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edmund
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martedì 28 ottobre 2025
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pastiche cinico o parodia mal riuscita
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Sinceramente il messaggio del film non mi è molto chiaro. Ho provato a capirci qualcosa leggendo i commenti e attraverso la lettura delle diverse esegesi dell’opera in questione, ma non mi hanno del tutto convinto.
Allora, provo a farmene una ragione citando per cominciare l’intervento sul palco di Brian (“eroe per caso”) chiamato a commemorare la morte del sindaco trucidato dallo sceriffo che mi sembra emblematico di tutto l’andazzo del film forse, e lo menziono a mo’ di sineddoche come direbbero quelli bravi: ”Era una persona di colore che è riuscita a diventare una persona di potere ed è stata uccisa da quello stesso sistema e persino l'assassino né è una vittima.
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Sinceramente il messaggio del film non mi è molto chiaro. Ho provato a capirci qualcosa leggendo i commenti e attraverso la lettura delle diverse esegesi dell’opera in questione, ma non mi hanno del tutto convinto.
Allora, provo a farmene una ragione citando per cominciare l’intervento sul palco di Brian (“eroe per caso”) chiamato a commemorare la morte del sindaco trucidato dallo sceriffo che mi sembra emblematico di tutto l’andazzo del film forse, e lo menziono a mo’ di sineddoche come direbbero quelli bravi: ”Era una persona di colore che è riuscita a diventare una persona di potere ed è stata uccisa da quello stesso sistema e persino l'assassino né è una vittima. Anch'io ne faccio parte sono solo l'ennesimo ragazzo bianco privilegiato e il mio compito è sedermi e ascoltare… che è quello che farò dopo aver fatto questo discorso che non ho nessunissimo diritto di fare. Questa veglia si sta svolgendo su una terra rubata”.
Questo breve discorso è la sintesi “horror” e molto discutibile di tutto il film. Brian come il regista Aster che forse “non aveva nessunissimo diritto di fare questo film?”
Insomma, mi pare che dal film trapeli l’idea che “siamo tutti colpevoli e responsabili di questo sistema infernale. Non si salva nessuno! Ok, e dunque?
E dunque, che fa il regista? Fa di tutta l'erba un fascio (perché di tutto questo eccesso di generalizzazione sono proprio i fasci a beneficiarne, ultimamente, almeno): prende materie diverse e lascia che si sfidino all’«Ok Corral». Inutile stare qui a snocciolare i temi rappresentati perché già ampiamente trattati.
Aster che si dà arie da intellettuale fa qualcosa che non è da vero intellettuale: si limita ad osservare dalla cabina di regia questi umani pazzi che si scannano tra loro. Egli non giudica, non distingue ciò che è bene e ciò che è male. I personaggi si muovono in questo mondo con assoluta scioltezza, tutto ciò che fanno è normale. Ma mi piacerebbe chiedere all’intellettuale regista: come possiamo progredire se il massimo dell’azione che ci è concessa è osservare l’azione stessa? Come si può aspirare ad un cambiamento reale se ti limiti unicamente a descrivere ciò che accade? Perché questo fa il regista a ben guardare.
E allora la globalizzazione, il libero mercato, l’immigrazione, i vaccini l’ossessione per i complotti, i moti antirazzisti e l’onnipresenza dei social, i no-vax e i fautori della mascherina, le multinazionali che sfruttano uomini e territori, ecc ecc, tutto finisce fatalmente in un unico indistinto calderone. Ma non tutto è equiparabile, seppure nel caos. Ci sono verità che sono più vere di altre, mettiamola così. Altrimenti, è la paralisi, è lo stallo perpetuo. Forse l’intenzione era quella di obbligare quasi lo spettatore a vedere l’Altro non poi così diverso da sé. In un sussulto di comprensione estrema reciproca liberal e maga diventano uguali, dunque? Tutti complici della tossicità di questo mondo. Senza voler fare di certi “individui” il capro espiatorio di quest’inferno, dobbiamo pur rimarcare che tutto sommato non è propriamente vero che “tutti siamo colpevoli allo stesso modo”. Ci sono pur sempre diversi gradi di responsabilità. Certo è inutile negare che nella società civile avanzata quella del politicamente corretto e del sostegno ai diritti civili persistono pur sempre - interessi diversi e contrastanti, se non effettivamente discriminatori che sono legati alla proprietà, all’educazione, al lavoro, al genere, all’etnia. E tuttavia, sussistono ancora delle differenze. Non è che se i liberal hanno fallito uno diventa fascista o trumpista automaticamente. E a trump non si può dare oggettivamente il nobel per la pace. Ma non si rende conto il regista intellettuale a quale paradosso perverso porta la sua visione del mondo? È davvero così rassegnato il nostro ggggiovane cineasta?
Insomma, mi pare che il qualunquismo sia il biglietto da visita di questo Aster in versione cinica. Adesso la butto lì: “Aster gioca a fare l’Auster del cinema gggiovane”. Ma gli manca più di una “u” per emulare nel cinema ciò che l’illustre scrittore e intellettuale fu per la letteratura. Perché Aster altrimenti saprebbe che un intellettuale vero non si ferma alla speculazione cinematografica, non si limita banalmente a descrivere l’esistente, ma prende una posizione, una qualsiasi ma che alla fine sfocia in una forma di impegno sociale e politico, giusto o sbagliato che sia, che poi risuonerà o no nel pubblico che assiste davanti ad uno schermo.
Aster ammassa, invece, un insieme confuso di interrogativi tra loro molto diversi spiattellandoli alla platea degli spettatori e senza adombrare la benché minima risposta. Niente di male! Non è che il cinema o un intellettuale sono chiamati per forza a dare risposte. Ma è proprio il suo modo di impostare la questione che impedisce di trovare soluzioni adeguate, comunque. L’autore vuole forse rimanere neutrale per non condizionare il giudizio dello spettatore medio? O è soltanto un cinico che trova più comodo tenersi alla larga dall’agone politico e sociale e per non scontentare nessuno? Il suo forse è soltanto un esercizio filmico mal riuscito? Secondo me, Aster vuole scimmiottare I “Daniels. Ma gli riesce malissimo. Ve lo ricordate “Swiss Army Man - Un amico multiuso?” Anche qui si impiegava una composizione di generi cinematografici e insieme di contenuti” molto distinti, accostati (impropriamente quanto si vuole) gli uni agli altri. E tuttavia, in quel contesto l'uso di effetti stilistici cinematografici contrastanti conferiva il giusto rilievo alle varie argomentazioni trattate. E il vagabondo del film di Aster forse ha la stessa funzione che la “flatulenza” rivestiva nel film dei Daniels, cioè quella di contribuire ad esaltare questi contrasti di stili e argomentazioni composite? Ma in “S.A.M”. i Daniels prendevano posizione e non si limitavano a prendere atto dell’esistente, mi pare. Quello era un film tutto sommato “verista” pur nella sua surrealtà. Invece, più che essere il “simbolo del caos individuale e del disordine mentale e sociale”, il vagabondo “mi puzza” e basta e ci lascia soltanto la nauseabonda sensazione dell’untore ubriaco che appesta l’umanità con tutti i suoi coronavirus mortali. Quello che Aster propone qui si limita al falso realismo e al superficiale scetticismo, semmai.
Tutti quelli che muoiono o che ammazzano nel film sono simboli che a loro modo compiono o sono o vorrebbero essere vittime di un atto di giustizia. Ma di quale giustizia? Ognuno qui ha la sua di giustizia, ugualmente dignitosa a dire del regista, e la porta avanti fregandosene bellamente delle conseguenze. Forse il regista attraverso questa morte di simboli voleva far luce sulla “generalizzata forza sociale” che fa da sfondo alla morte ingiustificata e all’ingiustizia collettiva? Insomma lo sceriffo e il sindaco sembrerebbero diventare le due facce di una stessa medaglia il cui presupposto è che non esiste la realtà in sé, ma soltanto l’interpretazione, più o meno emotiva, che ne facciamo in base ai nostri interessi particolari per niente nobili o alle nostre idee preconfezionate o maturate da lì a poco sotto l’influenza di furbi imbonitori. Insomma, non condivido la filosofia cinematografica agnostica del regista. Preferisco ricordarmelo attraverso Midsommar dove il suo orizzonte è circoscritto all’amore seppure trattato con un orrore non privo di ironia.
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eugenio
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giovedì 23 ottobre 2025
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l''america rurale secondo aster
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Un piccolo borgo in New Mexico, specchio dell'America del Covid 2020, il luogo; il pretesto: una faida tra uno sceriffo Joe Cross (Phoenix) e il sindaco di Eddington Ted Garcia (Pedro Pascal), per le imminenti elezioni cui Cross si candida. Poi due ore e mezza di serrata preparazione, condite con uno sparatutto finale e il film di Ari Aster è pronto: un noir western graffiante a tinte cupe dell’America rurale, un vortice cinetico che mescola, senza prendere posizioni, il malcontento, la critica del movimento Black Lives Matter, l'omicidio Floyd, il complottismo (la suocera di Joe è emblema) e tanta corruzione politica. Joe incarna la lucida follia dell'archetipo criminale americano (un paradosso tenendo conto della sua carica), alternando la cupa drammaticità figlia di una moglie malata di mente ad una cieca ambizione volta a “eliminare” il sindaco progressista, razionale pur se politicamente marcio e avvilente. La questione delle mascherine osteggiate, non farà altro che innescare la miccia di un'esplosività a lungo repressa.
Film certamente ambizioso, seppur barocco, a tratti confuso, coeniano, ma in fondo, perchè no, reale nella sua efferatezza perchè capace di trasmettere con immagini crude e morti violente le conseguenze di una disinformazione di massa, mali oscuri del nostro mondo, in un America trumpiana oggi più che mai divisiva, con una regia furibonda che pare dirci tutto e niente ma lo fa con grandiosa supponenza. Letale.
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imperior max
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lunedì 20 ottobre 2025
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una satira cinica, feroce e tagliente del periodo dal 2020 in poi...!
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EDDINGTON.
Quarta fatica dell?ormai affermato regista Ari Aster dove riesce in qualunque film ad inscenare ogni tipo di grottesco. Stavolta con una forma tanto particolare quanto familiare.
Nella cittadina Eddington nel New Messico a maggio del 2020 si vedranno consumare gradualmente i contrasti, i battibecchi e le controversie tra lo sceriffo Joe Cross e il sindaco Ted Garcia a seguito delle contromisure anti-Covid con le mascherine, le proteste per la morte di George Floyd con i black lives matter, le provocazioni del figlio del sindaco e i trascorsi passati con la moglie dello sceriffo. Fino a conseguenze violente, esplosive e sanguinosissime.
La regia del nostro ? come al solito perfetta, ottimi movimenti di macchina con piani sequenza, carrelli frontali, andamenti lenti e primi piani concentrati sugli attori sia di fronte che di lato e di spalle con una buonissima profondit? di campo, stacchi di montaggio eccellenti con ritmi alternati e mai a vuoto.
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EDDINGTON.
Quarta fatica dell?ormai affermato regista Ari Aster dove riesce in qualunque film ad inscenare ogni tipo di grottesco. Stavolta con una forma tanto particolare quanto familiare.
Nella cittadina Eddington nel New Messico a maggio del 2020 si vedranno consumare gradualmente i contrasti, i battibecchi e le controversie tra lo sceriffo Joe Cross e il sindaco Ted Garcia a seguito delle contromisure anti-Covid con le mascherine, le proteste per la morte di George Floyd con i black lives matter, le provocazioni del figlio del sindaco e i trascorsi passati con la moglie dello sceriffo. Fino a conseguenze violente, esplosive e sanguinosissime.
La regia del nostro ? come al solito perfetta, ottimi movimenti di macchina con piani sequenza, carrelli frontali, andamenti lenti e primi piani concentrati sugli attori sia di fronte che di lato e di spalle con una buonissima profondit? di campo, stacchi di montaggio eccellenti con ritmi alternati e mai a vuoto. Ottime le musiche sia di atmosfera che di tensione diegetiche ed extra con richiami al western classico insieme alla fotografia calda risaltando i marroni urbani interni ed esterni e i gialli del paesaggio desertico. Senza contare un?aggiunta azzeccata dei tempi comici in situazioni sia di ironia palese che nera. Eccezionali le interpretazioni di Joaquin Phoenix e Pedro Pascal come acerrimi rivali, una passiva, poco attraente, ma sempre affascinante Emma Stone come moglie dello sceriffo, un bel ritorno di Deirdre O'Connell dopo la serie The Penguin come suocera credulona e un sorprendente Austin Butler come pseudo santone mezzo hippie, ma non privo di brutti trascorsi. Stavolta il manierismo che aveva colpito il regista agli esordi sembra quasi del tutto assente.
Dicevo prima, se in precedenza Aster mostrava il grottesco e il surreale attraverso le stregonerie e i traumi familiari, l?orrore alla luce del giorno attraverso rituali ed usanze religiose e il delirio di una mente castrata e complessata da paure viscerali, in Eddington invece lo fa? con la realt? stessa del 2020 in piena pandemia Covid-19. Quante volte trovavamo delirante l?obbligo delle mascherine anche quando sembrava non esserci ed erano deliranti quelli che non ci credevano al covid e millantavano cospirazioni governative? E i deliri dei black lives matter per la morte di un pregiudicato nero che urlavano di rabbia e indignazione dando a tutti i bianchi, ma soprattutto ai poliziotti, dei razzisti e violenti quando il tutto era avvenuto altrove, successo molte altre volte ancora e senza un vero e concreto interesse sulla materia da parte di molti? E le consecutive estrapolazioni sui social media e le televisioni che a causa del distanziamento e l?isolamento ci davano notizie su notizie il pi? delle volte o false o pilotate senza un minimo di spirito critico? Ecco, prendendo tutto questo in un contesto, se vogliamo, western post moderno viene fuori una storia surreale grottesca che sfocia in situazioni tragicomiche nere che per? sono pi? reali di una storia surreale e grottesca fantasiosa visto che le abbiamo vissute e in un certo senso le viviamo ancora.
Con dei personaggi ben scritti, dallo sceriffo Joe Cross che non crede nel covid e nelle manifestazioni, ligio al dovere, al benessere dei cittadini, ma che nasconde tutt?altra indole fino a quando non esce fuori e male al sindaco Ted Garcia che ? l?opposto dello sceriffo, progressista, aperto, ma che alla fine vuole soltanto pi? voti con l?obiettivo di creare un nuovo centro per l?energia pulita e avere pi? soldi. La moglie dello sceriffo Louise Cross ormai provata da fake news, cospirazioni e traumi giovanili passati che vedono coinvolto il sindaco, anche se per scopi elettorali. Tra appunto campagne elettorali deliranti, ipocrisie, manifestazioni urlate e di poca sostanza, diffamazioni via smartphone sempre pi? pungenti il tutto sfocer? nella violenza pi? inaudita con soltanto armi e squallori; tutto quello che succedeva nei media si manifester? nella citt? di Eddington fino ad un finale dove al massimo avremo forse un?energia pi? pulita e rinnovabile, ma di sicuro per l?umanit? tutto l?esatto opposto.
A parte forse la sottotrama con Emma Stone e Austin Butler che sembrerebbe pi? un pretesto di caratterizzazione e di contesto alla storia parallelo che diretto alla trama principale, il resto ? veramente magistrale. Da vedere per chi volesse qualcosa di particolarmente orrorifico e divertente a denti stretti.
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athos
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lunedì 20 ottobre 2025
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covid+social=miscela letale
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Il Covid più l'utilizzo massivo dei social hanno prodotto una miscela letale che ha mandato in tilt il cervello degli americani. E in Eddington questa miscela raggiunge l'apice. Ne esce un film decente ma non memorabile dove Aster spinge sull'acceleratore del grottesco con spruzzatina horror. Bene, abbiamo capito come sono gli Stati Uniti oggi, aspettiamo qualche regista che intraveda il domani di questo grande paese in difficoltà.
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simoneproietti
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lunedì 20 ottobre 2025
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eddington non esaudisce cio'' che promette
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Bene ma non benissimo. L'idea di partenza non era male, un neo-western ambientato in una sperduta cittadina americana durante la pandemia, nell'approssimarsi della elezione del sindaco, con sullo sfondo le contraddizioni della società americana che si trasformnao lentamente in follia. ma lo sviluppo non rende giustizia ne alla storia ne al regista, e le due ore e mezza di durata non aiutano. Ed è un peccato.
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