Ho rivisto questo film in televisione dopo tanti anni. Lo vidi la prima volta da ragazzino affascinato dalla mimica di Macario, allora uno dei comici più popolari.
Oggi sono in grado di capire, al di là della storia di per se banale, gli inizi del nostro cinema dopo una guerra disastrosa. La sceneggiatura, influenzata dal tempo storico, presenta una Torino sindacalizzata e problemi di ordine sociale, mescolando il timore reverenziale verso i partigiani con il rispetto dell'ordine pubblico da parte dei celerini, a bordo delle indimenticate Jeep. E' un documento dei tempi, quando la gente si "arrangiava", forse più genuino di "Sciuscià" e di "Paisà", confezionati con più cura per far pensare gli italiani di allora.
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Ho rivisto questo film in televisione dopo tanti anni. Lo vidi la prima volta da ragazzino affascinato dalla mimica di Macario, allora uno dei comici più popolari.
Oggi sono in grado di capire, al di là della storia di per se banale, gli inizi del nostro cinema dopo una guerra disastrosa. La sceneggiatura, influenzata dal tempo storico, presenta una Torino sindacalizzata e problemi di ordine sociale, mescolando il timore reverenziale verso i partigiani con il rispetto dell'ordine pubblico da parte dei celerini, a bordo delle indimenticate Jeep. E' un documento dei tempi, quando la gente si "arrangiava", forse più genuino di "Sciuscià" e di "Paisà", confezionati con più cura per far pensare gli italiani di allora.
L'ispirazione alle pellicole di Charlot è evidente, anche se manca il senso lirico e poetico, specie di "Luci della città". Macario è il solito candido, fedele alla sua maschera. La giovanissima Delia Scala si affacciava allora nel mondo del cinema ed i due colossi Ninchi e Foà erano già maturi per la loro gloriosa carriera teatrale.
Un film senza pretese che si vede volentieri per rivivere, per chi li ha vissuti, gli incerti anni quaranta.
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