La luna

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Un film di Bernardo Bertolucci. Con Jill Clayburgh, Tomas Milian, Roberto Benigni, Fred Gwynne, Matthew Barry.
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Drammatico, durata 144 min. - Italia, USA 1979. - VM 14 - MYMONETRO La luna * * * - - valutazione media: 3,04 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Incesto fra madre incattivita e figlio in caduta. Valutazione 4 stelle su cinque

di Great Steven


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giovedì 27 aprile 2017

 

LA LUNA (USA/IT, 1979) diretto da BERNARDO BERTOLUCCI. Interpretato da JILL CLAYBURGH, MATTHEW BARRY, VERONICA LAZAR, TOMAS MILIAN, ALIDA VALLI, ROBERTO BENIGNI, CARLO VERDONE, RENATO SALVATORI, FRANCO CITTI, FRANCO CITTI, ELISABETTA CAMPETI, FRED GWYNNE, PETER EYRE, STEPHANE BARAT

Caterina è una cantante lirica che abbandona il suo lavoro, che le ha regalato numerose soddisfazioni, dopo la morte improvvisa del marito Douglas, dovuta ad un infarto durante la guida della sua autovettura. Sconvolta dal dolore, Caterina non riesce a coltivare decentemente l'affetto per il figlio quindicenne Joe, di cui scopre la tossicodipendenza. Madre e figlio intraprendono dunque un viaggio da New York a Roma nel tentativo, voluto da lei, di riallacciare i rapporti e far scoprire a Joe cose importanti, a lui ancora sconosciute, sul suo passato. Le cose, per molto tempo, non vanno secondo i piani: Joe non sembra voler uscire dal tunnel della droga, e gli unici risultati esistenziali importanti che ottiene sono l'amicizia con la coetanea Arianna (con cui tenta un maldestro approccio amoroso) e quella con Mustafà, giovane marocchino che gli procura gli stupefacenti. Sempre più distante dal figlio e oppressa da una sofferenza che non accenna a diminuire, Caterina ha con lui un breve ma deprecabile rapporto incestuoso. Tutto si risolve con la comparsa di Giuseppe, il vero padre di Joe, cui egli gli si rivela, provocando lo sconcerto dell'uomo che, appena saputo che Caterina ha deciso di ritornare sulle scene, la raggiunge alle terme di Caracalla e fa sì che il presepe famigliare si ricomponga. La lunga permanenza italiana ha dunque giovato al ragazzo per permettergli di recuperare gli affetti e uscire dall'inferno della droga... ma per quanto? Prodotto con denaro statunitense, è, insieme a L'ultimo imperatore (1987), il film di produzione straniera più strabiliante di Bertolucci, una discesa nell'incoscio umano che si muove su due binari paralleli che però finiscono per incrociarsi indissolubilmente: la mente turbata della madre frustrata e quella non meno scossa dell'adolescente che trova la sua unica ragion di vita in un vizio sempre più spersonalizzante. J. Clayburgh è perfetta nel tracciare la psicologia di un'artista teatrale estremamente talentuosa, non priva di un'intima ferocia e di una nevrosi galoppante, pronta a sacrificare le sue qualità per dedicarsi all'amore (a un certo punto anche tutt'altro che platonico) per il figlio, col quale inizia a condividere morbosamente la prosecuzione di un'esistenza sentimentale vuota, e spaventosa. Il tema dell'incesto è trattato in modo molto intelligente, soprattutto per l'originalità in esso insita, nel senso che, spesso, al cinema, si ha avuto a che fare con la relazione incestuosa fra il genitore maschio e la figlia femmina (ne sono validi esempi film anche alquanto differenti da La luna, fra cui, a titolo puramente esemplificativo, si possono citare Chinatown, Il colore viola, Volver e Precious), mentre qui, con la sceneggiatura concentrata con un corto ma intenso intervento, la morbosità dell'incontro sessuale mette a nudo, letteralmente e figurativamente, la vacuità sentimentale di una madre delusa che ha rinunciato a combattere e la perdita di senso della vita che il figlio vive, poiché disconosce le sue radici e non ha alcun modello cui appellarsi con una certa validità. M. Barry è una sensazionale rivelazione: il suo Joe è svogliato, testardo, malgrado le apparenze anche sessuofobico, irruento e arrogante. E ha bisogno di essere amato da entrambe le figure di riferimento, paterna e materna. Un'analisi dell'animo umano che evita di sconfinare nei meandri psiconalitici (e il rischio era ben presente) per privilegiare un discorso di ricerca del sé incentrato fortemente sulla costruzione della sicurezza e sulla conquista di un'indipendenza largamente sfaccettata: lavorativa, affettiva, morale e fisica. Emerge anche un T. Milian che abbandona per un po' i panni di Er Monnezza per calarsi in un insolito, ma riuscitissimo, ruolo drammatico: il padre Giuseppe (nome forse scelto non a caso, che rimanda alla figura religiosa del padre di Gesù) che Joe non ha mai incontrato e che compare in maniera non poi tanto repentina, in quanto Caterina s'impegna affinché il figlio lo veda, è anch'egli un uomo sconfitto dalla vita, che necessita di riaggrapparsi al suo passato per riprendere in mano il corso degli eventi e rispolverare un significato troppo a lungo disilluso e smarrito. Nel cast, compaiono anche, in apparizioni brevissime: un 29enne C. Verdone nei panni di un regista teatrale romano; F. Citti, nelle vesti dell'uomo che si appropinqua sadicamente a Joe in un bar; R. Salvatori nei panni di un comunista; e un esilarante e giovanissimo R. Benigni che rompe la tensione drammatica prorompendo, per pochi secondi, come il buffo operaio che monta le tende nella villa italiana di Caterina. Nel reparto femminile, inoltre, spiccano la Valli come madre di Giuseppe e V. Lazar come Marina, l'amica della protagonista e critica teatrale che recensisce sempre positivamente i suoi spettacoli. A proposito, anche il mondo dello spettacolo ha nella vicenda un'importanza non indifferente: le rappresentazioni delle più famose opere di Verdi (i titoli di coda ricordano in particolar modo La traviata, Rigoletto e Il trovatore) aggiungono alla trama una nota di soave poesia, stendendo una coltre di ottima musica classica che forma una colonna sonora di tutto rispetto, per quanto risulta gradevole e adeguata. E poi c'è la splendida fotografia di Vittorio Storaro, già collaboratore di Bertolucci in Ultimo tango a Parigi. Intenso, disomogeneo e profondo, ha il suo unico difetto in una parte centrale fiacca e fin troppo riflessiva, che viene però riscattata da un inizio acrobatico e un finale saggiamente non consolatorio, ma che non cancella del tutto la speranza di un futuro migliore. Nella filmografia del regista, è la sua pellicola più intimista e introspettiva, e senza dubbio una delle sue prove più stupefacenti dietro alla macchina da presa. Scritto insieme al fratello Giuseppe e a Clare Peploe.

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