David Cronenberg non ha più bisogno di scandalizzare. A ottant’anni, con The Shrouds, abbandona la “nuova carne” e ci porta nella “nuova assenza”: la materia non esplode più, ma si ricompone.
È un film che molti scambieranno per freddo, quando in realtà è il più intimo e caldo della sua carriera — perché parla del dolore come ultimo linguaggio umano.
Vincent Cassel interpreta Karsh, un uomo che trasforma il lutto in tecnologia, inventando un sistema che permette di osservare i defunti nelle loro tombe. Ma l’AI che usa non è malvagia: è solo lo specchio della mente che la manipola.
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David Cronenberg non ha più bisogno di scandalizzare. A ottant’anni, con The Shrouds, abbandona la “nuova carne” e ci porta nella “nuova assenza”: la materia non esplode più, ma si ricompone.
È un film che molti scambieranno per freddo, quando in realtà è il più intimo e caldo della sua carriera — perché parla del dolore come ultimo linguaggio umano.
Vincent Cassel interpreta Karsh, un uomo che trasforma il lutto in tecnologia, inventando un sistema che permette di osservare i defunti nelle loro tombe. Ma l’AI che usa non è malvagia: è solo lo specchio della mente che la manipola.
Cronenberg ribalta il cliché dell’intelligenza artificiale per mostrarci che non è la macchina a mentire, ma l’uomo che la usa per non affrontare la verità.
Il film unisce eros e lutto, corpo e simulazione. Le scene di sesso e le cicatrici non sono gratuite: sono il modo in cui il protagonista tenta di reincarnare l’amore perduto, di sentire ancora attraverso corpi nuovi.
La donna coreana cieca, con percezioni amplificate, rappresenta l’evoluzione sensoriale dopo la morte della vista — la fine dell’immagine come unica forma di realtà.
Nel finale, l’aereo che vola tra nuvole scure è la perfetta sintesi del messaggio: Karsh esce dalla sua prigione mentale ma entra in un nuovo stato di coscienza, ambiguo, dove vita e memoria si fondono.
L’amata e la nuova compagna diventano la stessa persona, e la tecnologia smette di essere strumento: diventa rito.
The Shrouds non è un film da capire, ma da percepire.
Chi lo definisce “gelido” probabilmente non sopporta di vedersi riflesso: Cronenberg non mostra il futuro, mostra ciò che siamo già diventati — esseri che amano attraverso la simulazione e provano ancora a sentirsi vivi.
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