Una estranea fra noi

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Irene Bignardi

La Repubblica

Proviamo a raccontare Una estranea fra noi, trentaquattresimo film di Sidney Lumet, con il metodo Bob Altman, quello raccomandato in I protagonisti: riassumere la storia in venticinque parole. “Detective in gonnella indaga su un assassinio nella comunità chassidica di New York, e finisce per trovare se stessa, oltre che l’assassino.” Un po’ come accadeva a Harrison Ford in Witness - Il testimone, che cominciava come un giallo e finiva come una scoperta della cultura amish, anche qui l’indagine di cui è incaricata Emily Eden la porta a inserirsi in una delle tante minoranze che vivono nel grande calderone americano, i chassidim, e cioè l’ala ebraica di stretta osservanza ortodossa.
Emily - una simpatica e tenera Melanie Griffith - è una “policeperson”, come si definisce in un momento di umore femminista: vita infame, pistola facile e linguaggio tutt’altro che ortodosso. Calata nel misterioso mondo del-la comunità chassidica in cui deve dissimularsi mentre indaga sull’assassinio di uno dei loro, scopre come sia difficile districarsi in una cultura così diversa. A partire dal primo incontro con il rabbino capo, a cui si presenta in minigonna e senza maniche (per fortuna c’è chi la copre immediatamente), sino alla scoperta che una donna non deve mai rimanere sola con un uomo in uno stesso ambiente per la Calamity Jane di Brooklyn e come imparare una lingua sconosciuta
Ma dopo che la bionda pistolera, ritornata castana per rispetto al rabbino, ha rischiato di infrangere un buon numero delle seicentotredici regole imposte dalle scritture, l’armonia della vita e della moralità chassidica finisce per conquistarla. Anche perché non è insensibile al fascino di un vigoroso aspirante rabbino, bello e, per via di quelle re-gole, impossibile, che a ogni buon conto le legge delle torride pagine della Cabala a proposito dei rapporti amorosi.
Sarebbe interessante sentire dai chassidim autentici fino a che punto sia corretta e fedele la descrizione del loro mondo fatta da Sidney Lumet, ebreo sì, ma profondamente laico, tanto quanto i chassidim sono invece fondamentalisti. Probabilmente inorridirebbero. Ma non lo si saprà mai perché - e lo si dice anche nel film- non approvano, e non guardano, né il cinema né la televisione. Ma Una estranea fra noi non pretende certo di disegnare un quadro autentico della comunità chassidica. Dietro il whodunit, il “chi è stato a uccidere?” (cosa che risulta chiara abbastanza presto a un osservatore allenato), e nonostante le dichiarazioni del regista (“Non ho nessuna ammirazione speciale per loro”), si avverte da parte di Lumet una considerazione e un’invidia profonda, che rischiano di contagiare lo spettatore così come contagiano Melanie Griffith: quelle per una comunità in cui i valori spirituali, le regole, il rispetto reciproco contano ancora.
Da Irene Bignardi, Il declino dell’impero americano, Feltrinelli, Milano, 1996


di Irene Bignardi, 1996

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