Gaza Mon Amour

Un film di Tarzan Nasser, Arab Nasser. Con Salim Daw, Hiam Abbass, Maisa Abd Elhadi, George Iskandar Drammatico, durata 87 min. - Palestina, Francia, Germania, Portogallo, Qatar 2020. MYMONETRO Gaza Mon Amour * * * - - valutazione media: 3,25 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

LA STRANIZZA D’AMURI DEI FRATELLI NASSER Valutazione 3 stelle su cinque

di carla francesca catanese


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domenica 6 settembre 2020

Diciamolo subito, il lungometraggio dei palestinesi Tarzan e Arab Nassar non colpisce come le prime due pellicole - quella greca (Mila) e quella iraniana (The Wasteland) - che hanno aperto la Sezione Orizzonti a Venezia 77.
Non colpisce, ma fa respirare più lentamente. Almeno per un po’. Eppure i fratelli cineasti hanno portato nell’attuale edizione del Festival una pellicola che nell’intento risulta molto più densa e stratificata rispetto alla sua delicata apparenza. Non fosse altro che per lo sfondo dell’ambientazione, la città di Gaza controllata da Hamas. 
Gaza Mon Amour restituisce l’aria di un bozzetto, di uno schizzo, di un’idea in divenire, al cui centro viene tratteggiata la storia del maturo pescatore Issa rapito da “stranizza d’amuri” - di Battiato memoria - verso la coetanea vedova Shian, sarta al grande Suk della città. E come nella canzone dell’artista catanese, Issa prova quel sentimento estatico e quasi adolescenziale che irrompe in un perimetro di realistica quotidianità dove l’ordinario del conflitto (in questo caso l’eterna lotta arabo-israeliana) quasi scompare:
Ccu tuttu ca fora c'è a guerra (Anche se fuori c'è la guerra) Mi sentu stranizza d'amuri ... l'amuri (mi sento una stranezza d'amore...L'amore)...E quannu t'ancontru 'nda strata (E quando ti incontro per strada) mi veni 'na scossa 'ndo cori (mi viene una scossa nel cuore) Ccu tuttu ca fora si mori (E anche se fuori si muore) Na mori stranizza d'amuri ... l'amuri  (non muore questa stranezza d'amore...L'amore)”. 

L’amore che fa cantare al protagonista le canzonette lievi di Julio Iglesias, che fa preparare a festa, tirare fuori dal cassetto un profumo che non ha l’odore magmatico di Europa e di fuga. L’amore cucito nei risvolti di pantaloni, troppo corti per un matrimonio ridicolo, non scompare.

Ma non scompaiono nemmeno i recinti ideali e reali, la vita condensata in scenari degradati, irrisolti, che non consentono nemmeno al mare di esercitare la propria connaturata immensità. E nelle sue acque - ridotte allo spazio di 5 km - il pescatore Issa, ogni notte, si confronta col confine della propria libertà. Soprattutto quando nella rete, insieme ai pesci, finisce un tesoro inestimabile. Ecco allora che nel bozzetto di questa storia di attrazione non convenzionale, a tratti sgangherata - fuori tempo, fuori zona, fuori età - irrompe un elemento che scompiglia le carte della narrazione e conduce lo spettatore a farsi testimone della Gaza vera. Quella della cronaca. Quella dei campi profughi. Quella di una terra che ti lega le mani mentre si inneggiano razzi. I fratelli Nassar introducono nella sceneggiatura un fatto vero accaduto nel 2013, quando il pescatore Mounir trova tra le sue reti la statua greca del Dio Apollo e finisce in prigione. Perché siamo nella Gaza odierna, non in quella che custodisce - muta osservatrice dei tempi - cinquemila anni di Storia e le cui rive hanno visto passare egizi, filistei, romani, bizantini e crociati. La statua diventa, sette anni fa, oggetto di un caso internazionale che rispecchia il perpetuo stato di tensione politica. Si leggono su Repubblica del 10 Ottobre 2013 le parole di Hamdan Taha,  viceministro per la Cultura e le Antichità dell’Autorità Nazionale Palestinese : “Sarebbe un gran colpo per Hamas poter mostrare al mondo questa meraviglia dell'arte greca - paragonabile per fattura ai Bronzi di Riace - ma non è possibile...perché la Palestina non è ancora uno Stato e non siamo ammessi nell'Interpol...L'unica strada per salvare l'Apollo di Gaza è quella di raccontare la sua storia, far circolare le sue immagini, perché nessuno possa dire: Non sapevo da dove venisse". 

Tarzan e Arab Nasser hanno raccolto questo appello e hanno traslato Apollo - con le dovute licenze che non sveliamo - nella finzione della Settima Arte, nel palcoscenico del Dio pagano che rivendica la propria essenza libera, anche solo se si racconta la storia d’amore di due sessantenni, disillusi dalla vita ma carichi di avvenire. 

Gaza e Hiroshima rimarranno pietre cariche di ombra ma ne’ a Resnais finché ha vissuto, ne’ ai fratelli Nassar, potrà mai essere tolto il potere apollineo dell’immaginazione, Notre Amour

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