I figli degli uomini

In un futuro non molto lontano (2027) l’essere umano più giovane ha 18 anni compiuti. La sterilità della nostra razza ha comprensibilmente portato la società ad uno sgretolamento sempre più evidente, e per le strade regnano il caos e la disperazione. In questo contesto apocalittico Theo Faron (CLive Owen) viene contattato da una misteriosa organizzazione, apparentemente gestita dalla sua ex-moglie (Julianne Moore), che è incredibilmente riuscita a scoprire una donna incinta, mantenendone il segreto. Il compito di Theo sarà quello di scortare la ragazza in un posto sicuro in cui sia possibile proteggerla e studiarne la gravidanza. Cuaròn realizza una sorta di thriller fantascientifico che però si allontana parecchio dagli stereotipi del genere, sfuggendo ad una facile classificazione. I figli degli uomini è in realtà un film sugli uomini; uomini che il regista messicano, proprio come in Y tu mamà tambièn, analizza da un punto di vista estremamente intimo e personale. Ne risulta un realismo toccante in cui è facile immedesimarsi, ulteriormente accentuato da una fantastica regia che predilige telecamere sempre mobili a seguire i personaggi, con interi minuti consecutivi di riprese senza stacchi di alcun tipo. A questo proposito, la scena della fuga girata dall’interno della macchina è un esempio di grande cinema. Con questo film sembra che Cuaròn dimostri la sua fiducia nel genere umano, ma è una fiducia che deve lottare contro aspetti politici di una società che continua a privilegiare eccessivamente il benessere di pochi a scapito del malessere di molti. Che ci voglia davvero un evento drammatico come quello del film per farcelo capire? Certo è che se I Figli degli Uomini non è un capolavoro, poco ci manca.