Selva Tragica |
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Un film di Yulene Olaizola.
Con Indira Andrewin, Gilberto Barraza, Mariano Tun Xool, Gabino Rodríguez
Drammatico,
durata 96 min.
- Messico, Francia, Colombia 2020.
MYMONETRO
Selva Tragica
valutazione media:
2,94
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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LA POZIONE ARCHETIPICA DI YULENE OLAIZOLAdi carla francesca cataneseFeedback: 505 | altri commenti e recensioni di carla francesca catanese |
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giovedì 10 settembre 2020 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Il cinema come “miscela folle”, questo è il pensiero della cineasta messicana Yulene Olaizola, giunta ad Orizzonti-Venezia 77 con il potente lungometraggio SELVA TRAGICA, una pozione alchemico-visiva che confonde Gaia con il femmineo pervasivo e perturbante di antica tradizione Maya. Alla base, l’ispirazione ai versi di Antonio Mediz Bolio, “La Terra del fagiano e del cervo” sul mito della donna Xtabay. Tutto intorno, invece, la disarmante e iconica magia della Selva.
Yukene Olaizola colloca, infatti, nella bocca suadente e terrifica della giungla, tra il Messico e Belize, la storia della magnetica Agnes, che dirompe in un eteromorfo gruppo di cacciatori di caucciù, sovvertendone il respiro con la scintilla invincibile della Bellezza.
Siamo nel 1920 e, nel contempo, dentro al Mistero più destabilizzante, nell’attesa ancestrale dell’inconoscibile.
Siamo in una giungla, in una donna, in una Selva Archetipo, che palpita di inganno e perdizione. Ma siamo anche nella lotta dell’uomo contro l’uomo - il Padrone, il Profitto - carica di paure, di ripicche, di sospetti.
“Povero te se non puoi capire i misteri della selva...impara ad ascoltare quello che non puoi vedere e mantieni i piedi saldi nella terra...non farti ubriacare dal nettare”: la cineasta messicana ci pone in contatto diretto con lo spirito parlante della giungla, affidato ad una voce in controcampo lenta e ipnotica, che dialoga con la purezza incontaminata del contesto. Scene cariche di verde fitto - mirabile la fotografia di Sofia Oggioni - ma anche di fiere, di veleni, di insidie. E nel rituale dei tagli netti inferti alla corteccia dai raccoglitori di caucciù, per colarne la bianca anima gommosa, si condensa il contrasto tra realismo e simbolismo. La traccia che incrocia Natura e Arcani, gli Dei e la società degli uomini. E proprio in questo confine si inserisce il mito Maya della donna Xtabay rievocato in tutti i suoi particolari - i fiori, il sesso, la tentazione, la morte - con il fatale richiamo al peccato incarnato in un’Eva beliziana.
Tutto intorno, si diceva, si innalza la disarmante maestosità della Selva.
E tutto intorno girano le fallibili pulsioni umane che sussurrano- come in un dipinto di Franz Von Stuck - il tormento estatico di un dissidio incolmabile tra Natura e natura.
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