ARAGOSTE A MANHATTAN (La Cocina) di Alonso Ruizpalacios.
Ovvero la lotta di classe a Time Square. Quasi interamente girato in bianco e nero, ? una pellicola che ? stata tratta da una commedia pensata per il teatro (e liberamente trasposta per la sala). Siete mai stati ?dietro?? Ovvero quel microcosmo dove si provvede a sfornare i piatti che poi consumerete comodamente a tavola, debitamente serviti? Ecco, lo sguardo (insistito) del regista ci porta a visitare il dietro le quinte, come fosse la stiva di una nave o pi? probabilmente un carcere. Il ritmo delle ?comande? la velocit? nella preparazione dei cibi e il loro impiattamento sui capienti vassoi portati da cameriere tutte vestite in uniforme come da tradizione del locale. Dietro tutto questo, splendidamente reso dall'atmosfera cupa e un po' retr? del bianco e nero (a contrasto con le rare scene girate nel ristorante, a colori ma sempre un po' smorti, come uno di quei fumetti che si vendevano nei primi anni 60, il grande Bleck, formato orizzontale), si innervano le storie degli uomini che vi lavorano. La spietatezza del bianco e nero, riduce all'essenziale tutto il resto. Dialoghi, battute, scazzi (ve ne sono molti, come ? naturale in un ambiente dominato dalla frenesia) e vedi bene la immancabile ?storia d'amore? fra un cuoco messicano (Pedro) e una cameriera (Julia) rigorosamente jankee (anzi, ?gringa? come la chiama lui). Un ammanco di cassa scatena una sorta di caccia all'uomo. Vengono definiti molto bene i ruoli della piramide gerarchica, la propriet?, i responsabili, lo chef, poi i cuochi le cameriere e gli ?uomini di fatica?. Una grande orchestra, una macchina oliata per fare soldi, ma dove l'alienazione regna sovrana. Sullo sfondo l'America di questi anni (il film ? del 2024?chiss?, forse prodromico dell'avvento del ?biondo?). La gran parte di locali come questo pu? esistere grazie all'intenso ricorso alla mano d'opera straniera, spesso irregolare, agognante di un visto per diventare a tutti gli effetti cittadini americani. Ma nel frattempo, grazie al loro ?sfruttamento?, vitali per l'economia USA. Uno spaccato dei drammi e delle vite di questa umanit? ?nascosta?. Dove a stridere ? l'assenza di una relazione che non sia basata su presupposti economici. La capacit? del regista ? di aver saputo rendere, in alcuni momenti di pura poesia, come durante una ?pausa pranzo? con alcuni di loro accovacciati in un fetido vicolo (sempre questo tema del ?dietro le quinte??) di quelli che ci hanno abituato a vedere, negli anni, film e telefilm, fra cassonetti dell'immondizia, intenti a fumare una sigaretta, che si lasciano andare alla rievocazione dei propri sogni. Il sogno come veicolo per sopravvivere, ma ? un sogno ?spento? anch'esso, quasi che l'orizzonte di queste donne e uomini abbia dovuto subire (volontariamente, per sopravvivere) un ridimensionamento, una consapevolezza che la vita avr? poco altro da offrire a chi ha avuta in sorte la sfiga di nascere in un posto sbagliato (e nel desiderio di sfuggirvi, capitare in uno con le stesse condizioni). Un sogno americano interrotto. La constatazione di una realt? che insieme ai pasti preparati e serviti, ha consumato in modo vorace anche la capacit? di dirsi liberi, di intendere la vita come opportunit?, di pensare ad un altrove. ?Cosa volete di pi?? Vi pago e vi do da mangiare!? la carrellata finale sui volti esterrefatti della ?brigata? (tutto il personale della ?cocina?) ? la ciliegina del film. Che ? a tratti lento, molto ricorso alla camera a mano, ma ? una piccola grande chicca dell'universo americano di questi anni venti. Da vedere (posto che ci riusciate: distribuzione bizzarra, visto in una sala parrocchiale).
Giuseppe Palam
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