Hook - Capitan uncino

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Un film di Steven Spielberg. Con Robin Williams, Dustin Hoffman, Julia Roberts, Bob Hoskins, Maggie Smith.
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Titolo originale Hook. Fantastico, durata 144 min. - USA 1991. MYMONETRO Hook - Capitan uncino * * * - - valutazione media: 3,48 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Un viaggio a ritroso fra gioventù, isole e pirati! Valutazione 3 stelle su cinque

di GreatSteven


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martedì 11 luglio 2017

 HOOK – CAPITAN UNCINO (USA, 1991) diretto da STEVEN SPIELBERG. Interpretato da ROBIN WILLIAMS, DUSTIN HOFFMAN, JULIA ROBERTS, BOB HOSKINS, MAGGIE SMITH, DANTE BASCO, CHARLIE KORSMO, CAROLINE GOODALL, ARTHUR MALET, GWYNETH PALTROW
Peter Banning è un avvocato, sposato e padre, esperto in fusioni aziendali e professionista dell’amministrazione delegata. Oberato dal lavoro, non riesce a dedicare ai figli Jack e Maggie l’attenzione che essi desidererebbero, lui appassionato di baseball e lei attrice nella recita scolastica su Peter Pan. Un giorno i bambini vengono rapiti, e l’apparizione della simpatica e minuscola fatina volante Trilly (detta anche Campanellino e Spiritello) convince poco a poco l’uomo ormai adulto di essere nientemeno che Peter Pan, cresciuto e dimentico dei Bimbi Sperduti sull’Isola Che Non C’è e soprattutto del suo spietato nemico giurato, il diabolico Capitano Giacomo Uncino. Il pirata aspetta ancora la resa dei conti, ed è chiaramente lui il responsabile del sequestro dei suoi bimbi. Peter, dapprima obnubilato dalla sua memoria adulta di uomo imborghesito e civilizzato, riprende pian piano (nell’arco di tre giorni, concessigli da Uncino) confidenza col volo, il combattimento e l’esultanza, e ritorna ad essere il pargolo col costumino verde, svolazzante e inafferrabile, che i Bimbi Sperduti rammentano in lui, riuscendo a spodestare dal rango di loro capo il rude ma affabile Rufio. E, con rinnovata forza e recuperato vigore, affronta e uccide il temibile ed eterno avversario in una leale lotta faccia-a-faccia. Il coccodrillo che aveva ingoiato la sua mano e insieme una sveglia, ormai ucciso e imbalsamato, gli darà un aiuto significativo, benché morto. Terminata l’impresa, Peter è libero di salutare Trilly (che non ha mai perso la fiducia in lui) e di affidare il comando della combriccola infantile, dopo la triste dipartita di Rufio per mano (anzi, per spada) di Uncino, al simpatico e cicciottello Carambola, dopodiché, con Jack e Maggie di nuovo solidali nei suoi confronti e scevri dalla cattiva influenza del pirata, fa ritorno a casa. La felicità di Wendy, invecchiata ma col cuore sempre gioviale, sarà immensa nello riscoprire il bambino che non vuole crescere, celato in un corpo da adulto. La stessa Wendy che Peter Pan aveva condotto all’Isola Che Non C’è per tanti anni a venire, finché lei non è invecchiata con naturalezza. Appesantito da una prima parte facile e leziosa, in cui lo zucchero e il buonismo stuccano notevolmente, prende poi il via quando un R. Williams stralunato e spaesato deve fare i conti con una realtà del suo passato e impratichirsi ancora una volta con i suoi strumenti e le sue virtù abituali. È interessante, in tal senso, l’impegno che profonde nel tentativo, fortunatamente fruttuoso, di riagganciarsi alla gloria della sua infanzia mai abbandonata né trascorsa, offrendo in tal senso una conferma decisiva alla regola di Nonna Wendy – che non a caso l’ha fatto adottare quando lui era ancora piccolissimo e gli ha fornito sostegno grazie alla sua casa degli orfani –: «nella mia casa è proibito crescere». La poetica del fanciullo e la voglia di rivivere momenti addirittura epici ed eroici di un periodo felice è incarnata con vivido splendore dalla consueta mimica aerodinamica e dal linguaggio fresco e puntuale del protagonista, a proprio agio nei panni dell’eterno bambino, abilissimo nello sberleffo quanto nel maneggiare il pugnale. Ma la lode maggiore, nel cast, va a D. Hoffman: inaspettatamente adatto nel ruolo di un antagonista, fa del suo Giacomo Uncino un cattivone mellifluo, approfittatore, falsamente tenero e agghiacciante nelle sue smorfie, nel suo opportunismo e nella sua instancabile ricerca di vendette personali, e riesce a stupire anche il pubblico più scettico, che non può che trovarlo superbo con baffi neri arricciati all’insù, lenti a contatto, cappello e giacca rossi e l’immancabile uncino di ferro a sostituire la mano destra. Efficaci anche la Trilly di J. Roberts, ripresasi con savoir-faire dalle vesti della prostituta allegra di Pretty Woman, la Wendy di M. Smith (opportunamente invecchiata e resa mediante la capacità dell’attrice di mostrare affetto e cordialità in misura equilibrata) e, nel reparto maschile, il nostromo Spugna di B. Hoskins, fedele ma non troppo al suo capitano (lo dimostra tentando di arraffarne le ricchezze quando lo vede in procinto di capitombolare), caratterizzato da una personalità arcigna, sadica, giocherellona e forse persino più autoironica di Uncino, i cui duetti infiammano e scoppiettano sotto l’insegna del divertimento a ruota libera. Si può rimproverare magari a Spielberg di aver voluto volare troppo in alto e di aver speso un patrimonio evitabile (ben 80 milioni di dollari) nella foga di realizzare un fantasy che riscrivesse, non in senso parodico, ma come rivisitazione possibilmente efficiente, un classico mondiale e sempreverde della letteratura per bambini. Il denaro speso è in effetti stucchevole e inadeguato, ma all’esame dei conti e dei fatti la prova appare ben più che superata, e con un voto che trapassa di molto la spoglia sufficienza: Hook ripropone il testo teatrale di James Matthew Barry (che chiamò come sé stesso il suo personaggio malvagio e di cui Nonna Wendy sostiene di essere stata vicina di casa e di averlo conosciuto fin nei dettagli) dandogli un’ottica complementare e un po’ asciutta, costruendo nuovamente il tran-tran dell’intramontabile protagonista con un viaggio all’indietro, e non nel tempo strettamente inteso, ma nell’epicità di un’infanzia sepolta ma mai del tutto obliata, il che permette al poliedrico regista di effettuare un discorso, non troppo profondo e che gioca a non prendersi sul serio con testardaggine, sul tempo che scorre, sugli obiettivi persi da recuperare, sulle persone che invecchiano e su quelle che invece conservano la puerilità nell’animo, sul bisogno della collettività per ottenere scopi grandiosi e sugli amori che è bene coltivare a seconda dell’età. Sebbene poi Spielberg ci tenga a sottolineare che quella maggiormente significativa è quella che ci sentiamo dentro. I pensieri felici che ci consentono di spiccare il volo e di non smarrire nel recesso anfratto del dimenticatoio la fantasia e l’immaginazione, i due motori che alimentano i sogni tanto dei piccini quanto dei grandi. 

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