Il caso Moro |
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Un film di Giuseppe Ferrara.
Con Gian Maria Volonté, Mattia Sbragia, Margarita Lozano, Nicola Di Pinto, Andrea Aureli.
continua»
Drammatico,
Ratings: Kids+16,
durata 110 min.
- Italia 1986.
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Ispirato a "I giorni dell'ira" di Katzdi Gianni LuciniFeedback: 29144 | altri commenti e recensioni di Gianni Lucini |
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venerdì 30 settembre 2011 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
È un’idea suggestiva quella da cui muove la narrazione filmica de Il caso Moro. Nel suo lavoro, infatti, Giuseppe Ferrara, ipotizza che alla morte di Aldo Moro abbiano dato un contributo sostanziale corpi deviati dello Stato e centri occulti di potere, ma cerca di dimostrare come ciò sia avvenuto soltanto dopo il rapimento attraverso una sorta di “complotto a posteriori” nato dalla debolezza e dalle contraddizioni delle forze in campo. Lo fa seguendo la traccia de “I giorni dell’ira” il libro citato anche nel sottotitolo del film e scritto dal giornalista-scrittore statunitense Robert Katz che collabora anche alla sceneggiatura insieme allo stesso Ferrara e ad Armenia Balducci. Il racconto inizia con il successo del sanguinoso sequestro del Presidente della Democrazia Cristiana. Da quel momento le Brigate Rosse, che pure hanno pianificato alla perfezione il colpo che avrebbe dovuto segnare il decisivo salto di qualità nella loro “guerra allo Stato Imperialista delle Multinazionali”, finiscono per diventare l’inconsapevole strumento di un gioco più grande di loro. Come in un giallo di Hitchcock, Giuseppe Ferrara sceglie di indicare allo spettatore i colpevoli fin dalle sequenze iniziali nelle quali si vedono chiaramente gli uomini dei servizi aggirarsi sul luogo dell’agguato sottraendo prove preziose e cercando di confondere le acque. Il seguito è un crescendo di depistaggi, subdole manipolazioni e iniziative tese a complicare sempre di più la vicenda approfittando delle incertezze di Governo, partiti, istituzioni, sindacati e movimenti sociali, fino a rendere quasi inevitabile la drammatica conclusione. Il ritmo del montaggio contribuisce a tenere desta l’attenzione dello spettatore alternando alle sequenze della carcerazione e degli interrogatori di Moro con quelle che raccontano le emozioni di amici e famigliari, l’impotenza e l’immobilismo del governo e i tentativi sempre più difficili di liberare l’ostaggio. Se la tesi del “complotto a posteriori” è presa in prestito dal libro “I giorni dell’ira” di Robert Katz, sono gli atti processuali la fonte primaria cui attinge Giuseppe Ferrara nella costruzione dei dialoghi e di gran parte delle situazioni del film. Questo spiega perché pur essendo stato girato nel 1986 non appare per nulla datato alla luce delle verità emerse nei decenni successivi sul cosiddetto “caso Moro”. La narrazione filmica tende a entrare in relazione con lo spettatore sollecitandone il ragionamento, quasi invitandolo ad anticipare ciò che vede sullo schermo. Determinante risulta, da questo punto di vista la scelta degli attori chiave in particolar modo quella di Gian Maria Volonté per il Aldo Moro, un ruolo già ricoperto da lui nel 1976 in Todo modo un film di Elio Petri ispirato all’omonimo romanzo di Leonardo Sciascia che in qualche modo anticipava la morte dell’esponente politico democristiano. L’interpretazione di Volontè è suggestiva non solo per la somiglianza fisica con il Presidente della DC, ma per l’efficacia con cui sa renderne credibile l’evoluzione psicologica, la capacità di relazionarsi con gli interlocutori, la lucidità nel comprendere il disegno di cui è vittima fino all’estremo tentativo di aiutare i suoi carcerieri a dipanare la matassa di interessi che sta stringendoli sempre più nell’angolo. Proprio per questa interpretazione a Gian Maria Volontè viene assegnato il premio come miglior attore al Festival di Berlino del 1987.
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