Tempi moderni |
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Un film di Charles Chaplin.
Con Charles Chaplin, Paulette Goddard, Henry Bergman, Tiny Sandford.
continua»
Titolo originale Modern Times.
Comico,
b/n
durata 80 min.
- USA 1936.
- Cineteca di Bologna
uscita lunedì 8 dicembre 2014.
MYMONETRO
Tempi moderni
valutazione media:
4,84
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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giovedì 18 marzo 2010 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Un operaio (Charlie Chaplin) finisce vittima di un esaurimento nervoso a causa della sua mansione e, oltre a perdere il posto, viene anche arrestato perché scambiato per il promotore di una manifestazione operaia. In carcere, tutto sommato, egli si sente tranquillo e sicuro, tantochè, quando viene rilasciato, non riuscendo a reinserirsi in società, arriva a desiderare di tornarvici. L’occasione si presenta quando una giovane orfana e disoccupata viene colta a rubare uno sfilatino di pane. Egli si autoaccusa e viene arrestato. Una testimone persiste nell’incolpare la ragazza, la quale viene così caricata sullo stesso cellulare in cui si trova l’uomo. I due, a seguito di un incidente della vettura, riescono a fuggire. Nasce qualcosa. Egli trova lavoro come guardiano notturno e la prima sera deve fronteggiare la rapina di una banda capeggiata da colui che si scopre essere un ex collega di fabbrica ora disoccupato. Il nostro la mattina seguente viene arrestato poiché scoperto a dormire tra le stoffe del punto vendita in cui era stato assunto. Alla sua uscita, una decina di giorni dopo, ella è lì ad attenderlo e gli annuncia raggiante di aver trovato una casetta in cui vivere assieme, in realtà una misera stamberga. Egli torna a fare l’operaio, ma, a seguito di uno sciopero, finisce ancora in prigione. Al suo rilascio trova lavoro come cantante e cameriere nel locale in cui ella è stata assunta come ballerina. Egli, dopo una brillante prestazione canora, sembra finalmente aver trovato il posto fisso. Peccato che la polizia, sulle tracce della ragazza, li costringa di nuovo a fuggire verso un domani fatto di precarietà ed incertezze… Dopo Il Monello e Luci della Città, Chaplin sforna un altro struggente inno alla classe proletaria e sottoproletaria in cui, con il suo amaro sorriso, mette in luce il dramma dell’alienazione operaia e della miseria dei diseredati, scarti, tanto ieri quanto oggi, dell’esclusività della società borghese. In piena epoca sonora il maestro inglese dà alla luce un’opera quasi interamente muta, in cui, al di là della storica scena canora, sono solo gli uomini che parlano attraverso le macchine a trovare voce, chiaro simbolo della gerarchia imperante. Epocali le scene in cui Chaplin prima finisce tra gli ingranaggi del macchinario cui è addetto, poi, a fine turno lavorativo, continua ad avvitare tutto ciò che gli capita a tiro, dai nasi ai bottoni. Struggente, nella sua semplicità e speranza, il finale, in cui i due protagonisti trovano il coraggio, nonostante tutto, di percorrere l’ignota via oltre l’orizzonte sorridendo, confidando forse in quella giustizia che sino a quel momento si è ben guardata dal tangerli anche solo per un istante. Immortale.
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