando la storia eterna dell'amore familiare, delle origini che restano salde nonostante tutto.
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"una volta un saggio, alla domanda chi o che cosa siamo noi, rispose così: Siamo la somma di tutto quello che è successo prima di noi, di tutto quello che è accaduto davanti ai nostri occhi, di tutto quello che ci è stato fatto. Siamo ogni persona, ogni cosa la cui esistenza ci abbia influenzato, o che la nostra esistenza abbia influenzato, siamo tutto ciò che accade dopo che non esistiamo più, e ciò che non sarebbe mai accaduto se non fossimo mai esistiti"
ecco... questo è Almanya, piccola commedia tedesca che sarebbe limitativo delimitare nel semplice filone della commedia di immigrazione.
Almanya entra in pieno in quella commedia familiare, di commedia che sa narrare l'anima e la vita di ognuno di noi, che sa modulare in maniera perfetta sorriso e pianto, raccontando la storia eterna dell'amore familiare, delle origini che restano salde nonostante tutto.
Almanya è uno di quei piccoli regali nascosti da tanti, inutili pacchi pieni di fronzoli... il più piccolo ed il più prezioso, perché sa parlare di ognuno di noi, perché nella famiglia turca emigrata in Germania ci siamo tutti, chi era immigrato, chi non lo è mai stato, chi è stato semplicemente figlio, mamma, nonno ed ha vissuto con una famiglia dalle tante generazioni ben presenti e valide...
C'era la mia famiglia, mai emigrata, ma riconoscibile nel numero e nelle dinamiche anche di lotta tra fratelli, c'erano le tante famiglie di immigrati con i figli più integrati dei genitori..
In Almanya c'è l'amore, quello filiale, quello puro, narrato con soavità e delicatezza, e non si può non voler bene a questo film...
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giovanna
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domenica 18 dicembre 2011
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un film che innesca processi virtuosi di ben-esser
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Giovani intelligenti brave belle… turche: Yasemin e Nesrin Samdereli, ” le sorelle Coen della Turchia” come sono state ribattezzate, dopo il successo del loro film al Festival di Berlino.
Turche ormai di terza generazione, nate a Dortmund-Germania, hanno messo in scena la storia della loro famiglia, che, come migliaia di tante altre, dopo l’accordo del 1961 tra Germania e Turchia, si spostò a lavorare in Almanya in pieno boom economico.
Attingendo a piene mani ad una ricca anedottica familiare, che già aveva divertito amici e conoscenti, con il lusso della leggerezza, le Samdereli si lanciano in una spericolata incursione nei più vieti reciproci pregiudizi razziali e ne mettono a nudo l’inconsistenza.
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Giovani intelligenti brave belle… turche: Yasemin e Nesrin Samdereli, ” le sorelle Coen della Turchia” come sono state ribattezzate, dopo il successo del loro film al Festival di Berlino.
Turche ormai di terza generazione, nate a Dortmund-Germania, hanno messo in scena la storia della loro famiglia, che, come migliaia di tante altre, dopo l’accordo del 1961 tra Germania e Turchia, si spostò a lavorare in Almanya in pieno boom economico.
Attingendo a piene mani ad una ricca anedottica familiare, che già aveva divertito amici e conoscenti, con il lusso della leggerezza, le Samdereli si lanciano in una spericolata incursione nei più vieti reciproci pregiudizi razziali e ne mettono a nudo l’inconsistenza.
Il film è un invito a sbullonare il cervello dalle remore concettuali che ostacolano un sano relativismo culturale.
da
www.criticipercaso.it
A tratti divertente a tratti commovente, mai sopra le righe, anche quando tratta problemi religiosi legati all’inquietante immagine del Cristo crocifisso.
Attraverso gli occhi del piccolo Cek, il film ci racconta, con l’ inincessante uso del flashback, il lungo processo di integrazione di Hüseyin, dal suo arrivo in Germania come milionesimoeuno emigrante in Germania sino all’invito della Merkel in persona per celebrare l’anniversario dell’evento.
L’ottenimento del passaporto non cancella l’ineludibile nostalgia per il proprio Paese del capofamiglia, nè tantomeno risolve i dubbi sulla propria identità del nipotino Cek, scartato nella partita di pallone dai tedeschi perchè turco e dai turchi perchè tedesco.
In apertura e chiusura del film, frammenti del documentario con la dichiarazione di Franz Bruno Frisch: ” Volevamo braccia, sono arrivati uomini”. a non far perdere di vista lo spessore del problema di ieri e di oggi.
Insomma proprio una bella occasione quest’ opera prima delle sorelle Samdereli per innescare processi virtuosi di ben-essere.
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francesca meneghetti
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sabato 28 gennaio 2012
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gli eterni dilemmi della cross generation
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Almanya esce nelle sale italiane mentre è in corso una campagna atta a garantire la cittadinanza secondo il principio dello jus soli, per cui chi nasce in Italia è cittadino italiano, a prescindere dallo status dei genitori, al fine di evitare quel limbo giuridico ma anche esistenziale in cui si trovano ora bambini e adolescenti figli di stranieri. Si è riaccesa così l'attenzione sui figli degli immigrati, chiamati G2(seconda generazione). Il termine più indicato, e ora preferito dagli studiosi, è quello di cross generation: espressione che sottolinea il tratto più significativo della loro condizione: essere un crocevia di culture, di lingue, di opinioni religiose e di valori. Difficile che l’incrociarsi di messaggi di provenienza diversa produca fin da subito un risultato armonioso e scontato.
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Almanya esce nelle sale italiane mentre è in corso una campagna atta a garantire la cittadinanza secondo il principio dello jus soli, per cui chi nasce in Italia è cittadino italiano, a prescindere dallo status dei genitori, al fine di evitare quel limbo giuridico ma anche esistenziale in cui si trovano ora bambini e adolescenti figli di stranieri. Si è riaccesa così l'attenzione sui figli degli immigrati, chiamati G2(seconda generazione). Il termine più indicato, e ora preferito dagli studiosi, è quello di cross generation: espressione che sottolinea il tratto più significativo della loro condizione: essere un crocevia di culture, di lingue, di opinioni religiose e di valori. Difficile che l’incrociarsi di messaggi di provenienza diversa produca fin da subito un risultato armonioso e scontato. Parecchidei protagonisti del film sono (o sono stati) appunto in questa condizione, che è gravida di contraddizioni a volte insanabili, ma anche di esiti originali e creativi, specie là dove si mescolano orgoglio per le proprie radici e condivisione di una civiltà più tecnologica. Tutti questi motivi fanno di Almanya un film molto interessante dal punto di vista dei contenuti. Tuttavia esso paga il prezzo di non essere il primo: "East is east", "Sognando Beckam", "Il mio grasso grosso matrimonio greco", tanto per nominare alcuni dei predecessori, hanno creato un genere. Difficile inserirvisi con tratti marcati di originalità. Pur apprezzando le intenzioni del regista, se ne ricava un'impressione di irresolutezza stilistica, che oscilla tra tragico e comico. Intendiamoci: la contaminazione dei due generi, fin dal tempo di Dante (in letteratura) è geniale e potente, ma qui dà la sensazione di una discontinuità non sempre giustificata ed anzi incerta. O forse lo spettatore rischia di restare deluso quando ha visto il trailer: una successione di battute fulminanti e scoppiettanti che creano aspettative divertenti nel film, quanto a ritmo e comicità. Le battute ci sono e restano forti, ma non c'è poi moltissimo di che ridere. Molto apprezzabili l'interpretazione di Vedat Erincin, di Demet Gül, e di tutti gli attori-bambini.
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[+] divertente e commovente!
(di francesca50)
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enzo70
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venerdì 6 marzo 2015
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uno sguardo valido e leggero sull'integrazione
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Sulla scia del dibattito in tema di immigrazione e di integrazioni Yasemin Sanderelli propone una variazione sul tema gradevole per la freschezza del ritmo. Huseyin Yilmaz è un turgo emigrato negli anni sessanta in Germania e con il lavoro ha garantito alla sua famiglia una vita serena; almeno all’apparenza. Non è un immigrato come gli altri, è l’unmilionesimo e uno immigrato e a breve la cancelliera Merkel lo incontrerà per una premiazione pubblica. E, spinto dalla moglie, avrà anche il passaporto tedesco. Ma Yilmaz ha un sogno, riportare per l’ultima volta la famiglia in Anatolia, un viaggio che serve a rendere omaggio alla tradizione di un popolo ed a ritrovarsi.
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Sulla scia del dibattito in tema di immigrazione e di integrazioni Yasemin Sanderelli propone una variazione sul tema gradevole per la freschezza del ritmo. Huseyin Yilmaz è un turgo emigrato negli anni sessanta in Germania e con il lavoro ha garantito alla sua famiglia una vita serena; almeno all’apparenza. Non è un immigrato come gli altri, è l’unmilionesimo e uno immigrato e a breve la cancelliera Merkel lo incontrerà per una premiazione pubblica. E, spinto dalla moglie, avrà anche il passaporto tedesco. Ma Yilmaz ha un sogno, riportare per l’ultima volta la famiglia in Anatolia, un viaggio che serve a rendere omaggio alla tradizione di un popolo ed a ritrovarsi. Tutti sono contrari, chi per una ragione, chi per l’altra, ma un capofamiglia è un capofamiglia; e se è turco ancor di più. E si incrociano due storie, entrambe godibili, l’arrivo del giovane Huseyin in Germania e il viaggio della famiglia verso la Turchia.
Un film di genere, sicuramente intelligente sotto il profilo del botteghino, cui va dato il merito di lasciare un segno senza cercare inutili colpi di scena o significati profondi. Da vedere senza pensieri.
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murat bay
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mercoledì 14 dicembre 2011
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apprezzabile tentativo ma è dura abbattere i muri.
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Commedia leggera e amichevole facile da seguire. Gli ingredienti ideali per accontentare il palato del pubblico di massa italiano e mitteleuropeo, che in questa pellicola trova esattamente quel che vuol vedere, senza uscire mai, se non per qualche avventuroso momento che è solo in apparenza rivoluzionario, dal sicuro percorso ben scavato dentro il proprio background culturale. Anche in questa occasione si ha infatti l’impressione, anzi ben più, il messaggio, che i migliori conoscitori della turchia e del popolo turco siano quei paesi del vecchio continente che ne hanno “accolto” i figli che la “terra delle madri”, Anadolu appunto, non riusciva a sfamare, materialmente, moralmente e culturalmente.
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Commedia leggera e amichevole facile da seguire. Gli ingredienti ideali per accontentare il palato del pubblico di massa italiano e mitteleuropeo, che in questa pellicola trova esattamente quel che vuol vedere, senza uscire mai, se non per qualche avventuroso momento che è solo in apparenza rivoluzionario, dal sicuro percorso ben scavato dentro il proprio background culturale. Anche in questa occasione si ha infatti l’impressione, anzi ben più, il messaggio, che i migliori conoscitori della turchia e del popolo turco siano quei paesi del vecchio continente che ne hanno “accolto” i figli che la “terra delle madri”, Anadolu appunto, non riusciva a sfamare, materialmente, moralmente e culturalmente. E così diviene merito della colta Europa, e in particolare della sua locomotiva economica, quello di aver elevato, o meglio, assimilato, al rango di cittadini occidentali, queste povere masse oppresse da troppi divieti e timori così arcaici da apparirci addirittura simpatici. In questo contesto si incastrano alla perfezione i soliti luoghi comuni della cultura eurocentrica verso il mondo musulmano in generale, che per il solo fatto di avere un culto religioso assume i connotati di uno stereotipo incancellabile, rendendoci incapaci di andare a cogliere quelle peculiarità che contraddistinguono nettamente dei popoli accomunati solo da uno stesso dio da pregare. Banali errori di geografia scaturiscono da una visione eurocentrica del mondo, che vuole Istanbul in europa (forse perché l’antica Costantinopoli?), mentre l’anatolia viene ridotta alla sola porzione più orientale della turchia, quando invece la penisola anatolica è tutto ciò che sta a destra del bosforo, Istanbul compresa per metà quindi. Il povero paesino sperduto fra inospitali montagne, dove si vive in baracche e si allevano polli e capre, così diverso dalle prosperose città tedesche che guidano il progresso, diventa la patria di quella famiglia con la tara delle proprie radici, pur se elevata dall’incontro pluridecennale con la raffinata cultura mitteleuropea. Il maschilismo estremizzato, che vuole la donna alla stregua di una schiava che obbedisce incondizionatamente all’uomo, tanto che il vecchio nonno (di cui ho letto definizioni del tipo “patriarca”) si rivolge alla sua consorte, compagna di una vita, chiamandola “donna”, malcelando così un naturale assoggettamento al "maschio". Forse una distorsione legata al doppiaggio italiano, così voglio credere, ma che mi fa sorridere, conoscendo molto bene, da dentro, la società turca che abbraccia persone dagli 80 agli 0 anni. L’amore che hanno per la famiglia, per tutti i suoi componenti, anche quelli “acquisiti”, e il rispetto di cui gode soprattutto la donna al suo interno, sono valori così puri e indiscutibili che forse le nostre società disgregate e infette da troppo consumismo (e sradicate ormai dal proprio passato) non sono neanche più in grado di comprendere. Impensabile per un marito turco (di media educazione) rivolgersi alla propria moglie con l'appellativo "donna".
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murat bay
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mercoledì 14 dicembre 2011
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apprezzabile tentativo, ma è dura abbattere i muri
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Commedia leggera e amichevole facile da seguire. Gli ingredienti ideali per accontentare il palato del pubblico di massa italiano e mitteleuropeo, che in questa pellicola trova esattamente quel che vuol vedere, senza uscire mai, se non per qualche avventuroso momento che è solo in apparenza rivoluzionario, dal sicuro percorso ben scavato dentro il proprio background culturale. Anche in questa occasione si ha infatti l’impressione, anzi ben più, il messaggio, che i migliori conoscitori della turchia e del popolo turco siano quei paesi del vecchio continente che ne hanno “accolto” i figli che la “terra delle madri”, Anadolu appunto, non riusciva a sfamare, materialmente, moralmente e culturalmente.
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Commedia leggera e amichevole facile da seguire. Gli ingredienti ideali per accontentare il palato del pubblico di massa italiano e mitteleuropeo, che in questa pellicola trova esattamente quel che vuol vedere, senza uscire mai, se non per qualche avventuroso momento che è solo in apparenza rivoluzionario, dal sicuro percorso ben scavato dentro il proprio background culturale. Anche in questa occasione si ha infatti l’impressione, anzi ben più, il messaggio, che i migliori conoscitori della turchia e del popolo turco siano quei paesi del vecchio continente che ne hanno “accolto” i figli che la “terra delle madri”, Anadolu appunto, non riusciva a sfamare, materialmente, moralmente e culturalmente. E così diviene merito della colta Europa, e in particolare della sua locomotiva economica, quello di aver elevato, o meglio, assimilato, al rango di cittadini occidentali, queste povere masse oppresse da troppi divieti e timori così arcaici da apparirci addirittura simpatici. In questo contesto si incastrano alla perfezione i soliti luoghi comuni della cultura eurocentrica verso il mondo musulmano in generale, che per il solo fatto di avere un culto religioso assume i connotati di uno stereotipo incancellabile, rendendoci incapaci di andare a cogliere quelle peculiarità che contraddistinguono nettamente dei popoli accomunati solo da uno stesso dio da pregare. Banali errori di geografia scaturiscono da una visione eurocentrica del mondo, che vuole Istanbul in europa (forse perché l’antica Costantinopoli?), mentre l’anatolia viene ridotta alla sola porzione più orientale della turchia, quando invece la penisola anatolica è tutto ciò che sta a destra del bosforo, Istanbul compresa per metà quindi. Il povero paesino sperduto fra inospitali montagne, dove si vive in baracche e si allevano polli e capre, così diverso dalle prosperose città tedesche che guidano il progresso, diventa la patria di quella famiglia con la tara delle proprie radici, pur se elevata dall’incontro pluridecennale con la raffinata cultura mitteleuropea. Il maschilismo estremizzato, che vuole la donna alla stregua di una schiava che obbedisce incondizionatamente all’uomo, tanto che il vecchio nonno (di cui ho letto definizioni del tipo “patriarca”) si rivolge alla sua consorte, compagna di una vita, chiamandola “donna”, malcelando così un naturale assoggettamento al "maschio". Forse una distorsione legata al doppiaggio italiano, così voglio credere, ma che mi fa sorridere, conoscendo molto bene, da dentro, la società turca che abbraccia persone dagli 80 agli 0 anni. L’amore che hanno per la famiglia, per tutti i suoi componenti, anche quelli “acquisiti”, e il rispetto di cui gode soprattutto la donna al suo interno, sono valori così puri e indiscutibili che forse le nostre società disgregate e infette da troppo consumismo (e sradicate ormai dal proprio passato) non sono neanche più in grado di comprendere. Impensabile per un marito turco (di media educazione) rivolgersi alla propria moglie con l'appellativo "donna".
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(di francesca50)
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