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Un film di Alejandro Amenábar.
Con Rachel Weisz, Max Minghella, Oscar Isaac, Ashraf Barhom.
continua»
Avventura,
durata 128 min.
- Spagna 2009.
- Mikado Film
uscita venerdì 23 aprile 2010.
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Agorà: mai inginocchiarsi
di GermonFeedback: 1306 | altri commenti e recensioni di Germon |
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lunedì 11 febbraio 2013 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Gerardo Monizza Intorno al Quattrocento dopo Cristo Alessandria d’Egitto era una città cosmopolita dove riuscivano a convivere –non senza frizioni – comunità di ebrei in esilio (ma fortemente radicate), cristiani neo battezzati, ma sereni, e cristiani integralisti e missionari della nuova fede, attivi fino alla violenza. I pagani erano ancora numerosi, soprattutto nel ceto patrizio, e com’era costume tra i romani tolleravano le altre religioni. L’èlite intellettuale si confrontava aspramente su questioni religiose, teologiche, filosofiche, matematiche e astronomiche con discussioni costanti tra studiosi di ogni età e formazione. La cosiddetta Scuola alessandrina (di impostazione neoplatonica) divenne un centro rispettato e riconosciuto per la libertà di pensiero applicata dai suoi aderenti. In questo clima storico (che fa solo da sfondo al film) si muove Ipazia (Alessandria circa 370-415) donna bella e intelligente, libera nella mente e svincolata da passioni amorose e sessuali. È una donna di grande modernità (interpretata da Rachel Weisz) incapace di inginocchiarsi alla scienza (dubitando sempre dei risultati) e alla religione. Ciò le procura dei nemici: Cirillo innanzitutto (un efficace e drammatico Sami Samir) nipote del forte vescovo Teofilo (“che resse con mano ferma la diocesi alessandrina” parole di Benedetto XVI) e poi vescovo egli stesso (manterrà per 32 anni la carica, fino alla morte). Nel film “Agorà” (2009) di Alejandro Amenábar (Vanilla Sky, 2001; The Oters, 2001; Mare dentro, 2004) la figura di Cirillo d’Alessandria è presentata nella sua metà negativa di uomo d’azione (sempre Benedetto XVI eufemisticamente: “che governò con grande energia”) capace di tessere legami politici, ma soprattutto in grado di imporre – con la forza - la dottrina cristiana a coloro che non volevano accettarla. La Storia della Chiesa accenna al carattere violento di Cirillo conosciutissimo già al suo tempo, abile uomo di potere capace di dare ai cristiani delle origini visibilità e coesione fortissime. Tuttavia Cirillo (proclamato Dottore della chiesa nel 1882 da papa Leone XIII) fu anche un eccellente e convincente predicatore e un teologo capace di contrastare le eresie del tempo (la discussione sulla natura solo umana, solo divina o sulle due nature nella stessa persona del Cristo) e il film Agorà un poco accenna, ma molto di striscio a tali questioni comunque importanti per comprendere le azioni che ne derivano (andavano meglio precisate nella sceneggiatura dello stesso regista con Mateo Gil). Questioni importanti perché rivelano l’intolleranza dei pensatori appartenenti a scuole differenti. Anche il clima di latente violenza è ben ritmato dal montaggio (Nacho Ruìz Capillas) che riesce a incalzare l’azione e le varie storie che si intrecciano. Alessandria e la famosa Biblioteca (ricostruite in 3D) sono verosimili e la scenografia (Guy Days) non si avvicina mai al realismo del mondo antico di cartapesta lasciando una sfumatura di vaghezza che aiuta i personaggi principali ad emergere. Anche per merito dei costumi rudi eppure raffinati (disegnati da Gabriella Pascucci). Accusato di aver creato un film anti-cattolico Amenábar s’è difeso offrendo una lettura deviante: è un film su fanatismo e intolleranza. Difesa troppo facile perché il valore è un altro e ancora più chiaro: Ipazia muore senza cedere; senza inginocchiarsi; senza mai piegare né il suo cuore (alla convenienza di un sentimento che l’avrebbe certamente salvata) né davanti a Cirillo (che avrebbe agito per invidia, come scrivono gli storici contemporanei anche cristiani); né davanti alle parole di Paolo (dalla lettera a Timoteo). Accusata dai parabolani (guardie del vescovo e carnefici) di empietà e stregoneria non cede. Davanti all’altare rimane in piedi fino all’ultimo, martire laica. Perché la “parola” anche se dettata da Dio non può essere – mai - usata come una spada.
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