Già il titolo mette in guardia l’attento spettatore: un riferimento troppo evidente a delle “luci” lascia presagire dei capolavori indiscussi del maestro del cinema muto; conoscendo poi il regista, il finlandese Kaurismaki, la sottile intuizione si tramuta presto in ovvia certezza.
Koistinen è un guardiano notturno di un centro commerciale di una sterile Helsinki, vive solo, senza amici e senza aver mai conosciuto l’amore. E’ sensibile, cerca di aiutare chi soffre ma è incompreso e schernito dai colleghi e dalle donne. Finchè si innamora di una bella bionda inconsapevole che è l’amante di un boss senza scrupoli incaricata di sedurre l’ingenuo guardiano per favorire il colpo alla gioielleria da questi sorvegliata. Incastrato in una rapina, Koistinen finirà in carcere per evitare di denunciare la donna, pur consapevole della trama orchestrata ai suoi danni. Dopo aver scontato la sua pena e un saltuario lavoro in un ristorante come capocuoco, non potrà aspirare alla giusta vendetta ma troverà comprensione, speranza e forse l’amore in una timida e solitaria venditrice di hot-dog, sua anima gemella. Questo in breve Le luci della sera, una favoletta nel tributo di Chaplin dalla semplicità profonda che conserva una forza e un fascino notevoli nella caratterizzazione disperata di un dignitoso reietto abbandonato dal mondo, uno stupido romantico (come definito cinicamente dal duro boss) addolorato dalla vita. Koistinen è l’uomo medio dalla vita media schiacciato da una società ostile che lo isola reprimendo le sue ambizioni (la scena del prestito alla banca ha la forza espressiva di un pugno allo stomaco) che tuttavia trova la prontezza di reagire sulla base di oramai dimenticate norme morali. Essenziale e senza distrazioni o ingegnosità, lucido e scarno, Le luci della sera conclude la trilogia dedicata alla condizione esistenziale umana già iniziata dal regista finlandese con Nuvole in viaggio, incentrato sul dramma della perdita del posto di lavoro e poi continuata con il gran premio speciale alla giuria al Festival di Cannes L’uomo senza passato. Le luci della sera non è il fanalino di coda della trilogia ma anzi è forse il più drammaticamente riuscito dei precedenti: in esso è possibile riconoscere l’amore di Kaurismaki per l’oggettività della narrazione, la scelta di uno stile sobrio e privo di barocchismi, la spoglia rappresentazione dialogica spesso sillabica tra i protagonisti. Attraverso la splendida fotografia di una Helsinki quasi irreale e irriconoscibile dalle tinte rosso blu, il regista svedese gira un melodramma asciutto sulla disperazione e la solitudine umana, forte del potere delle immagini e della musica (che spazia dalla classica a quella dei cori finlandesi) che accompagnano la lenta discesa agli inferi del solitario Koistinen. L’ansia di riscatto e la sua volontà sono trasmesse empaticamente allo spettatore evitando di scivolare nel patetismo e nella lezione della vecchia letteratura russa (Tolstoj e Dostoevskij); Koistinen è la maschera umana dell’uomo del XXI secolo, superstite rassegnato di un mondo cui non appartiene perdente dignitoso emotivamente anonimo. Un martire destinato al naturale sacrificio in un mondo di indifferenza rischiarato solo dalla tenue luce di un’anima gemella che lo possa sostenere nel freddo squallore di una vita dall’ignoto futuro.
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