Questo film non merita 4 stelle...forse non ne meriterebbe neanche tre, ma il regista che mi aprì l'anima al cinema quando ero un ragazzetto è tornato a commuovermi con un tono da ultima volta, una stella alle emozioni che ha saputo regalarmi con la sua semplicità e con un linguaggio cinematografico tutt'altro che scontato.
machisu è un bocchan, un signorino di paese a cui tutto è concesso: figlio di un ricco industriale della seta ha in testa solo la pittur; ma un giorno il suo mondo precipita: il padre muore suicida in seguito al fallimento delle sue imprese, gli viene sottratto ogni avere e machisu è spedito via con la matrigna, che a sua volta lo lascia allo zio, un burbero uomo dei campi....sconvolto da un eccesso dell'arte del bambino lo manderà in un orfanotrofio che il defunto padre finanziava. Machisu negli anni non abbandona il sogno di diventare un pittore ma sbatte continuamente contro il muro di gomma di un gallerista che era anche uno dei pittori di cui si circondava il babbo ai tempi d'oro, un profittatore che spinge machisu, prima ragazzo e poi uomo, a sperimentare quanto di più assurdo lasciandogli la speranza di un vago successo....gli anni passano, il pittore si è sposato con l'unica donna in grado di capirlo ed ha avuto una figlia che si vergogna come una matta dei genitori e delle stravaganze che li caratterizzano: stanca, se ne va di casa e finisce a prostituirsi(tragicomica e molto kitanesca la scena in cui machisu va a chiedere in prestito del denaro alla figlia, denaro ottenuto con il sesso a pagamento) per poi morire...anche la moglie, stanca, lo lacia. in un estremo tentativo di compiacere il critico machisu per poco non si incenerisce: perde l'arte ma ritrova l'unica cosa che sia mai stata reale nella sua storia: la moglie, con un finale dei più belli del regista giapponese, un po' chapliniano.
Termina così la trilogia di kitano e per fortuna si chiude bene; un beat takeshi ormai ultrasessantenne non ha più voglia di pistole e dita mozzate, nè di interrogarsi su cosa fare e-probbilmente- ci saluta con questa ultima poesia: Gloria al regista!
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