lisbeth
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giovedì 10 settembre 2009
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caos e follia
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Ran in giapponese è caos, follia.E’ la grande lezione di Kurosawa, che scrive qui il suo testamento spirituale: il caos che gli uomini, folli, creano nella loro vita, poiché cercano “il dolore, non la gioia, si esaltano nella sofferenza, si compiacciono dell’assassinio”.Sono parole tremende, pronunciate dallo scudiero mentre Hidetora muore, consumato dal dolore sul corpo del figlio appena ritrovato a cui sussurra con un filo di voce “….dovevo dirti tante cose”.L’invettiva contro Buddha e gli dei tutti, urlata un attimo prima dal buffone “Perché non ci sono né dei né Buddha in questo mondo?Vi annoiate tanto da divertirvi a guardare gli uomini morire come dei vermi?” si trasforma subito in tragica assunzione di umana responsabilità nella risposta del soldato “Sono loro che piangono, per i delitti che gli uomini commettono per la loro stupidità, perché credono che la loro sopravvivenza dipenda dall’assassinio degli altri ripetuto all’infinito”.
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Ran in giapponese è caos, follia.E’ la grande lezione di Kurosawa, che scrive qui il suo testamento spirituale: il caos che gli uomini, folli, creano nella loro vita, poiché cercano “il dolore, non la gioia, si esaltano nella sofferenza, si compiacciono dell’assassinio”.Sono parole tremende, pronunciate dallo scudiero mentre Hidetora muore, consumato dal dolore sul corpo del figlio appena ritrovato a cui sussurra con un filo di voce “….dovevo dirti tante cose”.L’invettiva contro Buddha e gli dei tutti, urlata un attimo prima dal buffone “Perché non ci sono né dei né Buddha in questo mondo?Vi annoiate tanto da divertirvi a guardare gli uomini morire come dei vermi?” si trasforma subito in tragica assunzione di umana responsabilità nella risposta del soldato “Sono loro che piangono, per i delitti che gli uomini commettono per la loro stupidità, perché credono che la loro sopravvivenza dipenda dall’assassinio degli altri ripetuto all’infinito”. Il principe Hidetora, corrispettivo giapponese di Re Lear, distribuisce le proprie terre ai tre figli maschi. Come nel dramma shakespeariano, non appena avvenuta la distribuzione delle terre, i tre figli tendono ad esautorare il padre, che vuol mantenere il titolo di principe ed una guarnigione di samurai scelti a lui fedeli. Come in re Lear, seguirà un gioco al massacro per il potere in nome del quale tutti i legami più sacri saranno calpestati. Un ruolo di rilievo nella galleria dei personaggi è quello della principessa Kaede, sposa del maggiore dei fratelli e figlia di un antico nemico sconfitto ed ucciso in battaglia dal grande principe che le decimò la famiglia. Vive e opera assetata di vendetta, e rievoca i fasti di una Lady Macbeth senza, però, la minima traccia di follia. Lei sarà spietata e determinata fino alla tremenda fine. La vicenda si svolge in un voluminoso crescendo sinfonico, orchestrata con suprema maestria di scelte, dai dialoghi capaci di imprimersi tutti nella memoria (uno per tutti “L’uomo perde sempre la strada” “ Ma prende sempre la stessa”) ai cromatismi (sembra, in alcune inquadrature del re, di vedere tavole di El Greco), dalle scene di battaglia, che rievocano alcune tele di Paolo Uccello, con incredibili, coloratissime distese di stendardi, vero godimento per la vista, alla sontuosa bellezza dei costumi (per cui il film ebbe l’Oscar) e poi la naturalezza di tutto l’impianto sonoro (dal minimo calpestio dei cavalli in lontananza alle sonorità lancinanti dei momenti di maggiore violenza, passando poi attraverso quel sottile filo melodico del flauto, vero talismano che l’indovino cieco perde durante la fuga, rimanendo così smarrito e solo in bilico sugli spalti del castello, col vuoto davanti e l’immagine di Buddha spiegazzata in fondo al burrone).Potente affresco di un’epoca (quella feudale), Ran si carica di allegorie profonde e diventa una meditazione tragica sul destino dell’uomo che ha smarrito le ragioni dell’amore e della pietà. Le recupera, a volte, solo sul punto estremo della morte, ma le note profonde di una marcia funebre chiuderanno lente un sipario pietoso sulle sciagure umane.
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il cinefilo
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lunedì 2 agosto 2010
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un magnifico "poema" cinematografico
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TRAMA:La storia è ambientata nel Giappone del 16°secolo e racconta la drammatica vicenda di un signore feudale chiamato Hidetora Ichimonji(Tatsuya Nakadai)che spartisce il suo regno egualmente tra i suoi tre figli ma presto scoppierà una guerra fratricida...COMMENTO:Il grande regista Akira Kurosawa realizza,a modo suo,una rilettura del Re Lear di William Shakespeare applicata al mondo orientale e tra le differenze principali si può notare la sostituzione delle tre figlie femmine(nell'opera originale)con i tre figli maschi eredi ai rispettivi regni.
L'intera storia viene raccontata con le cadenze di un magnifico "sogno onirico" che permette al regista di intensificare maggiormente la statura "epica" del suo protagonista principale rendendolo indimenticabile e rafforzandone anche l'intensità drammatica di stampo palesemente Shakesperiano.
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TRAMA:La storia è ambientata nel Giappone del 16°secolo e racconta la drammatica vicenda di un signore feudale chiamato Hidetora Ichimonji(Tatsuya Nakadai)che spartisce il suo regno egualmente tra i suoi tre figli ma presto scoppierà una guerra fratricida...COMMENTO:Il grande regista Akira Kurosawa realizza,a modo suo,una rilettura del Re Lear di William Shakespeare applicata al mondo orientale e tra le differenze principali si può notare la sostituzione delle tre figlie femmine(nell'opera originale)con i tre figli maschi eredi ai rispettivi regni.
L'intera storia viene raccontata con le cadenze di un magnifico "sogno onirico" che permette al regista di intensificare maggiormente la statura "epica" del suo protagonista principale rendendolo indimenticabile e rafforzandone anche l'intensità drammatica di stampo palesemente Shakesperiano.
La profonda lentezza del film(forse esagerata)non sminuisce affatto la bellezza delle scene di battaglia,i vari simbolismi metaforici,la grandiosità dell'ambientazione storica e le varie caratterizzazioni psicologiche dei protagonisti principali.
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(di taras bulba)
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stefano burini
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lunedì 13 giugno 2011
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ran. caos.
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Cinema d'altri tempi, film come non se ne fanno più. Niente effetti speciali, niente battute ad effetto, in due parole niente cazzate, solo un enorme, elefantiaca tragedia guerresca con una morale di fondo dal tono esistenzialista e totalmente antibellicista.
Raccontare la guerra, peggio ancora, una guerra fratricida, causata dalla troppa ambizione e da un potere smisurato, troppo grande per dei piccoli uomini, lasciandosi affascinare dal sudore e dal sangue della battaglia, dal luccicare di spade e armature e dallo sfarzo dei vessilli di guerra, e infine dalla lealtà, nobile, ma anche cieca, di soldati, vassalli e servitori, quasi fossero delle attenuanti per coloro che hanno in qualche modo creduto di combattere in nome di qualcosa di degno, eppure condannandone fermamente il (non) senso.
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Cinema d'altri tempi, film come non se ne fanno più. Niente effetti speciali, niente battute ad effetto, in due parole niente cazzate, solo un enorme, elefantiaca tragedia guerresca con una morale di fondo dal tono esistenzialista e totalmente antibellicista.
Raccontare la guerra, peggio ancora, una guerra fratricida, causata dalla troppa ambizione e da un potere smisurato, troppo grande per dei piccoli uomini, lasciandosi affascinare dal sudore e dal sangue della battaglia, dal luccicare di spade e armature e dallo sfarzo dei vessilli di guerra, e infine dalla lealtà, nobile, ma anche cieca, di soldati, vassalli e servitori, quasi fossero delle attenuanti per coloro che hanno in qualche modo creduto di combattere in nome di qualcosa di degno, eppure condannandone fermamente il (non) senso.
Odio, amore, onore e vendetta i temi portanti della proiezione e di un cinema fatto di sentimenti forti e di torbidi intrighi, raccontati senza mezze misure: faccende umane, terrene, d'altronde, così come traspare dai surreali interventi di un Matto preso di peso dallo shakesperiano Re Lear, altra fonte d'ispirazione mai nascosta di questo magnum opus di Kurosawa, e da un botta e risposta finale da annali tra il Matto e il fido Tango di fronte all'ennesimo cadavere eccellente:
“Perché non ci sono né dèi ne Buddha in questo mondo? Dove siete? Se esistete, ascoltateci almeno una volta: vi annoiate talmente in cielo da divertirvi a guardare gli uomini morire come dei vermi? Mio Dio! E così divertente assistere alle tragedie degli esseri umani?”
“Non bestemmiare contro Buddha e gli dèi, sono loro che piangono, idiota! Per i delitti che gli uomini che gli uomini commettono per la loro stupidità, perché credono che la loro sopravvivenza dipenda dall'assassinio degli altri ripetuto all'infinito. Non piangere, il mondo è fatto così, gli uomini cercano il dolore non la gioia, preferiscono la sofferenza alla pace. Guardali, questi stupidi esseri umani, che si battono per il dolore e si esaltano per la sofferenza e si compiacciono dell'assassinio!”
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fefè22
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sabato 4 agosto 2012
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il fantastico cinema di kurosawa
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Questa trasposizione in chiave orientale del Re Lear è il secondo capolavoro di akira kurosawa (sotto solamente al magistrale i sette samurai ) . La recitazione è sublime soprattutto da parte del protagonista Tatsuya Nakaday che intepreta un sanguinario che poi scontera tutti i suoi peccati quando due dei suoi figli gli si ritorceranno contro e quando vedra la morte del suo terzo figlio l' unico che in realta gli ha sempre voluto bene.Il titolo originale è caos : ovvero il caos che creano gli uomini sempre alla ricerca di guerre e d morte invece che alla ricerca di pace . Questo film è stato candidato a 4 premi oscar (che secondo me per l' alto livello registico , recitativo e per la bellezza della FOTOGRAFIA avrebbe meritato piu candidature)e ne ha vinto 1 solo!!!!! Per i costumi .
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Questa trasposizione in chiave orientale del Re Lear è il secondo capolavoro di akira kurosawa (sotto solamente al magistrale i sette samurai ) . La recitazione è sublime soprattutto da parte del protagonista Tatsuya Nakaday che intepreta un sanguinario che poi scontera tutti i suoi peccati quando due dei suoi figli gli si ritorceranno contro e quando vedra la morte del suo terzo figlio l' unico che in realta gli ha sempre voluto bene.Il titolo originale è caos : ovvero il caos che creano gli uomini sempre alla ricerca di guerre e d morte invece che alla ricerca di pace . Questo film è stato candidato a 4 premi oscar (che secondo me per l' alto livello registico , recitativo e per la bellezza della FOTOGRAFIA avrebbe meritato piu candidature)e ne ha vinto 1 solo!!!!! Per i costumi . Quindi questo è il fantastico cinema di Kurosawa che ha diretto e sceneggiato uno dei migliori film degli ultimi 30 anni e chi non lo ha ancora visto cinsiglio vivamente di andare a comprarselo
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valetag
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venerdì 21 febbraio 2014
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ran: caos e follia.
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« Gli esseri umani si perdono sempre, e riprendono sempre la stessa strada.»
Con questa nuova versione del Re Lear, Kurosawa ribadisce la sua visuale sulla violenza che caratterizza ogni essere umano.
Il gran principe Hidetora, giunto ormai ad una veneranda età, decide di spartire le sue terre, conquistate versando molto sangue, tra i suoi tre figli: Taro, Jiro e Saburo. I primi due si mostrano entusiasti, mentre il terzo ammonisce il padre del caos che si verrebbe a creare dividendo il potere. Il principe si accorgerà ben presto che gli avvertimenti di Saburo non erano poi così infondati.
Molto incisive le scene in cui i portoni dei castelli vengono chiusi sbattendo e cigolando, proprio per enfatizzare il gesto ingrato dei figli.
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« Gli esseri umani si perdono sempre, e riprendono sempre la stessa strada.»
Con questa nuova versione del Re Lear, Kurosawa ribadisce la sua visuale sulla violenza che caratterizza ogni essere umano.
Il gran principe Hidetora, giunto ormai ad una veneranda età, decide di spartire le sue terre, conquistate versando molto sangue, tra i suoi tre figli: Taro, Jiro e Saburo. I primi due si mostrano entusiasti, mentre il terzo ammonisce il padre del caos che si verrebbe a creare dividendo il potere. Il principe si accorgerà ben presto che gli avvertimenti di Saburo non erano poi così infondati.
Molto incisive le scene in cui i portoni dei castelli vengono chiusi sbattendo e cigolando, proprio per enfatizzare il gesto ingrato dei figli.
kurosawa riproduce una delle guerre più drammatiche e claustrofobiche della storia del cinema: le frecce sibilano, e dove le frecce non arrivano, gli archibugi colpiscono. I morti sono ovunque, ammassati agli angoli del castello o penzolanti dalle torri. Le donne, per evitare una morte violenta, si uccidono tra loro. Quello che colpisce di più sono gli schizzi di sangue, quasi arancione, ma non per questo meno impressionante.
Particolare la scelta di rappresentare l'Hidetora impazzito proprio come ci si immaginerebbe un vecchio folle: la veste che si alza fino a mostrare le magre gambe nude, i capelli bianchi scompigliati, lo sguardo vacuo e il volto terribilmente pallido. Tatsuya Nakadai è, inoltre, molto incisivo nell'interpretare i momenti in cui il principe perde il controllo e viene sopraffatto dal disorientamento: scene di angoscia, di profonda tristezza e malinconia.
Preziosa anche la figura del buffone, personaggio chiave di tutta la storia. Sarà infatti lui, insieme a Tango, il consigliere di Hidetora, a pronunciare le frasi che, in pratica riassumono tutto il film: « Non bestemmiare contro Buddha e gli dei. Sono loro che piangono, per i delitti che gli uomini compiono per la loro stupidità, perché credono che la loro sopravvivenza dipenda dall'assassinio degli altri ripetuto all'infinito. Non piangere, il mondo è fatto così. Gli uomini cercano il dolore, non la gioia. Preferiscono la sofferenza alla pace. Guardali, questi stupidi esseri umani, che si battono per il dolore, si esaltano per la sofferenza e si compiacciono dell'assassinio! »
Kurosawa ci rappresenta così: abbiamo bisogno di vedere la sofferenza degli altri per avere la nostra gioia, proprio come Hidetora fece strage per conquistare i suoi territori, e come Kaede, la quale non desidera altro se non vedere distrutta la casata degli Hichimonji . La violenza, però, porta solo ad altra violenza. Perdonare non serve a nulla, perchè nemmeno chi riesce a trovare la propria felicità nel cuore, come Suè e Kaede, è immune alla violenza altrui.
La colonna sonora è azzeccata per la drammaticità della pellicola: già all'inizio troviamo una musica grave e angosciosa, mentre il flauto di Kaede suona triste e disperato, chiudendo l'ultima scena.
Come al solito, il regista utilizza delle riprese semplici e pulite, avvalendosi dei magnifici paesaggi giapponesi e inquadrando più volte il cielo. Inoltre, ha curato molto i particolari dell'audio, dai grilli che cantano nella prateria alle frecce che fischiano.
I dialoghi sono minimali ed efficaci.
Film assolutamente consigliato per chi vuole riflettere sul proprio caos interiore.
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luca scial�
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sabato 3 agosto 2013
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il disfacimento del mondo
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Il tiranno Hidetora Ichimonij giunto a 76 anni decide di ritirarsi e dividere il suo Regno tra i 3 figli. I quali però si mostrano ingrati: il primo finisce per cacciarlo, il secondo è geloso del primo e vuole prendere il suo posto, il terzo lo abbandona subito dandogli del pazzo. Ma sarà proprio quest'ultimo a correre in suo soccorso, ormai diventato un vagabondo senza memoria. Il disfacimento però è ormai irreversibile.
Attraverso la storia di una dinastia, Akira Kurosawa affronta il tema del disfacimento dell'umanità, causato dall'instancabile bramosia di potere dell'essere umano; la quale porta a mettere gli uomini uno contro l'altro fino all'autodistruzione.
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Il tiranno Hidetora Ichimonij giunto a 76 anni decide di ritirarsi e dividere il suo Regno tra i 3 figli. I quali però si mostrano ingrati: il primo finisce per cacciarlo, il secondo è geloso del primo e vuole prendere il suo posto, il terzo lo abbandona subito dandogli del pazzo. Ma sarà proprio quest'ultimo a correre in suo soccorso, ormai diventato un vagabondo senza memoria. Il disfacimento però è ormai irreversibile.
Attraverso la storia di una dinastia, Akira Kurosawa affronta il tema del disfacimento dell'umanità, causato dall'instancabile bramosia di potere dell'essere umano; la quale porta a mettere gli uomini uno contro l'altro fino all'autodistruzione. Non manca un riferimento religioso, sui dubbi della fede. Ben sei nomination, una sola statuina, per i costumi. Imponente scena di guerra e trama come sempre dettagliata. Di tanto in tanto rallenta pesantemente, ma le ultime sequenze sono da lezione di cinema.
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il cinefilo
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mercoledì 18 maggio 2011
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la follia del caos e la pazzia di un uomo
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In un mondo devastato dalla guerra(metaforicamente"parallela"all'immobile bellezza dei primi piani-sequenza)l'anziano principe Hidetora Hichimonji avrebbe dovuto rappresentare,almeno all'inizio della storia,l'ultimo e poeticamente triste ricordo di une era di morte e distruzione mentre la spartizione del regno con i tre figli doveva significare l'inizio di un lungo periodo di pace e prosperità...ma il tragico fato predetto da Saburo(uno dei figli)e per il quale verrà ripudiato dal padre,finisce per avverarsi e il mondo di Hidetora finisce per"sprofondare"nuovamente nella violenza a causa di due dei tre fratelli.
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In un mondo devastato dalla guerra(metaforicamente"parallela"all'immobile bellezza dei primi piani-sequenza)l'anziano principe Hidetora Hichimonji avrebbe dovuto rappresentare,almeno all'inizio della storia,l'ultimo e poeticamente triste ricordo di une era di morte e distruzione mentre la spartizione del regno con i tre figli doveva significare l'inizio di un lungo periodo di pace e prosperità...ma il tragico fato predetto da Saburo(uno dei figli)e per il quale verrà ripudiato dal padre,finisce per avverarsi e il mondo di Hidetora finisce per"sprofondare"nuovamente nella violenza a causa di due dei tre fratelli.
Le immagini di RAN pongono continuamente il quesito di quale follia tenda ad essere maggiormente apocalittica:quella di un principe abbandonato che si distrugge nella solitudine all'interno di quello stesso regno da egli precedentemente conquistato(la tragica ironia del destino simboleggiata anche dal giovane buffone di Hidetora)o quella dei due fratelli che si accaniscono nel tentativo di uccidere il padre finendo per tentare di assassinarsi a loro volta,spronati anche dalla malvagia(per vendetta)lady Kaede?davvero un bel dilemma,oserei scrivere.
Kurosawa ha però rivelato,in questo caso,(più ancora che ne I SETTE SAMURAI e in altri suoi"classici")un talento narrativo e visivo che difficilmente avrebbe potuto ulteriormente migliorare poichè far parlare le immagini e la storia attraverso,anche,un utilizzo dei colori degni di un dipinto d'altra epoca raggiungendo le cadenze(come ho già scritto nel mio precedente commento)di un sogno o,forse più esattamente,di un incubo il cui mastodontico e ipnotico coinvolgimento necessitava,per una piena riuscita,la mano di un cineasta esperto...e la avuta.
Il buffone che vaga insieme al sanguinario principe decaduto lo accompagna malvolentieri(ma la sua sorte è,per lungo tempo,indissolubilmente legata a quello stesso destino che muove il dramma di Hidetora)attraverso quello stesso orrore e la stessa devastazione che l'anziano protagonista ha inseguito e provocato per una vita intera suscitando,su due poli opposti,la pietà del suonatore cieco del flauto e della sorella di quest'ultimo e la rabbia e il desiderio di vendetta di lady Kaede che,manovrando i figli dell'uomo,tenterà di distruggere la famiglia(pur finendo per essere violentemente giustiziata).
Basterebbe la sola immagine di Hidetora che abbandona,stremato e addolorato,la fortezza in fiamme(bellissima e drammatica la scena dell'attacco)per capire l'assoluta grandezza del film insieme a quella dell'incontro con il suonatore cieco e quella finale dove,sulle poetiche note del flauto,si conclude il crollo di una dinastia.
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great steven
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domenica 19 gennaio 2014
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un giappone rinascimentale assolutamente epico.
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RAN (GIAP, 1985) diretto da AKIRA KUROSAWA. Interpretato da TATSUYA NAKADAI – MIEKO ARADA – AKIRA TERAO – DAISUKE RYU – PETER ISHASHI IGAWA § Nel Giappone del XVI secolo, il principe Hidetora Ichimonji è ormai anziano e deve dividere il proprio regno fra i tre figli maschi Saburo, Taro e Ijiro. Fin dal principio sorgono dissapori e contrasti su chi dovrà possedere i tre castelli simbolo del potere territoriale, finché le questioni ereditarie non degenereranno in una lotta fratricida che vedrà i tre fratelli affrontarsi brutalmente l’uno contro l’altro, e contendersi il povero genitore che nel frattempo impazzisce e perde il lume della ragione, e mentre muore pronuncia una condanna dell’intera umanità che si dissolve nel vento.
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RAN (GIAP, 1985) diretto da AKIRA KUROSAWA. Interpretato da TATSUYA NAKADAI – MIEKO ARADA – AKIRA TERAO – DAISUKE RYU – PETER ISHASHI IGAWA § Nel Giappone del XVI secolo, il principe Hidetora Ichimonji è ormai anziano e deve dividere il proprio regno fra i tre figli maschi Saburo, Taro e Ijiro. Fin dal principio sorgono dissapori e contrasti su chi dovrà possedere i tre castelli simbolo del potere territoriale, finché le questioni ereditarie non degenereranno in una lotta fratricida che vedrà i tre fratelli affrontarsi brutalmente l’uno contro l’altro, e contendersi il povero genitore che nel frattempo impazzisce e perde il lume della ragione, e mentre muore pronuncia una condanna dell’intera umanità che si dissolve nel vento. Gli unici suoi sostenitori in questa discesa nell’inferno della guerra e della cupidigia sono il Matto, buffone di corte, e Tango, capo del reparto militare del regno di Hidetora.Kurosawa ha saputo trarre il meglio dal dramma di Shakespeare Re Lear, convertendo le tre figlie femmine del sovrano europeo (Cordelia, Regan e Gonerill) in tre figli maschi, perché ha estrapolato dal testo i momenti più intensi di un’epopea di sconfitti e derelitti che cerca nella manifestazione e nell’esercizio del potere il posto dove riporre le proprie insicurezze, i propri timori e le proprie sporcizie interiori che non verranno pulite mai. Nonostante una cospicua riduzione della pagina shakespeariana, il film colpisce per l’accademismo espositivo e per la rievocazione di un’era epica dove il sangue, le armi, i combattimenti e i campi di battaglia hanno una potente funzione narrativa e rappresentano la violenza come mezzo per impossessarsi della potenza che permette il governo di un paese allo sbaraglio e dilaniato da rivalse e guerre civili. La prima parte, più concatenata e tranquilla, si incorpora perfettamente nella seconda, dove la follia di Hidetora la fa da padrone insieme alla figura della cognata di Ijiro che pretende rivendicazioni sul regno sbranato tra i tre fratelli guerrafondai e incapaci di accordarsi pacificamente. Un’ottima scenografia e una colonna sonora maestosa e soave concludono gli altissimi meriti di una pellicola che non lesina momenti di splendido cinema rinascimentale e attimi di canto magnifico. Un gioiello nella vasta filmografia del cineasta giapponese, che ha costruito una sceneggiatura non originale a cui spettano elogi e complimenti.
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jacopo b98
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venerdì 24 maggio 2013
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il capolavoro di kurosawa è sempre epico
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Il gran principe Hidedora (Nakadai), abdicando, divide il regno tra i suoi tre figli (Terao, Nezu e Ryu). Due di loro, privi di gratitudine, lo tradiranno e scateneranno una guerra per ucciderlo, il terzo, dopo aver ammonito il padre, cercherà di aiutarlo, incorrendo nella morte. Il vecchio monarca impazzirà. Il capolavoro assoluto di uno dei più grandi registi giapponesi, nominato a quattro Oscar, regia, fotografia, scenografia e costumi, quest’ultimo l’unico che riuscirà a vincere, e vincitore di due BAFTA: film straniero e trucco. Il soggetto è Re Lear di Shakespeare, ridotto all’osso, rivisitato in chiave nipponica: tutto il film è una celebrazione del grande cinema giapponese e del suo autore, ormai settantacinquenne, che ci incanta con costumi e scenografie che ancor oggi lasciano a bocca aperta, dato che anche per le grandiose e complesse scene di battaglia il regista non ha fatto ricorso ad alcuna tecnologia.
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Il gran principe Hidedora (Nakadai), abdicando, divide il regno tra i suoi tre figli (Terao, Nezu e Ryu). Due di loro, privi di gratitudine, lo tradiranno e scateneranno una guerra per ucciderlo, il terzo, dopo aver ammonito il padre, cercherà di aiutarlo, incorrendo nella morte. Il vecchio monarca impazzirà. Il capolavoro assoluto di uno dei più grandi registi giapponesi, nominato a quattro Oscar, regia, fotografia, scenografia e costumi, quest’ultimo l’unico che riuscirà a vincere, e vincitore di due BAFTA: film straniero e trucco. Il soggetto è Re Lear di Shakespeare, ridotto all’osso, rivisitato in chiave nipponica: tutto il film è una celebrazione del grande cinema giapponese e del suo autore, ormai settantacinquenne, che ci incanta con costumi e scenografie che ancor oggi lasciano a bocca aperta, dato che anche per le grandiose e complesse scene di battaglia il regista non ha fatto ricorso ad alcuna tecnologia. Cromaticamente strepitoso, ricco di colori sgargianti, degno del prezioso capolavoro kubrikiano Barry Lyndon, è uno dei più straordinari film in costume della storia. Interpretato da un attore strepitoso che è riuscito a dargli uno spessore epico, Hidedora resta uno dei personaggi emblematici del cinema giapponese e non solo. È la storia di un pazzo, che vaga solo con il suo buffone, che lo compatisce eppure lo critica, lo ama e lo odia, ma soprattutto desidera la sua pazzia: il pazzo è incosciente. E così si consuma questa tragedia teatrale shakespeariana. Un dramma potente ed ispirato, nel segno della guerra e della follia, e di dio, come svela alla fine la bestemmia del giullare. Numerosi i personaggi indimenticabili, su tutti la vendicativa Kaede (Harada). Per il film Kurosawa ebbe un budget e un tempo di ripresa pressoché indeterminato.
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