paola di giuseppe
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mercoledì 30 giugno 2010
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kitano e il suo doppio
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In Takeshis’ Kitano racconta sè stesso,con ironia,con amarezza,con gusto,spiazzando tutti,soprattutto la critica,anche quella filokitaniana che “si stringe le spalle”.Il film ha fatto parlare di operazione alla 8 ½, senza però la magia di Fellini,con troppi difetti di montaggio,mancanza di un’idea forte di base, incompiutezza di fondo,ripetitività di scene,effetto spiazzante e caotico che l’elemento visionario provoca nello spettatore.
Tutto questo,però,mentre se ne sottolineano il connotato farsesco e la felice vena parodistica (il mondo dello star sistem ne esce infatti piuttosto male) gli stilemi,quindi,di un linguaggio inconfondibile,che mentre si ripropone cerca nuove strade per esprimersi ma,soprattutto,nuove risposte a domande urgenti,di fondo: continuare? e come? e che senso ha?
Lo straniamento sembra quello che il regista vuol ottenere.
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In Takeshis’ Kitano racconta sè stesso,con ironia,con amarezza,con gusto,spiazzando tutti,soprattutto la critica,anche quella filokitaniana che “si stringe le spalle”.Il film ha fatto parlare di operazione alla 8 ½, senza però la magia di Fellini,con troppi difetti di montaggio,mancanza di un’idea forte di base, incompiutezza di fondo,ripetitività di scene,effetto spiazzante e caotico che l’elemento visionario provoca nello spettatore.
Tutto questo,però,mentre se ne sottolineano il connotato farsesco e la felice vena parodistica (il mondo dello star sistem ne esce infatti piuttosto male) gli stilemi,quindi,di un linguaggio inconfondibile,che mentre si ripropone cerca nuove strade per esprimersi ma,soprattutto,nuove risposte a domande urgenti,di fondo: continuare? e come? e che senso ha?
Lo straniamento sembra quello che il regista vuol ottenere.
Anche se non siamo dalle parti di Sonatine o di altri suoi capolavori,l’operazione messa in campo (parlare a sé stesso più che di sé stesso) è importante per chiunque si occupi del percorso ormai ventennale di Kitano nel cinema con un interesse non episodico.
Certo è un film in parte da decrittare,va visto dopo aver fatto un buon tirocinio sulla filmografia di Beat Takeshi,per cogliere con giusto rilievo rimandi e sfumature, codici espressivi e metalinguistici e,in definitiva,la genesi di una poetica che si evolve,cerca nuove strade,si interroga e si scopre.
Il tema del “doppio” è il filo conduttore:il regista ricco e arrivato di gangsters movies ad alto tasso di violenza e inattendibilità (“non esistono yakuza come quelli” è una delle prime battute, “rilassati, è solo un film!” la risposta)annoiato e spocchioso,con venature di sufficienza e paternalismo tipiche degli uomini di successo che si concedono al volgo,incontra il suo alter ego,un sosia sfigato con capelli gialli ossigenati e faccia da crisantemo,una specie di clown così triste che di più non si può,che passa da un’audizione all’altra senza riuscire mai a trovare ingaggi.
Il calvario surreale e insieme patetico,costruito con montaggio rapido che allinea immagini reali e subliminali,sovverte ogni ordine logico con flashback e salti spazio-temporali continui,allinea autocitazioni e gag nel più puro “stile Kitano”,per un po’ procede parallelo a scene di vita sul set del regista famoso,poi prende il sopravvento fino all’esplosione finale dell’ira repressa del debole,ira biblica e tremenda del patetico clown, che farà strage intorno a sé andando in giro con un piccolo arsenale di armi in un borsone da viaggio.
C’è il mare, anche stavolta,ma i sogni hanno strane traiettorie e sulla spiaggia incantata,dove volteggia leggera la fanciulla con l’abito blu,si scatena improvvisa una delle sparatorie più micidiali di Kitano,stavolta anche con truppe militarizzate.
C’è una cornice che racchiude tutto questo materiale caotico e rutilante, e sono le due scene, iniziale e finale, di taglio realistico, con colori, costumi, atmosfere alla war movie in perfetto stile hollywoodiano, dopo un combattimento tra giapponesi e americani in un interno diroccato,con cadaveri,polvere,fango,vetri rotti dappertutto.
Kitano a terra si finge morto sotto l’elmetto che lo rende quasi irriconoscibile.Un soldato,faccia bellissima e molto americana,lo scopre,i due sguardi s’incrociano,il fucile viene puntato (pare fosse il suo incubo da bambino).
Scena finale,il soldato spara e un attimo dopo sparano gli yakuza da film,e il gran spettacolo del Circo/Cinema ricomincia.
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luca scialò
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lunedì 23 agosto 2010
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film senza scopo e senso
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Takeshi Kitano interpreta sè stesso, che incontra un suo sosia con il suo stesso cognome, Beat Takeshi, proprietario di un magazzino e clown di scarso successo, il quale prova con ripetuti flop ad incanalare la carriera di attore di un certo livello. Beat sogna di interpretare film d'azione, di prendersi la donna del suo amico-collega, di fare una rapina di grosso calibro ad una banca. Di evadere insomma dalla sua scadente routine.
Takeshi Kitano ci propone un film tra l'autobiografico, il visionario, l'ironico e il violento; tutti ingredienti mescolati senza un filo logico e che sovente fanno sbandare lo spettatore. Il piatto finale non ha infatti un sapore ben definito, avendo forse lo chef Kitano uno schema complesso in mente per la sceneggiatura troppo ambizioso.
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Takeshi Kitano interpreta sè stesso, che incontra un suo sosia con il suo stesso cognome, Beat Takeshi, proprietario di un magazzino e clown di scarso successo, il quale prova con ripetuti flop ad incanalare la carriera di attore di un certo livello. Beat sogna di interpretare film d'azione, di prendersi la donna del suo amico-collega, di fare una rapina di grosso calibro ad una banca. Di evadere insomma dalla sua scadente routine.
Takeshi Kitano ci propone un film tra l'autobiografico, il visionario, l'ironico e il violento; tutti ingredienti mescolati senza un filo logico e che sovente fanno sbandare lo spettatore. Il piatto finale non ha infatti un sapore ben definito, avendo forse lo chef Kitano uno schema complesso in mente per la sceneggiatura troppo ambizioso.
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