ACAB - All Cops Are Bastards |
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Un film di Stefano Sollima.
Con Pierfrancesco Favino, Filippo Nigro, Marco Giallini, Andrea Sartoretti, Roberta Spagnuolo.
continua»
Poliziesco,
durata 112 min.
- Italia 2011.
- 01 Distribution
uscita venerdì 27 gennaio 2012.
MYMONETRO
ACAB - All Cops Are Bastards
valutazione media:
3,20
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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La Celere raccontata senza disdegnare la ferocia.di Great StevenFeedback: |
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giovedì 2 aprile 2015 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
ACAB – ALL COPS ARE BASTARDS (IT/FR, 2012) diretto da STEFANO SOLLIMA. Interpretato da PIERFRANCESCO FAVINO, MARCO GIALLINI, FILIPPO NIGRO, ANDREA SARTORETTI, DOMENICO DIELE, ROBERTA SPAGNUOLO
Il regista è figlio di Sergio Sollima, autore di poliziotteschi anni ’60 e avventurosi anni ’70. Stefano, in particolar modo, è salito agli onori della cronaca per la serie televisiva Romanzo criminale, indubbiamente la fiction più innovativa del piccolo schermo osservando il primo decennio 2000. Con questo film d’esordio, ci porta nel mondo del settimo Nucleo del Reparto Celere, inerente alle forze di polizia romane, e ci fa concentrare su tre veterani – Cobra, Mazinga e Fabio Negro – reduci dagli eventi delittuosi del G8 di Genova (luglio 2001) che cercano di educare una giovane recluta (il “coatto” Adriano Costantini) alle regole violente e spregiudicate di un mestiere fra i più impopolari e pericolosi e alla loro fascistoide idea di ordine pubblico. Si racconta l’andamento della loro quotidiana professione, immancabilmente ricca di rischi e povera di reali soddisfazioni: caccia agli immigrati clandestini, sgomberi di campi rom, caos dei centri di assistenza, cariche contro le manifestazioni protestatarie in strada e soprattutto, quasi come un tormentone ricorrente assai martoriante, scontri con i tifosi violenti, fuori e dentro gli stadi. Sollima jr. ha dichiarato che quest’opera di debutto (senza mezzi termini, un inizio certamente incoraggiante e positivo) non intendeva né assolvere né condannare, ma bensì mostrare uno spaccato dell’Italia di oggi da un punto di vista inquietante e capace di impressionare gli spettatori idealmente impegnati riguardo le violenze giornaliere che affliggono sia chi abita stabilmente nella nostra penisola sia chi ci arriva sperando in un futuro migliore che poi viene inesorabilmente disatteso e deluso. Nel complesso, è un film di egregia e disturbante complessità, non aspira a finalità politiche e riesce perfino ad assurgere al titolo di racconto di formazione, almeno per quanto concerne l’iniziazione del personaggio di A. Sartoretti alla logica distruttiva e sadica che i celerini adottano per portare avanti un lavoro costruito su una piramide crescente e interminabile di scelleratezze legalizzate e permessi strappati a fauci spalancate. Per sua fortuna, impedisce a sé stesso di imitare i polizieschi hollywoodiani, restituendo al cinema nostrano una dignità che, in riferimento ai drammatici imperniati su tutori della legge e difensori dell’ordine costituito, gli autori italici avevano smarrito, crollando troppo spesso nella banalità, nella ripetitività o nella sedizione. Nonostante abbia provocato arrabbiature un po’ dappertutto, tanto a destra quanto a sinistra, non è possibile negargli la raffigurazione di un panorama immensamente cupo e tetro che ritrae con sincerità disarmante la società del Belpaese da un punto di vista coerente e veritiero, benché anche un po’ materialista. Bella l’idea di denominare i colleghi “fratelli”, e il concetto è espresso specialmente nel processo giudiziario in cui Favino – un eccellente e focoso capo degli agenti in casco e scudo di vetro – spiega ai suoi accusatori la lucidità e l’autocontrollo che servono obbligatoriamente per svolgere con efficacia e senza errori imperdonabili un mestiere che trova il suo significato solamente nel rapporto con i compagni di guerra, unico valore che fa di un celerino un uomo autentico, completo e battagliero. Non c’è però nessun tipo di eroismo nella rappresentazione di una vita dedicata alle botte, alle risse e alla risoluzione atroce dei cavilli: questi uomini impegnati in un combattimento infinito che non vede mai nessun vincitore sono piuttosto antieroi dichiarati che si fanno cantori senza voce di un tempo dove non esistono più certezze, e l’unica sicurezza uno se la deve edificare con sé sfoderando gli artigli, perché il film aiuta pure a comprendere come sia difficilissimo ottenere un risultato speranzoso se non ci si butta nella mischia per imporsi con forza. Liberamente tratto al romanzo omonimo, pubblicato nel 2009, del giornalista Carlo Bonini. Scritto con Daniele Casarano, Barbara Petronio e Leonardo Valenti.
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